Oggi 28/3/2014, leggendo su Repubblica l’articolo “L’ultima polemicasu Lombroso, minacce alla studiosa che lo difende”, scritto da un
giornalista che, a mio sommesso avviso, farebbe meglio a documentarsi prima di
scrivere, ho capito che continuano le falsità sul popolo meridionale.
Come si fa a negare la realtà e dire che “esponenti di quei movimenti neo-borbonici e
antiunitari che da tempo, mediante un sostanziale stravolgimento e una
manipolazione della storia d’Italia e del Risorgimento, impazzano sul web,
attaccando e insultando chiunque non la pensi come loro”?
Le nostre contestazioni, come Partito del
Sud, sono state e sempre saranno improntate al rispetto ed alla civiltà. Anzi
prendiamo fermamente le distanze da tutti coloro che eventualmente abbiano
proferito insulti o minacce all’indirizzo della Dott.ssa Milicia alla quale
facciamo pervenire, pur nella diversità delle idee, la nostra più sentita
solidarietà umana. Tuttavia ci corre l’obbligo di sottolineare quanto segue.
Il Regno delle Due Sicilie era lo Stato
pre-unitario più prospero, dove l'emigrazione era sconosciuta e la cui
popolazione non aveva alcun desiderio di unirsi alla restante parte della
penisola. La sua posizione strategica al centro del Mediterraneo e la sua
politica di fiera indipendenza, cozzavano con gli interessi delle grandi
potenze europee e dei Savoia.
Prima
dell’annessione forzata, il Regno delle Due Sicilie aveva una riserva aurea di
ben 443,2 in milioni di lire (Giuseppe Ressa e Alfonso Grasso,
Il Sud e l'Unità d'Italia; dati ricavato da: Francesco Saverio Nitti, Scienze delle Finanze) contro gli 8,1 milioni di lire della
Lombardia ed i 27,00 del Piemonte. Quindi, il
Regno delle Due Sicilie aveva quasi due volte più monete di tutti gli altri
Stati della Penisola uniti assieme.
Dai dati ufficiali del primo censimento del
Regno d’Italia del 1861 si evince che:
- La
regione con la più alta percentuale di popolazione attiva occupata
nell’industria era la Calabria (28,8%) seguita dalla Campania (23,2%) e dalla
Sicilia (23,1%).
- La
più alta percentuale di occupati nell’agricoltura era in Valle d’Aosta (90%),
seguiva il Friuli Venezia Giulia (81,8%) e in fine Piemonte e Umbria (81,1%).
Nel 1859 il Regno di Napoli aveva un debito pubblico
(Giacomo Savarese 1862) di 411.475.000 milioni contro i 1.121.430.000 milioni
del Piemonte (59,03 debito pro-capite nel Regno di Napoli contro i 261,86 del
Piemonte).
Fino al 1860 l’emigrazione riguardava: Veneto
(17,90 %), Friuli-Venezia Giulia (16,1%) e Piemonte (13,50%), mentre era quasi
sconosciuta al Sud.
Nessuno ha mai detto che Giuseppe Villella di
Motta S. Lucia sia stato un eroe; tutti invece pensiamo che sia stato uno dei
tanti martiri del Risorgimento.
Infatti, il “presunto brigante”
Giuseppe Villella, nacque a Motta S. Lucia nel 1795, secondo quanto scrisse
Cesare Lombroso nella relativa autopsia del 16 agosto 1864, riportata
integralmente dal direttore del Museo Universitario Silvano Montaldo nel suo
libro, scritto insieme a Paolo Tappero (pag. 5). Ebbene,
consultando gli archivi dei processi, dal 1816 al 1862, svolti dalla Gran Corte
Criminale di Catanzaro e da quella di Cosenza nonché i processi dei Tribunali
di Nicastro e di Cosenza del 1863 e 1864, si può affermare con assoluta
certezza che, il Giuseppe Villella in oggetto, non fu un brigante ma un uomo
totalmente estraneo a fatti malavitosi.
E’ pure vero che un Giuseppe Villella, di Pietro, di Motta S. Lucia
nato intorno al 1804, fu coinvolto in un solo processo nel 1844, per un reato talmente lieve da essere condannato solo alla
relegazione “….per avere assistito e facilitato Carmine
Ajello, la notte del 29 luglio 1843, ad un furto, inferiore a trenta carlini,
ai danni di Nicola Gigliotti suo compaesano….”
Giuseppe Villella
di Pietro, però, morì all'Ospedale S. Matteo di
Pavia il 15 Novembre del 1864, in una data e per
una malattia diversa da quella indicata dall’antropologo.
Voglio sottolineare, da ultimo, che la storia scritta
dai vincitori non ci interessa e non ci convince più. Vogliamo la verità
storica sul risorgimento. Vogliamo che i nostri giovani sappiano che si è
trattato di un massacro con annessa rapina. Pontelandolfo e Casalduni, le altre
stragi, le fucilazioni e gli stupri ai danni di meridionali civili inermi non
sono più nascosti. Uno stato civile e progredito come l’Italia non può più
nascondere la verità dietro gli scritti di “pennivendoli salariati”, anzi, per
dirla con Antonio Gramsci: “Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e
fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi
i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di
briganti”.
Francesco Antonio Cefalì (Coordinatore Sezione Michelina De Cesare
Partito del Sud Lamezia Terme)
Franco Gallo (Coordinatore Provinciale Partito del Sud Catanzaro)
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