La geotermia nel Sud può attrarre
molti investimenti e rappresentare una vera risorsa, può farlo perché è
sistemicamente capace di scoraggiare le infiltrazioni criminali e può favorire l’impegno
di giovani imprenditori se sostenuti dallo Stato attraverso politiche
lungimiranti. Un comparto dall’alto valore potenziale in tutte le regioni del
Mezzogiorno (particolarmente in quelle dell’obiettivo convergenza, come
sottolineato dal
progetto VIGOR), ognuna con varie applicazioni di questa fonte:
dal riscaldamento/raffrescamento alla produzione elettrica, fino agli usi
termali e turistici.
Un comparto che può sfruttare nel
Meridione d’Italia i bonus previsti dall’incentivo, data la grande quantità di
territori mai interessati da progetti geotermici - in greenfield - che possono rimettere in moto quell’industria di esplorazione del
sottosuolo fondamentale non solo per l’uso del potenziale geotermico, ma anche
per la ricerca di tutte quelle risorse della terra, in particolare materie
prime e metalli, fondamentali per realizzare tecnologie e infrastrutture.
Quest’ultime, ad esempio, indispensabili per quella rivoluzione smart city e smart grid che auspica di trasformare il Sud e l’Italia intera.
Come spiega Fedora Quattrocchi, responsabile Unità funzionale “Geochimica dei
Fluidi, Stoccaggio geologico e Geotermia", sezione Sismologia e
Tettonofisica dell’Istituto Nazionale
Geofisica e Vulcanologia, In termini di potenziale geotermico «il Meridione
d’Italia è molto più ricco del Nord, anche perché si tratta di zone molto meno
densamente abitate». Per fare pochi esempi: «In Puglia ci sono zone di faglie mosse negli ultimi secoli, come
quella di Manfredonia o di Apricena Poggio Imperiale, la faglia del Candelaro, la piana di Foggia, dove
c’è presenza di acqua calda. Sono siti dove si può fare media entalpia»; con
cui è possibile anche la produzione elettrica.
Nel corso della “
39th Courseof the International School of Geophysics” tenuto a Erice alla fine di settembre, «abbiamo fatto vede un grafico
per la Sicilia che considera due modelli: un insieme dei fattori predisponenti
per la geotermia e uno dei fattori di rischio. Unendo i due modelli si è creata
una mappa della
Sicilia in cui si riscontrano
le aree più idonee. Questo sistema ha destato il grande interesse per i player stranieri
presenti».
Nonostante il valore potenziale
accennato, non sempre si riesce a integrare le necessità dei progetti
geotermici con quelle del mercato attuale. Condizione che molto spesso ha
premiato nel Sud la diffusione di impianti rinnovabili di più immediato
ritorno. «Spesso si preferiscono progetti che hanno un ritorno per l’investitore entro i primi cinque anni, mentre la
geotermia ha dei ritorni sui dieci. Ecco, questo è un problema, perché
soprattutto il giovane imprenditore è disincentivato a puntare sulla geotermia
rispetto ad altre filiere di più rapido ritorno, soprattutto alla luce del
sistema di incentivazione che c’è stato nel passato».
In questo modo però, prosegue la
professoressa Quattrocchi: «Si fa morire il settore della “economic geology”, che permette di fare una ricerca di base molto
accurata, oltre alla ricerca applicata, per ritrovare le materie prime,
elementi fondamentali per creare quelle smart grid o smart city di cui tutti
parlano. Terre rare, rame, litio, selenio, elementi
che nessuna impresa nazionale cerca, mentre ci sono interi Paesi africani comprati
a pezzi per questo motivo da realtà cinesi, inglesi o francesi. Basti pensare
al litio necessario per le batterie, fondamentali per gestire l’integrazione
delle rinnovabili sulla rete».
Una delle critiche consolidate (e
ormai entrata di diritto nell’immaginario collettivo grazie anche alla fiction
televisiva italiana) è l’accusa di collusione tra la realizzazione di impianti
da fonti di energia rinnovabili e criminalità
a vario livello. È pensabile una commistione di questo tipo anche per il
geotermico al Sud?
«No, perché la filiera geotermica è talmente complessa, soprattutto
dal punto di vista della ricerca scientifica che è sempre necessaria, con un
continuo bisogno dell’università, ad esempio, e con aziende generalmente dalle
“spalle larghe”. Certamente, una strada per tenere lontani gli interessi
criminali dalle FER sia modulare l’incentivo sulla produzione di energia e non
sul solo installato». Dunque, la geotermia come un settore no criminalità: “No-Crim”!
Le operazioni del sottosuolo,
tradizionalmente, generano una forte apprensione nella società civile e nelle comunità
locale che di volta in volta sono interessate da progetti geotermici, di
estrazione degli idrocarburi, di stoccaggio di CO₂ (CCS), e d’infrastrutturazione generale. Tale apprensione si traduce
in un immediato sfogo di protesta e contestazione che genera l’ormai noto
effetto NIMBY (not in my back yard),
senza che la politica locale riesca a intervenire con un approccio realmente
laico su argomenti e discussioni. Se a ciò si aggiunge una generale
disinformazione su tecniche e scienza del sottosuolo, sia a livello di
amministrazioni locali (più gravemente), sia a livello di cittadinanza (più o
meno colpevolmente), se ne deriva un atteggiamento pregiudizievole per
qualsiasi attività del sottosuolo, anche quando esse prevedono un approccio di
sostenibilità per il territorio. A ciò si aggiunge, infine, che la politica locale vive di voti e i progetti del sottosuolo,
quando generano panico e ansia nella popolazione, tolgono consensi a chi li asostiene,
prescindendo dal beneficio economico e sociale che ne potrebbe derivare.
Data la forte influenza dei
poteri locali sulle attività energetiche territoriali, è forte il dibattito
sulla possibilità di rivedere quanto previsto dalla riforma del Titolo V del 2001, riconsegnando alcune competenze,
particolarmente in materia di energia, al solo Stato centrale, fuori dunque dalle materie concorrenti con le Regioni. Una necessità su cui si è
mosso recentemente lo stesso Governo Monti.
«Quello cui aspiro - conclude la
professoressa Quattrocchi - è una fase in cui lo Stato si prende cura di condurre
le perforazioni - come avviene, ad esempio, in nuova Zelanda - cominciando ad
aiutare l’operatore a condurre questa fase, anche con una forma di ritorno
dell’investimento successivo per lo Stato». Da valutare però «il problema delle
Regioni, che ha un meccanismo di quasi ricatto verso l’imprenditore, data la
loro
ricerca di consenso e di voto.
La geotermia, come ogni operazione del sottosuolo, toglie voti al politico. Dato
ciò, deve essere un settore di competenza dello Stato e non delle Regioni. In
Italia abbiamo un sottosuolo dello Stato che è gestito dalla Regione, la quale non
ha interessi di visione generale, ma localistici. Prendiamo ad esempio la
Basilicata, dove i Comuni hanno un forte potere di veto. Gli enti locali,
infine, devono dotarsi maggiormente di persone in grado di comprendere le varie
materie che le scienze del sottosuolo implicano, anche in modo da poter dare
maggiore sicurezza ai cittadini».
Fonte: laquestioneenergeticameridionale.blogspot.it
La geotermia nel Sud può attrarre
molti investimenti e rappresentare una vera risorsa, può farlo perché è
sistemicamente capace di scoraggiare le infiltrazioni criminali e può favorire l’impegno
di giovani imprenditori se sostenuti dallo Stato attraverso politiche
lungimiranti. Un comparto dall’alto valore potenziale in tutte le regioni del
Mezzogiorno (particolarmente in quelle dell’obiettivo convergenza, come
sottolineato dal
progetto VIGOR), ognuna con varie applicazioni di questa fonte:
dal riscaldamento/raffrescamento alla produzione elettrica, fino agli usi
termali e turistici.
Un comparto che può sfruttare nel
Meridione d’Italia i bonus previsti dall’incentivo, data la grande quantità di
territori mai interessati da progetti geotermici - in greenfield - che possono rimettere in moto quell’industria di esplorazione del
sottosuolo fondamentale non solo per l’uso del potenziale geotermico, ma anche
per la ricerca di tutte quelle risorse della terra, in particolare materie
prime e metalli, fondamentali per realizzare tecnologie e infrastrutture.
Quest’ultime, ad esempio, indispensabili per quella rivoluzione smart city e smart grid che auspica di trasformare il Sud e l’Italia intera.
Come spiega Fedora Quattrocchi, responsabile Unità funzionale “Geochimica dei
Fluidi, Stoccaggio geologico e Geotermia", sezione Sismologia e
Tettonofisica dell’Istituto Nazionale
Geofisica e Vulcanologia, In termini di potenziale geotermico «il Meridione
d’Italia è molto più ricco del Nord, anche perché si tratta di zone molto meno
densamente abitate». Per fare pochi esempi: «In Puglia ci sono zone di faglie mosse negli ultimi secoli, come
quella di Manfredonia o di Apricena Poggio Imperiale, la faglia del Candelaro, la piana di Foggia, dove
c’è presenza di acqua calda. Sono siti dove si può fare media entalpia»; con
cui è possibile anche la produzione elettrica.
Nel corso della “
39th Courseof the International School of Geophysics” tenuto a Erice alla fine di settembre, «abbiamo fatto vede un grafico
per la Sicilia che considera due modelli: un insieme dei fattori predisponenti
per la geotermia e uno dei fattori di rischio. Unendo i due modelli si è creata
una mappa della
Sicilia in cui si riscontrano
le aree più idonee. Questo sistema ha destato il grande interesse per i player stranieri
presenti».
Nonostante il valore potenziale
accennato, non sempre si riesce a integrare le necessità dei progetti
geotermici con quelle del mercato attuale. Condizione che molto spesso ha
premiato nel Sud la diffusione di impianti rinnovabili di più immediato
ritorno. «Spesso si preferiscono progetti che hanno un ritorno per l’investitore entro i primi cinque anni, mentre la
geotermia ha dei ritorni sui dieci. Ecco, questo è un problema, perché
soprattutto il giovane imprenditore è disincentivato a puntare sulla geotermia
rispetto ad altre filiere di più rapido ritorno, soprattutto alla luce del
sistema di incentivazione che c’è stato nel passato».
In questo modo però, prosegue la
professoressa Quattrocchi: «Si fa morire il settore della “economic geology”, che permette di fare una ricerca di base molto
accurata, oltre alla ricerca applicata, per ritrovare le materie prime,
elementi fondamentali per creare quelle smart grid o smart city di cui tutti
parlano. Terre rare, rame, litio, selenio, elementi
che nessuna impresa nazionale cerca, mentre ci sono interi Paesi africani comprati
a pezzi per questo motivo da realtà cinesi, inglesi o francesi. Basti pensare
al litio necessario per le batterie, fondamentali per gestire l’integrazione
delle rinnovabili sulla rete».
Una delle critiche consolidate (e
ormai entrata di diritto nell’immaginario collettivo grazie anche alla fiction
televisiva italiana) è l’accusa di collusione tra la realizzazione di impianti
da fonti di energia rinnovabili e criminalità
a vario livello. È pensabile una commistione di questo tipo anche per il
geotermico al Sud?
«No, perché la filiera geotermica è talmente complessa, soprattutto
dal punto di vista della ricerca scientifica che è sempre necessaria, con un
continuo bisogno dell’università, ad esempio, e con aziende generalmente dalle
“spalle larghe”. Certamente, una strada per tenere lontani gli interessi
criminali dalle FER sia modulare l’incentivo sulla produzione di energia e non
sul solo installato». Dunque, la geotermia come un settore no criminalità: “No-Crim”!
Le operazioni del sottosuolo,
tradizionalmente, generano una forte apprensione nella società civile e nelle comunità
locale che di volta in volta sono interessate da progetti geotermici, di
estrazione degli idrocarburi, di stoccaggio di CO₂ (CCS), e d’infrastrutturazione generale. Tale apprensione si traduce
in un immediato sfogo di protesta e contestazione che genera l’ormai noto
effetto NIMBY (not in my back yard),
senza che la politica locale riesca a intervenire con un approccio realmente
laico su argomenti e discussioni. Se a ciò si aggiunge una generale
disinformazione su tecniche e scienza del sottosuolo, sia a livello di
amministrazioni locali (più gravemente), sia a livello di cittadinanza (più o
meno colpevolmente), se ne deriva un atteggiamento pregiudizievole per
qualsiasi attività del sottosuolo, anche quando esse prevedono un approccio di
sostenibilità per il territorio. A ciò si aggiunge, infine, che la politica locale vive di voti e i progetti del sottosuolo,
quando generano panico e ansia nella popolazione, tolgono consensi a chi li asostiene,
prescindendo dal beneficio economico e sociale che ne potrebbe derivare.
Data la forte influenza dei
poteri locali sulle attività energetiche territoriali, è forte il dibattito
sulla possibilità di rivedere quanto previsto dalla riforma del Titolo V del 2001, riconsegnando alcune competenze,
particolarmente in materia di energia, al solo Stato centrale, fuori dunque dalle materie concorrenti con le Regioni. Una necessità su cui si è
mosso recentemente lo stesso Governo Monti.
«Quello cui aspiro - conclude la
professoressa Quattrocchi - è una fase in cui lo Stato si prende cura di condurre
le perforazioni - come avviene, ad esempio, in nuova Zelanda - cominciando ad
aiutare l’operatore a condurre questa fase, anche con una forma di ritorno
dell’investimento successivo per lo Stato». Da valutare però «il problema delle
Regioni, che ha un meccanismo di quasi ricatto verso l’imprenditore, data la
loro
ricerca di consenso e di voto.
La geotermia, come ogni operazione del sottosuolo, toglie voti al politico. Dato
ciò, deve essere un settore di competenza dello Stato e non delle Regioni. In
Italia abbiamo un sottosuolo dello Stato che è gestito dalla Regione, la quale non
ha interessi di visione generale, ma localistici. Prendiamo ad esempio la
Basilicata, dove i Comuni hanno un forte potere di veto. Gli enti locali,
infine, devono dotarsi maggiormente di persone in grado di comprendere le varie
materie che le scienze del sottosuolo implicano, anche in modo da poter dare
maggiore sicurezza ai cittadini».
Fonte: laquestioneenergeticameridionale.blogspot.it
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