Di Natale Cuccurese
Il 25 aprile è una data storica ricca di significato che segna la riconquistata libertà per tutti gli italiani, dopo una guerra civile dai contorni crudeli, contro la barbarie nazifascista.
Negli ultimi anni, come spesso accade in questo paese dalla memoria corta, alcuni cercano di dare un significato, una interpretazione, a questa ricorrenza in base al proprio credo "ideologico", ammantandola di eroismo o di viltà a seconda del campo in cui si milita, confidando sulla distrazione o sulla ignoranza storica.
Il 25 aprile ricorda la seconda guerra civile italiana della storia contemporanea, una guerra fratricida e feroce che non risparmiò le popolazioni da sud a nord e che provocò immani danni fisici e morali.
La prima guerra civile risale al 1860, quando il Regno delle Due Sicilie fu invaso dalle truppe piemontesi; ne seguirono 10 anni di resistenza delle popolazioni meridionali che infine furono soggiogate con le armi.
In quel caso i partigiani meridionali, avendo perso, furono definiti "Briganti" e condannati, come sempre accade ai vinti, alla damnatio memoriae da scrittori salariati al soldo dei vincitori.
I “Banditen” del secondo conflitto mondiale per fortuna, loro e nostra, invece vinsero e ancor oggi vengono definiti, giustamente, Partigiani.
Sarebbe quindi il caso di ricordare e riscoprire, per la prima guerra civile, verità storiche e pagine non degne del processo unitario e restituire onore e giustizia a migliaia di vittime innocenti, per analizzare con onestà e serenità il complesso svolgimento del processo di unificazione del Paese, cercando di riconoscerne gli errori e i limiti che hanno comportato gravi sofferenze per molti degli italiani stessi, nella convinzione che la verità storica, e non la rimozione, sia la terapia migliore per lenire le lacerazioni del passato per superarle nei valori della modernità democratica consolidata dalla Costituzione Repubblicana del 1948.
Mai come in questo caso è necessario ribadire che solo la verità rafforza l’unità, così come il superamento di discriminazioni, odi e rancori che dopo tanti anni sarebbe comunque bene superare.
Sarebbe anche il caso, per dare un significato preciso al ricordo della Resistenza e al ritorno alla libertà e all’unità del paese che questa produsse e affinchè questa unità sia reale e non pomposo ma vuoto esercizio retorico, riscoprire alcuni dei molti valori della Resistenza, ricordare che alla Resistenza parteciparono attivamente e valorosamente tanti meridionali, anche in formazioni partigiane del nord, e che la prima città a liberarsi grazie ad un moto spontaneo di popolo fu Napoli durante le 4 giornate, così come riscoprire e finalmente applicare gli articoli della Costituzione che dalla Resistenza trascende. Articoli che se fossero stati applicati non avrebbero permesso l’attuale rovinoso stato economico e politico del Sud, e quindi dell’intero paese, e nemmeno la pericolosa deriva economica e sociale che viviamo e che si esplicita, da sempre, nella diseguaglianza di investimenti sui territori e quindi di opportunità fra i cittadini ed aziende del nord e del sud all’interno dello stesso Stato, diseguaglianze che vanno al più presto rimosse, foriere di pericoli per la tenuta democratica del paese e quindi per la libertà di tutti.
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Di Natale Cuccurese
Il 25 aprile è una data storica ricca di significato che segna la riconquistata libertà per tutti gli italiani, dopo una guerra civile dai contorni crudeli, contro la barbarie nazifascista.
Negli ultimi anni, come spesso accade in questo paese dalla memoria corta, alcuni cercano di dare un significato, una interpretazione, a questa ricorrenza in base al proprio credo "ideologico", ammantandola di eroismo o di viltà a seconda del campo in cui si milita, confidando sulla distrazione o sulla ignoranza storica.
Il 25 aprile ricorda la seconda guerra civile italiana della storia contemporanea, una guerra fratricida e feroce che non risparmiò le popolazioni da sud a nord e che provocò immani danni fisici e morali.
La prima guerra civile risale al 1860, quando il Regno delle Due Sicilie fu invaso dalle truppe piemontesi; ne seguirono 10 anni di resistenza delle popolazioni meridionali che infine furono soggiogate con le armi.
In quel caso i partigiani meridionali, avendo perso, furono definiti "Briganti" e condannati, come sempre accade ai vinti, alla damnatio memoriae da scrittori salariati al soldo dei vincitori.
I “Banditen” del secondo conflitto mondiale per fortuna, loro e nostra, invece vinsero e ancor oggi vengono definiti, giustamente, Partigiani.
Sarebbe quindi il caso di ricordare e riscoprire, per la prima guerra civile, verità storiche e pagine non degne del processo unitario e restituire onore e giustizia a migliaia di vittime innocenti, per analizzare con onestà e serenità il complesso svolgimento del processo di unificazione del Paese, cercando di riconoscerne gli errori e i limiti che hanno comportato gravi sofferenze per molti degli italiani stessi, nella convinzione che la verità storica, e non la rimozione, sia la terapia migliore per lenire le lacerazioni del passato per superarle nei valori della modernità democratica consolidata dalla Costituzione Repubblicana del 1948.
Mai come in questo caso è necessario ribadire che solo la verità rafforza l’unità, così come il superamento di discriminazioni, odi e rancori che dopo tanti anni sarebbe comunque bene superare.
Sarebbe anche il caso, per dare un significato preciso al ricordo della Resistenza e al ritorno alla libertà e all’unità del paese che questa produsse e affinchè questa unità sia reale e non pomposo ma vuoto esercizio retorico, riscoprire alcuni dei molti valori della Resistenza, ricordare che alla Resistenza parteciparono attivamente e valorosamente tanti meridionali, anche in formazioni partigiane del nord, e che la prima città a liberarsi grazie ad un moto spontaneo di popolo fu Napoli durante le 4 giornate, così come riscoprire e finalmente applicare gli articoli della Costituzione che dalla Resistenza trascende. Articoli che se fossero stati applicati non avrebbero permesso l’attuale rovinoso stato economico e politico del Sud, e quindi dell’intero paese, e nemmeno la pericolosa deriva economica e sociale che viviamo e che si esplicita, da sempre, nella diseguaglianza di investimenti sui territori e quindi di opportunità fra i cittadini ed aziende del nord e del sud all’interno dello stesso Stato, diseguaglianze che vanno al più presto rimosse, foriere di pericoli per la tenuta democratica del paese e quindi per la libertà di tutti.
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