Martiri di Pietrarsa: dopo San Giorgio a Cremano, anche Napoli dedicherà una strada
La Commissione Toponomastica presieduta dal sindaco de Magistris ha deliberato nuove scelte per le strade cittadine. Agli operai trucidati il 6 agosto 1863 sarà dedicata una via della Sesta Municipalità. Previste intitolazioni anche per Elena Croce, John Lennon e George Harrison
Dopo San Giorgio a Cremano, anche Napoli dedica una strada ai Martiri di Pietrarsa. La Commissione Toponomastica, presieduta dal sindaco Luigi de Magistris, ha «deciso di intitolare un luogo della città, nella Sesta Municipalità, ai Martiri di Pietrarsa, mentre in zona Posillipo, nei pressi di Salita Villanova, ci sarà l’intitolazione di un toponimo dedicato ad Elena Croce», sottolinea un comunicato del Comune di Napoli
La Sesta Municipalità di Napoli è quella che comprende i quartieri Ponticelli, Barra e San Giovanni a Teduccio. Proprio quest’ultimo, presumibilmente, sarà il rione dove troverà spazio la via dedicata agli operai trucidati il 6 agosto 1863, data la vicinanza dell’allora opificio borbonico.
A tal proposito riportiamo dal nostro sito la relazione di Bruno Pappalardo per il Partito del Sud sui Martiri di Pietrarsa alla Commissione Toponomastica del Comune di Napoli.
Riportiamo a futura memoria anche perchè riteniamo il documento degno di nota e come ringraziamento doveroso al nostro Dirigente napoletano Bruno Pappalardo, la sua relazione sui Martiri di Pietrarsa, che è stata a suo tempo consegnata al sindaco di Napoli Luigi de Magistris, e argomento di discussione approvazione per una piazza o strada da nominare nella prima seduta del 12 Giugno 2013 della Commissione Toponomastica del Comune di Napoli.
Alla Commissione Toponomastica cittadina del Comune di Napoli - Uffici
Palazzo San Giacomo – S E D E
Palazzo San Giacomo – S E D E
Napoli, 13.05.2013
OGGETTO: richiesta di nuovo toponimo per iscrizione de’ “ i MARTIRI DI PIETRARSA”
Il PARTITO DEL SUD,
nel pieno rispetto della tutela dell’ attuale storia toponomastica di Napoli, del suo assetto linguistico dei luoghi crede che bisognerà curare anche le nuove denominazioni, nel pieno rispetto dell'identità culturale e civile della città. Esse in passato hanno prodotto quei toponimi tradizionali, quelli storici formatisi spontaneamente nella tradizione orale e quelli di eventi successivi afferenti alle vicende della storia della città come dell’Italia.
Talvolta si è mancato di ricordare il nome e l’evento.
Talvolta si è cancellato il nome e l’evento.
Talvolta, invece, si è nascosto il nome e l’evento.
Talvolta si è mancato di ricordare il nome e l’evento.
Talvolta si è cancellato il nome e l’evento.
Talvolta, invece, si è nascosto il nome e l’evento.
Nell’ipotesi di nuove denominazioni, ossia quelle collimanti alla logica naturale di un dinamismo storico riformista - e non vacuo revisionismo - , dunque, proprio riguardanti quei processi storici generanti da un innegabile documentario, allora, si dovranno onorare i nomi o i fatti di quelle vicende, in tanti casi tragici, che hanno investito la vita della città e del Paese.
Il Partito del Sud ritiene, tuttavia,di tener da conto tutte quelle esistenti, purché abbiano ancora mantenuto la virtù del segno del probo agire, del vero eroismo, del martirio, della legalità e dunque dell’ indubitabile valore.
Considerando, dunque, che da questo si sono aggiunte al giudizio storico nuovi elementi, nuove valutazioni, questi non possono essere separatati dai luoghi in cui si generarono e avvennero. La città deve diventare un testo, un racconto urbico e umano che ha la necessità di mostrare una nuova grammatica perché non resti muta. Essa si muove e determina nuovi segni, genesi di nuove narrazioni, di felici o tragiche scoperte e ritrovati siti rinvigorendo la memoria della propria storia e cultura umana e insegnandone la lettura
A tal fine e nella piena consapevolezza di offrire il giusto esempio che attende solo la legittimità storica e semantica, il Partito del Sud,
Il Partito del Sud ritiene, tuttavia,di tener da conto tutte quelle esistenti, purché abbiano ancora mantenuto la virtù del segno del probo agire, del vero eroismo, del martirio, della legalità e dunque dell’ indubitabile valore.
Considerando, dunque, che da questo si sono aggiunte al giudizio storico nuovi elementi, nuove valutazioni, questi non possono essere separatati dai luoghi in cui si generarono e avvennero. La città deve diventare un testo, un racconto urbico e umano che ha la necessità di mostrare una nuova grammatica perché non resti muta. Essa si muove e determina nuovi segni, genesi di nuove narrazioni, di felici o tragiche scoperte e ritrovati siti rinvigorendo la memoria della propria storia e cultura umana e insegnandone la lettura
A tal fine e nella piena consapevolezza di offrire il giusto esempio che attende solo la legittimità storica e semantica, il Partito del Sud,
CHIEDE
che vengano celebrati i martiri dimenticati della sua città, quelli di Pietrarsa con l’apposizione di lapide o istallazione stradale o urbana da definire
I MARTIRI DI PIETRARSA: rappresentazione dei fatti
Erano le tre del pomeriggio del 6 agosto del 1863.
Sui cancelli dell’opificio di Pietrarsa, - il primo e il più grande in assoluto in tutta l’Italia, posto proprio sul confine tra San Giovanni a Teduccio e San Giorgio-Portici -, degli operai aprono ignari a un gruppo di bersaglieri.
Non potevano sapere, inermi e sprovveduti, quale sciagura sarebbe accaduta in un baleno da quell’atto.
Erano stati chiamati dal un tale Zimmermann un fidato dirigente dell’impresa Bozza, che aveva chiesto la presenza del Delegato della Polizia con un primo soccorso di sei di quelli alla cancellata.
Nasceva dal timore che la massa di circa 600 operai, che s’era invelenita e aggruppata proprio nel primo grande piazzale davanti all’accesso, stavano impegnandosi in cori di protesta. La cosa aveva allarmato il nuovo proprietario della fabbrica, il signor Jacopo Bozza, “… uomo di dubbia fama, ex impiegato del Borbone, già proprietario e direttore del giornale
“La Patria” che vendutosi al nuovo governo aveva avuto, in merzede la concessione di Pietrarsa.
Quel pomeriggio era atterrito! Pare che allontanandosi di corsa inciampasse per ben tre volte. La storia era diventata insopportabile!
Sui cancelli dell’opificio di Pietrarsa, - il primo e il più grande in assoluto in tutta l’Italia, posto proprio sul confine tra San Giovanni a Teduccio e San Giorgio-Portici -, degli operai aprono ignari a un gruppo di bersaglieri.
Non potevano sapere, inermi e sprovveduti, quale sciagura sarebbe accaduta in un baleno da quell’atto.
Erano stati chiamati dal un tale Zimmermann un fidato dirigente dell’impresa Bozza, che aveva chiesto la presenza del Delegato della Polizia con un primo soccorso di sei di quelli alla cancellata.
Nasceva dal timore che la massa di circa 600 operai, che s’era invelenita e aggruppata proprio nel primo grande piazzale davanti all’accesso, stavano impegnandosi in cori di protesta. La cosa aveva allarmato il nuovo proprietario della fabbrica, il signor Jacopo Bozza, “… uomo di dubbia fama, ex impiegato del Borbone, già proprietario e direttore del giornale
“La Patria” che vendutosi al nuovo governo aveva avuto, in merzede la concessione di Pietrarsa.
Quel pomeriggio era atterrito! Pare che allontanandosi di corsa inciampasse per ben tre volte. La storia era diventata insopportabile!
Dei 1050 operai, assunti e cresciuti durante i 15 anni di attività, ossia dal 1840, giorno in cui Ferdinando II inaugurò l’officina, ebbene nel 1861 s’erano già ridotti a 800.
Le maestranza sapevano che taluni appalti già s’avviavano verso la settentrionale Ansaldo che impiegava la metà degli operai.
Ma la corsa al trasferimento o smobilitazione di tutte le risorse industriali del meridione aveva preso una perversa velocità.
Dopo l’Inghilterra e la Francia, il polo industriale di massima produzione e prosperità, era proprio quello del Regno delle Due Sicilie. La diminuzione dei dazi sulle importazioni ed esportazioni aveva accresciuto enormemente il divario di produzione e benessere tra il meridione e il povero Nord e “Non ci si può stupire, a questo punto,che nel 1856, l’Esposizione Internazionale di Parigi abbia premiato il Regno Delle Due Sicilie come terzo paese al mondo per sviluppo industriale”.
Forse fu, invece un losco compagno del Bozza, un certo Pinto, ex impiegato e collaboratore che chiese una intera guarnigione di bersaglieri presente in Portici. Non sappiamo come furono raccontati i fatti al Maggiore.
Le maestranza sapevano che taluni appalti già s’avviavano verso la settentrionale Ansaldo che impiegava la metà degli operai.
Ma la corsa al trasferimento o smobilitazione di tutte le risorse industriali del meridione aveva preso una perversa velocità.
Dopo l’Inghilterra e la Francia, il polo industriale di massima produzione e prosperità, era proprio quello del Regno delle Due Sicilie. La diminuzione dei dazi sulle importazioni ed esportazioni aveva accresciuto enormemente il divario di produzione e benessere tra il meridione e il povero Nord e “Non ci si può stupire, a questo punto,che nel 1856, l’Esposizione Internazionale di Parigi abbia premiato il Regno Delle Due Sicilie come terzo paese al mondo per sviluppo industriale”.
Forse fu, invece un losco compagno del Bozza, un certo Pinto, ex impiegato e collaboratore che chiese una intera guarnigione di bersaglieri presente in Portici. Non sappiamo come furono raccontati i fatti al Maggiore.
Ai restanti operai, poco meno di 600, era stato assicurato il rientro dei 440 circa messi diciamo in attesa. Venne detto loro che bisognava ulteriormente diminuire la paga e aumentare le ore di lavoro, da 10 a 11 ore ad dì e la paga ch’era di 35 grana era già intanto passata a 30. Il contratto d’appalto non prevedeva questo come neppure l’allontanamento dei compagni. Era inspiegabile che le commesse sparissero. Si minacciava il licenziamento di altri 200 maestranze. Il 31 Luglio 1863 gli operai scendono ad appena 458 ma se ne prevedono altri. Allora, i residuiminacciarono di lasciare la fabbrica a fronte dell’insulsa ingiustizia e offesa alla loro professionalità. Chiedevano, allora il certificato di “buon servito” che veniva negato. Ecco i fatti!
Trascriviamo ciò che venne raccolto da Aldo Jaco, pagg.215-216“il brigantaggio meridionale:
“ Ma ecco che invece giunsero i bersaglieri con le baionette in canna: gli operai stessi che erano tutti inermi aprirono il cancello, ed i soldati con impeto inqualificabile si slanciarono su di essi sparando i fucili e tirando colpi baionetta alla cieca, trattandoli da briganti e non da cittadini italiani, qual erano quegli infelici!...Il capitano che dirigeva i lavori ( era piemontese e interno alla fabbrica per altri incarichi) e del quale abbiamo accennato più sopra, si fece innanzi con kèpi in mano, e gridando a nome del Re fece cessare l’ira soldatesca (…) Fu una scena di sangue che amareggerà l’anima di ogni italiano, che farà meravigliare gli stranieri e gioire i nemici interni. Cinque operai rimasero morti (sul piazzale) per quanto si asserisce: altri che gettaronsi in mare, cercando di salvarsi a nuoto, ebbero delle fucilate nell’acqua, e due restarono cadaveri. I feriti son in tutto venti: sette feriti gravemente furono trasportati all’Ospedale de’ Pellegrini altri andarono nelle proprie case”
Trascriviamo ciò che venne raccolto da Aldo Jaco, pagg.215-216“il brigantaggio meridionale:
“ Ma ecco che invece giunsero i bersaglieri con le baionette in canna: gli operai stessi che erano tutti inermi aprirono il cancello, ed i soldati con impeto inqualificabile si slanciarono su di essi sparando i fucili e tirando colpi baionetta alla cieca, trattandoli da briganti e non da cittadini italiani, qual erano quegli infelici!...Il capitano che dirigeva i lavori ( era piemontese e interno alla fabbrica per altri incarichi) e del quale abbiamo accennato più sopra, si fece innanzi con kèpi in mano, e gridando a nome del Re fece cessare l’ira soldatesca (…) Fu una scena di sangue che amareggerà l’anima di ogni italiano, che farà meravigliare gli stranieri e gioire i nemici interni. Cinque operai rimasero morti (sul piazzale) per quanto si asserisce: altri che gettaronsi in mare, cercando di salvarsi a nuoto, ebbero delle fucilate nell’acqua, e due restarono cadaveri. I feriti son in tutto venti: sette feriti gravemente furono trasportati all’Ospedale de’ Pellegrini altri andarono nelle proprie case”
Quel pomeriggio, in quel piazzale, nacque il primo sciopero di lavoratori a cui erano stato sottratto, col sangue, appannaggi e diritti concordati ma avvenne anche il primo eccidio spietato e inumano contro una massa impotente che difendeva non solo i propri diritti per il lavoro, mai visto e sentito prima in qualsiasi parte del mondo, ma soprattutto l’orgoglio di una umanità sfrontatamente offesa nella dignità e fieramente radicati nella storia dei propri
luoghi.
luoghi.
COLLOCAZIONE: Riteniamo utile ribadire che la denominazione del nuovo toponimo dovrebbe, in prima e non comunque esclusiva istanza, rispondere al naturale principio che gli eventi abbiano una manifesta corrispondenza con i luoghi e, dunque, limitare la collocazione della lapide o targa stradale, proprio nell’area urbana/ Comune, in cui avvennero i luttuosi fatti.
Arch. Bruno Pappalardo
in nome e per conto del
PARTITO DEL SUD
in nome e per conto del
PARTITO DEL SUD
Fonti: Gustavo Rinaldi, “il Regno delle Due Sicilie, tutta la verità” pagg.276-277 – ed.
Controcorrente 2001
Gigi Di Fiore, “ Controstoria dell’Unità d’Italia” fatti e misfatti del
Risorgimento”pagg.186-187 – Ed. Rizzoli 2007
Gigi Di Fiore, articolo “Pietrarsa, la strage operaia dimenticata: dopo 150 anni Napoli
ricorda l’eccidio” 01.05.2013. da “ il Mattino”
Giordano Bruno Guerri: Il sangue del Sud” , pagg. 39, 40, 41, le Scie, Mondadori
Archivio di Stato di Napoli, “Fondo Questura”, Fascio 16, inventario 78. Citato in: Angelo Forgione – 1º Maggio. Napoletane le prime vittime operaie Pietrarsa 1863: Bersaglieri e Carabinieri sparano sui lavoratori.
Il museo nazionale di Pietrarsa. pdf a pag 21
Carlo Ciccarelli, Stefano Fenoaltea (Luglio 2010). Through the Magnifying Glass: Provincial Aspects of Industrial Growth in Post-Unification Italy. Quaderni di Storia Economica (in inglese).
Fenoaltea, Stefano (2007). I due fallimenti della storia economica: il periodo post-unitario. Rivista di Politica Economica (in italiano).
Mario Di Gianfrancesco, La rivoluzione dei trasporti in Italia nell'età risorgimentale, 1979, L'Aquila, pp. 151 ss.
.
Nessun commento:
Posta un commento