di Gigi Di Fiore
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Fonte: Il Mattino |
Diciamocela tutta: quando un libro sul Sud viene scritto da autori del Nord ne diffidiamo "a prescindere". E' come se vivessimo una violenza, una prevaricazione da parte di chi "viene da fuori", legge qualcosa, sintetizza, accorcia, taglia, cuce, ricuce e poi scrive tirando le sue conclusioni.
Forse è anche questo l'atteggiamento psicologico che, nelle regioni meridionali, sta per accogliere "Se muore il Sud", l'annunciato libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella che, per l'occasione, dicono addio a Rizzoli per saltare sul carro della Feltrinelli editore. La stessa casa editrice che ha ristampato il libro-reportage scritto nel 1992 da Giorgio Bocca: "L'inferno". Un libro, quello, che schiumava rabbia, spesso pressapochismo, insofferenza verso atteggiamenti e realtà meridionali.
Nel caso delle pagine dei due giornalisti, autori del fortunato "La casta", l'analisi è più complessa. A quattro mani, si lavora meglio: c'è chi raccoglie, legge, ascolta spiegazioni e il lavoro può essere suddiviso. La Sicilia, la Calabria, la 'ndrangheta al nord, i furbi dalle pensioni di invalidità fasulle, la terra dei veleni, Bagnoli, i trasporti, la sanità: un ampio campionario, che raccoglie materiale da pezzi giornalistici, siti come opencoesione.it, qualche conosciuto testo del passato di più autori (Nitti, Serao, forse Fucini, oltre Bocca).
Poi (poteva mai mancare, se la rilettura storica risorgimentale è assai più popolare delle analisi economiche?) la critica a chi trova negli eventi di 152 anni fa le spiegazioni assorbenti di ogni arretratezza meridionale. Critica liquidata, tout court, con la parola "neoborbonismo". La storia non può spiegare tutto, ma è conoscenza in più delle proprie radici e degli eventi che hanno portato il Mezzogiorno a diventare parte dell'Italia unita. Poi, naturalmente, ci deve essere anche dell'altro, per spiegare e analizzare le ragioni dei problemi in cui ci dibattiamo al Sud.
E qui, lo ripeto spesso anche quando presento in tutt'Italia i miei libri, dobbiamo essere noi meridionali per primi ad evitare di piangerci addosso. Basta con gli è colpa sempre degli altri, siamo così perchè da fuori, etc. L'ho scritto a chiusura del mio "Controstoria della liberazione" (edito da Rizzoli nel 2012 e ora BUR-Rizzoli): dobbiamo smetterla con il nostro atteggiamento di passività sugli eventi storici, la nostra perenne attesa che ci sia sempre chi da fuori venga a "liberarci" da qualcosa o da qualcuno.
E cominciare per primi significa superare la rassegnazione, il voto a chi promette posti, o scarpe in regalo dandocene una in anticipo per poi consegnarci la seconda ad elezione avvenuta. Significa non aspettare sempre che i giochi dei vincitori siano fatti per poi salire sul loro carro. Vizi italici, che al Sud si esasperano per eccesso di bisogni, altrove visti come assenza di volontà del fare.
Gramsci teorizzava la mancanza di vere rivoluzioni in Italia, la costante presenza, specie al Sud, di "rivoluzioni passive" alla maniera di Cuoco. Solo la guerra contadina del brigantaggio la ritenne cosa diversa. Come la ritenne diversa Carlo Levi.
Ecco, credo si debbano utilizzare libri come quelli di Stella e Rizzo per capire cosa, nel resto d'Italia, dà più fastidio del meridionale, con il rischio di farlo diventare stereotipo valido per tutti quelli che vivono a sud di Roma: vittimismo, furbizia, passività negli eventi. Atteggiamenti che alimentano una classe dirigente clientelare e furbetta, quella sì, che fa il gioco di interessi lontani dalle nostre terre. Bene, capiamolo una volta per tutte. E reagiamo. Con responsabilità, preparazione, coscienza politica. Dobbiamo comprendere che il riscatto del Sud comincia proprio da chi ci è rimasto a vivere e lavorare. E che i guasti nascono anche da chi vive tra noi e non paga le tasse, chiude gli occhi dinanzi alle mafie, non rispetta le regole del convivere civile, urla e poi fa ciò che vuole infischiandosene degli altri.
Insomma, le auto assoluzioni meridionali a prescindere non servono. Non aspettiamo sempre che ce lo vengano a dire "da fuori". Siano anche fior di professionisti e saggisti come Stella e Rizzo.
Forse è anche questo l'atteggiamento psicologico che, nelle regioni meridionali, sta per accogliere "Se muore il Sud", l'annunciato libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella che, per l'occasione, dicono addio a Rizzoli per saltare sul carro della Feltrinelli editore. La stessa casa editrice che ha ristampato il libro-reportage scritto nel 1992 da Giorgio Bocca: "L'inferno". Un libro, quello, che schiumava rabbia, spesso pressapochismo, insofferenza verso atteggiamenti e realtà meridionali.
Nel caso delle pagine dei due giornalisti, autori del fortunato "La casta", l'analisi è più complessa. A quattro mani, si lavora meglio: c'è chi raccoglie, legge, ascolta spiegazioni e il lavoro può essere suddiviso. La Sicilia, la Calabria, la 'ndrangheta al nord, i furbi dalle pensioni di invalidità fasulle, la terra dei veleni, Bagnoli, i trasporti, la sanità: un ampio campionario, che raccoglie materiale da pezzi giornalistici, siti come opencoesione.it, qualche conosciuto testo del passato di più autori (Nitti, Serao, forse Fucini, oltre Bocca).
Poi (poteva mai mancare, se la rilettura storica risorgimentale è assai più popolare delle analisi economiche?) la critica a chi trova negli eventi di 152 anni fa le spiegazioni assorbenti di ogni arretratezza meridionale. Critica liquidata, tout court, con la parola "neoborbonismo". La storia non può spiegare tutto, ma è conoscenza in più delle proprie radici e degli eventi che hanno portato il Mezzogiorno a diventare parte dell'Italia unita. Poi, naturalmente, ci deve essere anche dell'altro, per spiegare e analizzare le ragioni dei problemi in cui ci dibattiamo al Sud.
E qui, lo ripeto spesso anche quando presento in tutt'Italia i miei libri, dobbiamo essere noi meridionali per primi ad evitare di piangerci addosso. Basta con gli è colpa sempre degli altri, siamo così perchè da fuori, etc. L'ho scritto a chiusura del mio "Controstoria della liberazione" (edito da Rizzoli nel 2012 e ora BUR-Rizzoli): dobbiamo smetterla con il nostro atteggiamento di passività sugli eventi storici, la nostra perenne attesa che ci sia sempre chi da fuori venga a "liberarci" da qualcosa o da qualcuno.
E cominciare per primi significa superare la rassegnazione, il voto a chi promette posti, o scarpe in regalo dandocene una in anticipo per poi consegnarci la seconda ad elezione avvenuta. Significa non aspettare sempre che i giochi dei vincitori siano fatti per poi salire sul loro carro. Vizi italici, che al Sud si esasperano per eccesso di bisogni, altrove visti come assenza di volontà del fare.
Gramsci teorizzava la mancanza di vere rivoluzioni in Italia, la costante presenza, specie al Sud, di "rivoluzioni passive" alla maniera di Cuoco. Solo la guerra contadina del brigantaggio la ritenne cosa diversa. Come la ritenne diversa Carlo Levi.
Ecco, credo si debbano utilizzare libri come quelli di Stella e Rizzo per capire cosa, nel resto d'Italia, dà più fastidio del meridionale, con il rischio di farlo diventare stereotipo valido per tutti quelli che vivono a sud di Roma: vittimismo, furbizia, passività negli eventi. Atteggiamenti che alimentano una classe dirigente clientelare e furbetta, quella sì, che fa il gioco di interessi lontani dalle nostre terre. Bene, capiamolo una volta per tutte. E reagiamo. Con responsabilità, preparazione, coscienza politica. Dobbiamo comprendere che il riscatto del Sud comincia proprio da chi ci è rimasto a vivere e lavorare. E che i guasti nascono anche da chi vive tra noi e non paga le tasse, chiude gli occhi dinanzi alle mafie, non rispetta le regole del convivere civile, urla e poi fa ciò che vuole infischiandosene degli altri.
Insomma, le auto assoluzioni meridionali a prescindere non servono. Non aspettiamo sempre che ce lo vengano a dire "da fuori". Siano anche fior di professionisti e saggisti come Stella e Rizzo.
Fonte: Il Mattino
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