di Natale Cuccurese
Le politiche dei Governi dell’ultimo ventennio, che han visto cieca obbedienza alle indicazioni di Bruxelles, privatizzazioni a pioggia, modifica del Titolo V della Costituzione, pareggio di bilancio e così via, hanno prodotto, anno dopo anno, i loro frutti avvelenati, fra cui un aumento sempre maggiore della povertà assoluta della popolazione oggi arrivata al record di 6 Milioni di cittadini, in larga maggioranza nel Mezzogiorno, la Macroarea più povera di tutto il Continente, con Sicilia e Campania da tempo ai primi due posti per rischio povertà della classifica Eurostat.
Sembra impossibile eppure con il governo Draghi, coi suoi molti tecnocrati, si vuole continuare su di una strada iper liberista, profondamente classista e antimeridionale che data la situazione di forte crisi economica potrebbe portare a gravi problemi sociali.
In questa direzione classista va la proposta di Renzi di un referendum sul Reddito di Cittadinanza (RdC). L’idea di ricorrere ad un Referendum, che al momento è solo un grosso flop in termine di raccolta di firme, fa pensare che Renzi e sodali di governo non intendano correggere il RdC, magari migliorarlo, ma semplicemente cancellarlo, lasciando così le persone in difficoltà senza un sostegno e letteralmente in balia del ricatto occupazionale da parte di prenditori senza scrupoli che ricercano manovalanza a basso costo e senza diritti. La dichiarazione sul carattere “diseducativo” del RdC fatta da Renzi appare inoltre particolarmente classista visto che non solo tende a ridurre le risorse destinate a questa misura, anche contenendo il numero dei beneficiari, ma procede anche in senso punitivo obbligando gli stessi ad accettare qualsiasi proposta di lavoro, anche se a diverse centinaia di chilometri da dove vivono, colpendo ancora una volta il Sud, dove in alcune province , come quella di Napoli, la percentuale dei percettori di RdC è alta. L’ennesimo regalo al sistema industriale del Nord, e l’ennesima mazzata per i disoccupati del Sud. Un incentivo all’emigrazione, una pistola puntata alla tempia dei poveri a cui verrà tolto il RdC se non andranno a lavorare al Nord, oltretutto aumentando la già grave desertificazione demografica del Mezzogiorno. O emigri o muori di fame, per legge!
Bisogna ricordare che sia i sindacati confederali, che hanno accettato lo schema governativo, sia alcuni dei partiti di centrosinistra, che sostengono il governo, dopo aver fatto da sponda alle richieste di Confindustria ora si stupiscono se le aziende licenziano, e di più licenzieranno dal primo novembre data dalla quale si potranno licenziare anche dipendenti di aziende in crisi e Pmi.
Interessante notare che pochi giorni dopo queste polemiche sono arrivati i dati del Rapporto Inps 2020 che, con la fredda logica dei numeri, hanno confermato che senza sussidi e RdC e senza il blocco dei licenziamenti l’Italia sarebbe andata incontro ad una vera e propria catastrofe sociale, con la diseguaglianza, che già è altissima, che sarebbe addirittura raddoppiata.
A questo scenario non incoraggiante possiamo aggiungere il documento del Gruppo dei 30, sottoscritto da Draghi meno di un anno fa, cioè la contrapposizione “fra debito buono” e “debito cattivo” e la sua ostilità al debito cattivo, già più volte manifestata e ovviamente in linea con le richieste UE degli ultimi mesi, che come ampiamente previsto con la prossima Legge di Bilancio e come annunciato la scorsa settimana da Draghi, porterà alla riduzione/blocco del Reddito di Cittadinanza, abolizione di quota 100, lo sblocco totale dei licenziamenti, così come era richiesto a gran voce Confindustria, e il taglio alle pensioni (come già la UE ha imposto alla Spagna per accedere al Recovery).
Per il Mezzogiorni la situazione, già drammatica come testimoniato dai recenti dati Istat, Eurispes e dall’ultimo Rapporto Caritas sull’indice di povertà, diventerà presto insostenibile. Doveroso infatti rimarcare che il Sud dall’apparizione di Draghi e del suo governo infarcito di leghisti e neo liberisti, è stato completamente cancellato non solo dall’agenda politica, ma anche dal dibattito dei media.
Nel silenzio aumentano così sottrazione di risorse e discriminazioni di tutti i tipi, tanto è vero che il rapporto Cnel 2020 che ci informa che in Italia l’aspettativa di vita cambia a seconda di dove sei nato o di dove risiedi, grazie alle politiche di diseguaglianze territoriali perseguite da tutti i governi verso il Mezzogiorno in tema di sanità, istruzione, scuola, infanzia, servizi sociali e ambientali, digitalizzazione e occupazione femminile.
Se sei del Sud sei condannato a morire mediamente fino a 10 anni prima di un tuo omologo del Nord. Non è poco. Conseguenza anche di una spesa sanitaria pubblica pro capite del tutto diseguale, molto più elevata al Nord rispetto al Sud (nel 2020 infatti questa a fronte di una media nazionale di 2,120 euro annui, vanno ad esempio 2.261 euro alla Liguria e 2.012 euro alla Basilicata). Non a caso la scorsa settimana la Corte dei Conti lo ha confermato: “Il Sistema sanitario nazionale non è in grado di garantire un’assistenza uniforme per quantità e qualità”. Il federalismo fiscale, che piace al Pd di Bonaccini e alla Lega, dovrebbe essere applicato solo dopo aver stabilito i livelli essenziali di prestazioni (Lep), che attendono la definizione dalla data della modifica del Titolo V nel 2001, così da poter assicurare su tutto il territorio nazionale e a difesa dei diritti di ogni cittadino, a prescindere dalla latitudine a cui vive, una uguaglianza almeno formale. Invece…
Se non è discriminazione di Stato questa cosa è?! Non è questa una battaglia da combattere insieme a Sinistra?
I cittadini del Sud hanno cercato di ribellarsi come sempre e ancora una volta votando nel 2018 i 5 Stelle e abbiamo visto di quale tradimento questi signori si sono resi protagonisti, con Conte che addirittura ad agosto scrive al Corriere abbandonando il tema della Questione meridionale per rifugiarsi nella questione settentrionale e nella Milano Locomotiva di stampo leghista. Quella questione settentrionale che vorrebbe relegare i cittadini del Mezzogiorno ad una cittadinanza di serie B come infatti vorrebbe l’autonomia differenziata richiesta anche dell’Emilia Romagna a guida Pd. E’ questa la sinistra che si vuole proporre al Mezzogiorno, quella emiliana che in modo poco coraggioso sostiene la secessione dei ricchi, che con le sue privatizzazioni va contro gli interessi delle classi più deboli anche del Nord?
Certo bisogna essere molto coraggiosi per piegarsi a simili compromessi, eversivi dell’unità nazionale, che vanno di gran lunga oltre il concetto base del populismo grillino, cioè quello di né di destra, (ma soprattutto) né di sinistra…
Intanto la condizione del Mezzogiorno si aggrava. Secondo le indicazioni di Bruxelles, la quota del Recovery fund da destinare al Sud doveva essere del 65% circa. Ma la ministra del Sud Carfagna ha abbassato l’asticella al 40%, ma poi dal documento inviato dal governo alla Commissione europea si è verificato che la quota reale destinata è di circa il 16%, oltretutto sulla base di dati “poco trasparenti” come evidenziato la scorse settimana da Open data e quindi con una “minore capacità di controllo da parte dei cittadini, quindi un aumento delle possibilità per le organizzazioni mafiose di infiltrarsi nei lavori per le opere previste dal Piano”.
Contemporaneamente nella Nadef l’Autonomia differenziata è stata reinserita nottetempo ad opera di una manina. Forse anche per fare un favore a Giorgetti nello scontro interno alla Lega. Sud visto solo come merce di scambio per gli equilibri governativi, altro che riduzione dei divari territoriali, qui andiamo verso la balcanizzazione del Paese…
A difesa dei cittadini del Sud non vi è nessun contrasto, neanche da parte di forze che si presentano come progressiste, tanto è vero che pochi giorni fa il segretario del Pd Letta ha dichiarato, dopo la vittoria nella maggior parte dei ballottaggi: “avanti con Draghi”.
Cioè, avanti con l’Autonomia differenziata, con la riduzione dei fondi alla sanità pubblica, con la revisione/soppressione del RdC, senza nessun salario minimo, con il ritorno alla riforma Fornero per le pensioni, senza nessuna patrimoniale, con più tasse per i cittadini, senza riduzione dell’orario di lavoro, con i salari più bassi di quelli del 1990, unica nazione europea con questa situazione, con lo stop allo Smart working e al South workinh, con gli aumenti dei costi dei servizi, con lo scippo dei fondi del Pnrr al Sud, con l’abbattimento dell’Iva sul commercio delle armi, con il taglio del cuneo fiscale che privilegia di gran lunga solo i redditi più alti… ecc ecc ecc.
In tutto questo disastro per costruire l’alternativa popolare di sinistra, a cui bisogna lavorare da subito, alle parole d’ordine: antiliberista, ambientalista, antifascista, anticapitalista, femminista e pacifista, aggiungerei meridionalista; visto che il Mezzogiorno non solo è il territorio più povero d’ Europa, ma soffre di discriminazioni e di un razzismo di Stato che addirittura penalizza volutamente anche la durata di vita dei suoi abitanti e quindi ha bisogno di un richiamo e di una sua specificità riconoscibile e riconducibile. Bisogna unirsi tutti su più battaglie, anche sul Mezzogiorno dandogli voce e rappresentanza. A mio avviso la sinistra può ripartire solo da Sud.
Fonte: Transform!italia
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