Di Natale Cuccurese su Left
Dopo la tappa siciliana del “Laboratorio Sud”, organizzato da Left, transform!italia, Partito della Rifondazione Comunista e Partito del Sud, con l’appuntamento dello scorso 20 dicembre 2019 a Catania e prima di proseguire il tour nel 2020 in altre Regioni del Sud, il 10 gennaio 2020 il Sud-Lab farà una importante tappa a Bologna. Si confronteranno studiosi e giornalisti che da tempo hanno sollevato il problema della Autonomia differenziata, Comitati locali a favore della Salute, dell’Ambiente, della Scuola pubblica e di tutti quegli aspetti su cui l’Autonomia differenziata impatta. In poche parole si analizzeranno tutte o quasi le sfaccettature che la “Secessione dei Ricchi” avrà sulla vita dei cittadini; chi ne beneficerà, pochi, e chi invece ne uscirà stritolato, la gran parte. Ricordo che in Emilia Romagna si voterà il 26 gennaio prossimo e che, purtroppo, la Regione a guida Pd è una delle tre che ha richiesto il Regionalismo differenziato, pur con meno materie richieste rispetto a Lombardia e Veneto, ma con gli stessi rischi, la stessa perniciosità, sia per le classi più deboli sia nei confronti dell’unità nazionale. Si cercherà così di esplorare le svariate problematiche collegate al processo iniziato nel 2001 con la modifica del Titolo V, con l’intento di aggregare i tanti che resistono, al fine di fornire e ricevere idee e soluzioni anche con un confronto diretto e serrato. Non è un caso che Rifondazione comunista e Partito del Sud partecipino insieme alle elezioni regionali nella Lista “L’Altra Emilia Romagna, che vede inoltre la presenza di Pci e Comitati civici: la sola lista che chiede con decisione il ritiro della richiesta di Autonomia differenziata da parte della Regione.
La tappa di Bologna giunge a proposito per ricordare come l’autonomia differenziata non sia solo un progetto contro il Sud d’Italia, ma un vero e proprio disegno neoliberista di privatizzazione su scala nazionale, un attacco micidiale e premeditato contro le classi popolari. La spallata definitiva all’unità nazionale. Non a caso la Lega Nord ha ancora oggi, al primo punto del proprio statuto, la secessione della Padania, cosa che, unita alla mancata cancellazione dei decreti sicurezza da parte di questo governo, porterà in pochi anni al regredire completo dello Stato sociale con la formazione di un vero e proprio Terzo Stato, composto da una moltitudine di salariati precari e senza diritti e impossibilitati a protestare, sia a Nord che a Sud.
Bisogna infatti comprendere che la diseguaglianza sociale è oggi una evidente scelta politica ed è l’architrave su cui si regge tutto l’impianto dello sfruttamento bestiale del Sud, ma anche delle classi più disagiate del Nord. Un Sud visto sempre più e solo come colonia estrattiva e discarica terzomondista. Nemmeno avere, nei fatti, già creato da anni due Italie composte da cittadini di serie A e serie B ha provocato reazione alcuna nei cittadini, il tutto grazie al silenzio, quando non mistificazione, dei media. Ma è ovvio che arrivando “al collo di bottiglia” prima o poi la conflagrazione sarà inevitabile, visto che il panorama politico si sta già avvitando in spirali sempre più concentriche di incertezza, odio e rancore sociali, aizzate ad arte da politici e media che mirano ad alimentare sempre di più la lotta fra poveri. Il tutto convogliato attraverso la costruzione di una mitologia arcaica e a processi psicosociali che alimentano e legittimano disparità e diseguaglianza, facendo apparire come accettabili sperequazioni di stato sociale.
I pregiudizi hanno una importanza fondamentale in questo gioco di specchi, che dura nei confronti del Sud dall’Unità d’Italia, perché legittimano ogni tipo di decisione discriminatoria. Si tende così a far passare come meritevole di rispetto, quasi di discendenza divina, la presenza di una “aristocrazia del denaro”, con una chiave di lettura pseudo calvinista, vista come appartenente ad un ordine universale predestinato. Per cui chi è ricco è perché lo merita, altrettanto dicasi per chi è povero. Così facendo il nemico è solo chi è più povero e sfortunato di noi, lo sguardo, il rimprovero, lo sfottò è sempre rivolto e chi è più in basso. Sono cose già viste al Sud e che fanno parte a pieno titolo anche della “Nuova Questione Meridionale”.
Così facendo e grazie all’assenza dello Stato, che da tempo ha rinunciato alla sua funzione redistributiva e di compensazione sociale, come dovrebbe essere da dettato costituzionale, si è creata una vera e propria oligarchia dei ricchi favorita spesso dalla continuità decennale e familistica con la politica, quasi sempre supportata da privatizzazioni di imprese pubbliche contro l’interesse della collettività, da opacità e contiguità.
L’ultima proposta Boccia sul Regionalismo differenziato, infatti liquida definitivamente tutto ciò che è pubblico, abbattendo i diritti garantiti e sanciti dalla prima parte della Costituzione.
Settori dei poteri economici e finanziari vogliono abbattere lo Stato sociale, farne campo di profitto con privatizzazioni a pioggia. Se infatti viene distrutta l’unità nazionale, con la formazioni di piccole entità regionali, crolla anche l’esigibilità dei diritti universali, che devono valere per tutto il Paese, con diritti uguali per tutti in base al dettato costituzionale.
L’Europa della finanza sta spingendo da tempo in questa direzione. È l’Europa del liberismo più sfrenato e dell’austerity, che poco si interessa dei suoi cittadini se non marginalmente. La Costituzione italiana, con i suoi diritti garantiti, anche se ad oggi poco applicati, è vista come un nemico da abbattere.
Quello che sta accadendo in Gran Bretagna e Spagna ci dà uno spaccato di quello che sta avvenendo sottotraccia in Europa e che potrebbe presto portare al collasso di entità statuali che ci parevano eterne ed immodificabili. Lo stesso vale per il MES, un meccanismo di controllo degli Stati, soprattutto di quelli del Sud Europa..
Chi continua a proporre il Regionalismo differenziato persegue un progetto secessionista ed eversivo dell’unità nazionale e degli interessi del popolo, andrebbe fermato immediatamente. Una forza di sinistra non può che opporsi a questa deriva antipopolare. Chi è d’accordo con queste posizioni così come fanno, governatori secessionisti , parlamentari, intellettuali, gruppi di potere e governi si assume interamente e a futura memoria la responsabilità della possibile e certo non auspicata “balcanizzazione” del Paese. Chi poi asseconda questo progetto partendo da posizioni progressiste di sinistra ha una responsabilità doppia, come in Emilia-Romagna. Imbarazzante poi il balletto di chi da “sinistra” non solo sostiene elettoralmente queste richieste, presentando una lista a favore del presidente Bonaccini sulla base del “voto utile” ad un fronte che predica un antifascismo di facciata, ma è addirittura firmatario in prima persona di risoluzioni a sostegno e definizione della richiesta di autonomia regionale.
In realtà chi si affronta oggi in Emilia Romagna sono solo due facce dello stesso monocolore verde, il rosso è semplicemente scomparso dai simboli dei cosiddetti progressisti, e già questo la dice lunga. La cosa peggiore è che, in questo delirante scenario secessionista, la Lega, ormai nazionale, trova sponde in parte del Pd, come appunto in Emilia-Romagna, dove il presidente Bonaccini si è posto all’inseguimento della Lega su temi di destra e, come detto recentemente da Luciano Canfora in una intervista sul Manifesto: «Anche questo disgusta. Ma come può il Pd pensare di recuperare nel centro-sud con una proposta simile a quella di Zaia».
Sconvolgente poi che nella “Lista del Presidente Bonaccini”, trovi ricovero un imprenditore, rifiutato anche dalla Lega, che pochi anni fa aveva licenziato più di 500 ciclofattorini con un sms. Ci si sarebbe aspettato di vedere in una lista di sinistra uno dei tanti ciclofattorini licenziati, invece…
L’involuzione “genetica” del Pd emiliano è quasi totalmente compiuta, di sinistra non resta molto, solo un lontano ricordo, come ha dimostrato dapprima la mozione del settembre scorso del Parlamento Europeo che ha equiparato nazismo e comunismo, votata da larghissima parte degli europarlamentari Pd, e pochi giorni fa l’improvvido documentario per le scuole ad opera del Comune di Reggio Emilia su Nilde Iotti, dove non si pronuncia mai la parola o l’appartenenza comunista da parte sua o di Togliatti. Ennesima offesa a storia e memoria.
Ma dicevamo dell’impatto delle politiche di rigore e neoliberiste al Nord, sede della prossima tappa di Bologna. Dobbiamo considerare infatti che nella sola Lombardia ben 200mila famiglie si trovano in condizione di povertà assoluta (Rapporto Polis 2019) in gran parte le stesse che vivono nelle case popolari. Edifici quasi sempre fatiscenti con all’interno famiglie composte spesso da pensionati, malati e disabili. Le abitazioni non sono solo in periferia, ma anche a pochi chilometri dal centro. Parti di città che mostrano l’altra faccia della medaglia di quella che è presentata come la capitale della moda, del benessere, del design, ma che nasconde in sé anche una città composta da persone che faticano ad arrivare a fine mese, quando va bene.
Inoltre, solo per restare agli ultimi giorni apprese dai quotidiani, drammatica la situazione di Torino, dove raddoppiano i senzatetto: la metà sono italiani cinquantenni, con il Servizio Adulti in difficoltà nel reperire nuovi posti letto. Oppure quello che sta accadendo in Friuli Venezia Giulia, Regione da sempre considerate ricca e virtuosa ove come scrive Il Gazzettino: «La spesa sanitaria elevata è dovuta anche al ricorso alla sanità privata per ottenere prestazioni in tempi contenuti. La questione dei tempi di attesa per l’accesso alle prestazioni sanitarie regionali viene studiata da oltre un decennio con il risultato che la maggior parte delle famiglie sostiene spese di tasca propria per l’acquisto di almeno una prestazione sanitaria specialistiche, analisi del sangue, esami specialistici. Ma c’è chi proprio non ce la fa e rinuncia: il 3,5% delle famiglie del Fvg è costretto a dire no alle spese per i consumi sanitari, rischiando di ledere il proprio stato di salute».
Se questa è la situazione di Milano o di Reggio Emilia, dove vi sono molte similitudini con quanto descritto per la “capitale morale “, come dimostrato nei giorni scorsi da una inchiesta della “Gazzetta di Reggio”, figuriamoci la situazione nel Mezzogiorno dove la percentuale della popolazione in povertà fra assoluta e relativa è intorno al 40%, dove infatti l’aspettativa di vita si sta già da qualche anno progressivamente riducendo.
Bisogna infatti comprendere che la diseguaglianza sociale è oggi una evidente scelta politica ed è l’architrave su cui si regge tutto l’impianto dello sfruttamento bestiale del Sud, ma anche delle classi più disagiate del Nord. Un Sud visto sempre più e solo come colonia estrattiva e discarica terzomondista. Nemmeno avere, nei fatti, già creato da anni due Italie composte da cittadini di serie A e serie B ha provocato reazione alcuna nei cittadini, il tutto grazie al silenzio, quando non mistificazione, dei media. Ma è ovvio che arrivando “al collo di bottiglia” prima o poi la conflagrazione sarà inevitabile, visto che il panorama politico si sta già avvitando in spirali sempre più concentriche di incertezza, odio e rancore sociali, aizzate ad arte da politici e media che mirano ad alimentare sempre di più la lotta fra poveri. Il tutto convogliato attraverso la costruzione di una mitologia arcaica e a processi psicosociali che alimentano e legittimano disparità e diseguaglianza, facendo apparire come accettabili sperequazioni di stato sociale.
I pregiudizi hanno una importanza fondamentale in questo gioco di specchi, che dura nei confronti del Sud dall’Unità d’Italia, perché legittimano ogni tipo di decisione discriminatoria. Si tende così a far passare come meritevole di rispetto, quasi di discendenza divina, la presenza di una “aristocrazia del denaro”, con una chiave di lettura pseudo calvinista, vista come appartenente ad un ordine universale predestinato. Per cui chi è ricco è perché lo merita, altrettanto dicasi per chi è povero. Così facendo il nemico è solo chi è più povero e sfortunato di noi, lo sguardo, il rimprovero, lo sfottò è sempre rivolto e chi è più in basso. Sono cose già viste al Sud e che fanno parte a pieno titolo anche della “Nuova Questione Meridionale”.
Così facendo e grazie all’assenza dello Stato, che da tempo ha rinunciato alla sua funzione redistributiva e di compensazione sociale, come dovrebbe essere da dettato costituzionale, si è creata una vera e propria oligarchia dei ricchi favorita spesso dalla continuità decennale e familistica con la politica, quasi sempre supportata da privatizzazioni di imprese pubbliche contro l’interesse della collettività, da opacità e contiguità.
L’ultima proposta Boccia sul Regionalismo differenziato, infatti liquida definitivamente tutto ciò che è pubblico, abbattendo i diritti garantiti e sanciti dalla prima parte della Costituzione.
Settori dei poteri economici e finanziari vogliono abbattere lo Stato sociale, farne campo di profitto con privatizzazioni a pioggia. Se infatti viene distrutta l’unità nazionale, con la formazioni di piccole entità regionali, crolla anche l’esigibilità dei diritti universali, che devono valere per tutto il Paese, con diritti uguali per tutti in base al dettato costituzionale.
L’Europa della finanza sta spingendo da tempo in questa direzione. È l’Europa del liberismo più sfrenato e dell’austerity, che poco si interessa dei suoi cittadini se non marginalmente. La Costituzione italiana, con i suoi diritti garantiti, anche se ad oggi poco applicati, è vista come un nemico da abbattere.
Quello che sta accadendo in Gran Bretagna e Spagna ci dà uno spaccato di quello che sta avvenendo sottotraccia in Europa e che potrebbe presto portare al collasso di entità statuali che ci parevano eterne ed immodificabili. Lo stesso vale per il MES, un meccanismo di controllo degli Stati, soprattutto di quelli del Sud Europa..
Chi continua a proporre il Regionalismo differenziato persegue un progetto secessionista ed eversivo dell’unità nazionale e degli interessi del popolo, andrebbe fermato immediatamente. Una forza di sinistra non può che opporsi a questa deriva antipopolare. Chi è d’accordo con queste posizioni così come fanno, governatori secessionisti , parlamentari, intellettuali, gruppi di potere e governi si assume interamente e a futura memoria la responsabilità della possibile e certo non auspicata “balcanizzazione” del Paese. Chi poi asseconda questo progetto partendo da posizioni progressiste di sinistra ha una responsabilità doppia, come in Emilia-Romagna. Imbarazzante poi il balletto di chi da “sinistra” non solo sostiene elettoralmente queste richieste, presentando una lista a favore del presidente Bonaccini sulla base del “voto utile” ad un fronte che predica un antifascismo di facciata, ma è addirittura firmatario in prima persona di risoluzioni a sostegno e definizione della richiesta di autonomia regionale.
In realtà chi si affronta oggi in Emilia Romagna sono solo due facce dello stesso monocolore verde, il rosso è semplicemente scomparso dai simboli dei cosiddetti progressisti, e già questo la dice lunga. La cosa peggiore è che, in questo delirante scenario secessionista, la Lega, ormai nazionale, trova sponde in parte del Pd, come appunto in Emilia-Romagna, dove il presidente Bonaccini si è posto all’inseguimento della Lega su temi di destra e, come detto recentemente da Luciano Canfora in una intervista sul Manifesto: «Anche questo disgusta. Ma come può il Pd pensare di recuperare nel centro-sud con una proposta simile a quella di Zaia».
Sconvolgente poi che nella “Lista del Presidente Bonaccini”, trovi ricovero un imprenditore, rifiutato anche dalla Lega, che pochi anni fa aveva licenziato più di 500 ciclofattorini con un sms. Ci si sarebbe aspettato di vedere in una lista di sinistra uno dei tanti ciclofattorini licenziati, invece…
L’involuzione “genetica” del Pd emiliano è quasi totalmente compiuta, di sinistra non resta molto, solo un lontano ricordo, come ha dimostrato dapprima la mozione del settembre scorso del Parlamento Europeo che ha equiparato nazismo e comunismo, votata da larghissima parte degli europarlamentari Pd, e pochi giorni fa l’improvvido documentario per le scuole ad opera del Comune di Reggio Emilia su Nilde Iotti, dove non si pronuncia mai la parola o l’appartenenza comunista da parte sua o di Togliatti. Ennesima offesa a storia e memoria.
Ma dicevamo dell’impatto delle politiche di rigore e neoliberiste al Nord, sede della prossima tappa di Bologna. Dobbiamo considerare infatti che nella sola Lombardia ben 200mila famiglie si trovano in condizione di povertà assoluta (Rapporto Polis 2019) in gran parte le stesse che vivono nelle case popolari. Edifici quasi sempre fatiscenti con all’interno famiglie composte spesso da pensionati, malati e disabili. Le abitazioni non sono solo in periferia, ma anche a pochi chilometri dal centro. Parti di città che mostrano l’altra faccia della medaglia di quella che è presentata come la capitale della moda, del benessere, del design, ma che nasconde in sé anche una città composta da persone che faticano ad arrivare a fine mese, quando va bene.
Inoltre, solo per restare agli ultimi giorni apprese dai quotidiani, drammatica la situazione di Torino, dove raddoppiano i senzatetto: la metà sono italiani cinquantenni, con il Servizio Adulti in difficoltà nel reperire nuovi posti letto. Oppure quello che sta accadendo in Friuli Venezia Giulia, Regione da sempre considerate ricca e virtuosa ove come scrive Il Gazzettino: «La spesa sanitaria elevata è dovuta anche al ricorso alla sanità privata per ottenere prestazioni in tempi contenuti. La questione dei tempi di attesa per l’accesso alle prestazioni sanitarie regionali viene studiata da oltre un decennio con il risultato che la maggior parte delle famiglie sostiene spese di tasca propria per l’acquisto di almeno una prestazione sanitaria specialistiche, analisi del sangue, esami specialistici. Ma c’è chi proprio non ce la fa e rinuncia: il 3,5% delle famiglie del Fvg è costretto a dire no alle spese per i consumi sanitari, rischiando di ledere il proprio stato di salute».
Se questa è la situazione di Milano o di Reggio Emilia, dove vi sono molte similitudini con quanto descritto per la “capitale morale “, come dimostrato nei giorni scorsi da una inchiesta della “Gazzetta di Reggio”, figuriamoci la situazione nel Mezzogiorno dove la percentuale della popolazione in povertà fra assoluta e relativa è intorno al 40%, dove infatti l’aspettativa di vita si sta già da qualche anno progressivamente riducendo.
Il tutto ovviamente occultato da media complici, che anzi eleggono pochi giorni fa Milano come la città italiana dove vi è “la più alta qualità della vita”. Il non detto è che a Milano puoi vivere benissimo, ma ovviamente solo se sei a dir poco benestante. Ecco perché intendere l’Autonomia regionale solo come un contrasto Sud/Nord, sarebbe riduttivo, trattandosi di un progetto neoliberista, con profonde radici europee, che mira alla privatizzazione progressiva e pervasiva di tutto ciò che oggi è inteso come welfare, sia a Nord che a Sud, a danno delle classi più deboli, che come visto sopra, che già oggi si ritrovano impoverite dalla “crisi” dell’ultimo decennio e che domani, una volta privatizzata la sanità, avranno difficoltà anche a curarsi.
Una situazione per il Mezzogiorno causata dal fatto che «negli ultimi dieci anni c’è stata una perequazione alla rovescia», come da parole del presidente Svimez Adriano Giannola pochi giorni fa audito alla Camera. La certificazione che il Meridione ha lasciato sul campo, a tutto vantaggio del Nord, una parte rilevante, di parecchie decine di miliardi di euro, delle risorse destinate a finanziare gli investimenti pubblici nell’area più svantaggiata del Paese.
Tutti fattori che, uniti alla riproposizione del Regionalismo differenziato senza definizione dei Lep, aspetto che già da un decennio costano al Sud mancati investimenti (che vanno al Nord) per 61,3 miliardi di Euro l’anno ci fanno ben capire come ci sia una precisa volontà nel condurre una lotta senza quartiere ai più poveri deprivandoli di welfare e servizi a solo vantaggio dei soliti potentati economici.
Ecco perché l’appuntamento di Bologna è molto importante, a pochi giorni dal voto, per approfondire i tanti temi del contrasto al neoliberismo spinto, al fine di ingenerare una riflessione che possa auspicabilmente portare ad una riconsiderazione del tema nel vero interesse di tutti i cittadini.
A tal fine saranno invitati tutti i candidati presidenti alla Regione per un confronto ed un approfondimento sul tema.
Una situazione per il Mezzogiorno causata dal fatto che «negli ultimi dieci anni c’è stata una perequazione alla rovescia», come da parole del presidente Svimez Adriano Giannola pochi giorni fa audito alla Camera. La certificazione che il Meridione ha lasciato sul campo, a tutto vantaggio del Nord, una parte rilevante, di parecchie decine di miliardi di euro, delle risorse destinate a finanziare gli investimenti pubblici nell’area più svantaggiata del Paese.
Tutti fattori che, uniti alla riproposizione del Regionalismo differenziato senza definizione dei Lep, aspetto che già da un decennio costano al Sud mancati investimenti (che vanno al Nord) per 61,3 miliardi di Euro l’anno ci fanno ben capire come ci sia una precisa volontà nel condurre una lotta senza quartiere ai più poveri deprivandoli di welfare e servizi a solo vantaggio dei soliti potentati economici.
Ecco perché l’appuntamento di Bologna è molto importante, a pochi giorni dal voto, per approfondire i tanti temi del contrasto al neoliberismo spinto, al fine di ingenerare una riflessione che possa auspicabilmente portare ad una riconsiderazione del tema nel vero interesse di tutti i cittadini.
A tal fine saranno invitati tutti i candidati presidenti alla Regione per un confronto ed un approfondimento sul tema.
Fonte: Left
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