Di Bruno Pappalardo
D’accordo, …bene, celebriamo la ricorrenza dei 25 anni dalla caduta del Muro di Berlino. Vorrà dire che utilizzeremo ancora la RETORICA, la cripto-bellicista e pseudo-democratica.
Certamente,…rappresenta l’evento simbolico che maggiormente ha segnato un’epoca e potrebbe segnarne altre, appunto in quanto simbolo.
Quella di una Europa, all’epoca, lotta di due potenze, due ideologie che si contrastavano (ideologia per chi crede a Babbo Natale) ma soprattutto per motivi esclusivamente colonialistici o meglio dire economici.
I MURI significano sottrarre ( ma anche proteggere) ricchezza ad altri, appropriarsi di terre e gente che produce e creare condizioni ideali dove il popolo riesce a campare più o meno tranquillo ma dove, però, la governance, il management, sta ancora meglio, ricco e gaudente e superlativamente bene e, ancor di più, la finanza mondiale
La città di Berlino a partire da quel pomeriggio del 9 novembre 1989, ha rappresentato una speranza per una nuova epoca senza più divisioni in tutto il mondo e primariamente in Europa si è specchiata in questa mutazione. MA È VERAMENTE COSI?
Il paradosso è che i confini invece di diminuire sono aumentati proprio nel corpo dell ’Europa.
Marcuse diceva: “i conflitti più incandescenti riguardano proprio lo spazio, il suo utilizzo e la sua delimitazione. E proprio le città - alcune città in particolare - stanno diventando i campi di battaglia, anche simbolica, delle nuove divisioni e delle nuove appartenenze contrapposte”.
L’appartenenza etnica ha assunto una funzione determinante nei conflitti e nelle battaglie di conquista per lo spazio fisico, per l’appartenenza ad una città o ad un territorio, come ad esempio è avvenuto e resta nell’area balcanica dell’ex Jugoslavia.
Sorvolando su una quantità di autonomie sorte proprio negli anni della nascita della UE, e di questi mesi, (es: Scozia quest’anno con un referendum per un pelo ha perso la sua indipendenza) parliamo invece dei piccoli territori in guerra. La Catalogna, regione della Spagna il 10/11 novembre di quest’anno ha lancia un referendum con un segno chiarissimo: i catalani vogliono l’indipendenza, dunque, una sorta di “muro”!
La stessa storia dell’URSS è un paradosso! Inutile adesso parlare della frammentazione in decine di repubbliche come la Lituania, Moldavia, Estonia, Lettonia, Armenia, Georgia ma, invece quelli di quest’anno; i sanguinosi tentativi dell’Ucraina e Bielorussia. Nella stessa città di Kiev (100 morti) si è combattuto sui pianerottoli e tra condomini ad Est contro quelli ad Ovest, in cerca di indipendenza o restaurazione… e poi, prima ancora Valga-Valka tra Estonia e Lituania, Komárom-Komárno tra Ungheria e Slovacchia e Cieszyn-Ceský Tesín tra Polonia e Repubblica Ceca.
Potrei fare un lungo elenco di luoghi d’Europa che /come il Kosovo) ancora vogliono i loro muri.
La divisione di territori, di città e di spazi contesi è ormai divenuta la soluzione più seguita nelle risoluzioni relative a situazioni di contrapposizione su base nazionalista, religiosa e linguistica. In questo senso possiamo, senza esagerare, parlare di una nuova epoca di muri.
Ma insomma bisogna unirsi o dividersi secondo anche una propria identità etnico-culturale?
Ci accorgiamo che una delle grandi contraddizioni è che mentre nascono sempre nuovi stati e si rafforza di nuovo l’idea dello stato-nazione, ad essere in crisi è proprio la statualità. Nasce una enorme contraddizione. Lo Stato come luogo generale dei diritti e sistema democratico. Diventa, esso, baluardo comunitario di proprietà, e ri-nasce l’idea di confine per stabilire e definire chi è maggioranza e minoranza a diversi livelli territoriali.
Allora confini possono essere le chiese e i luoghi di culto, prima distrutti con ferocia, ora sostituiti e ricostruiti, più di quanti ce ne fossero nel 1992. Minareti si stagliano nel paesaggio, le croci sempre più grandi, campanili ancor più alti. I confini sono le bandiere, perché determinano l’etnia nel territorio e issate sui ponti, su viadotti, all’ingresso di gallerie, sulle strade e sulle case. I confini sono i cartelli stradali, in territorio “ serbo” scritti con i caratteri cirillici, e quindi di difficile comprensione e che non contengono le segnalazione per le città dell’altra entità politica della Bosnia. I confini sono le scuole, divise fisicamente ma nei contenuti, dove la narrazione della storia prende forma diversa a seconda dell’appartenenza, che determina vincitori e vinti, vittime e carnefici.
I confini possono essere i ponti come é avvenuto a Mostar e a Mitrovica, città divise del Kosovo diviso. . Guardando oggi i ponti di Mostar e Mitrovica ci rendiamo conto che è ben lontana da quello che abbiamo sperato col MURO di BERLINO Mostar oggi è più divisa che mai, nelle scuole, nelle strade.
Ora vogliamo parlare del nostro SUD o lo abbiamo già fatto?
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