di Maria Curci
Fonte: Affaritaliani.it
“Ricomincio da Sud. E’ qui il futuro d’Italia”, prodotto da Rubbettino Editore, è l’ultima opera letteraria di una delle voci e penne del Sud, tra le più autorevoli sulla questione meridionale: il giornalista e saggista Lino Patruno.
Da appassionato meridionalista, l’ex direttore della Gazzetta del Mezzogiorno invita ad intraprendere un viaggio di scoperta circumnavigando, ma soprattutto attraversando, per intero il Meridione: “Una visita guidata che spezzi il monopolio di un Sud mai descritto da se stesso, ma sempre pensato da altri solo come divario e sottosviluppo.”
Un viaggio che l’autore intraprende portando i lettori, specie se conterranei, a squarciare il velo su aspetti della propria terra, che ancora volutamente o inconsapevolmente s’ignorano. Un Meridione che conta eccellenze di un certo rispetto e di cui Patruno ci mette a conoscenza, deliziandoci con un provocatorio, tendente quasi al rimprovero, “Lo sapevate che?”. Per poi quasi sentenziare: “vedremo, come dicono i filosofi, che dove crescono i mali fioriscono le possibilità di salvezza. Vedremo che Mezzogiorno è l’ora dalla quale ripartirà tutto.”
L'INTERVISTA:
“Alle sponde del Mediterraneo”, “Alla riscossa terroni. Perché il Sud non è diventato ricco. Il caso Puglia”, “Fuoco del Sud. La ribollente galassia dei Movimenti Meridionali”, sono i titoli di alcuni dei libri da Lei scritti, fino ad arrivare all’ultimo nato “Ricomincio da Sud. E’ qui il futuro d’Italia”, tutti riguardanti la questione meridionale. Questo vituperato, e al contempo osannato, Sud - nonostante la globalizzazione economica mondiale, nonostante gli onnipresenti pruriti secessionistici di qualche politicante con annesso manipolo di seguaci, nonostante la più volte declamata inerzia dei suoi abitanti - è riuscito seppur arrancando (come, d’altronde, da tradizione secolare) ad arrivare al XXI secolo. Detto questo si può dire, senza remore, che questo Sud tutto è sempre stato fuorché arrendevole?
Vorrei sicuramente dire che è così, ma direi una mezza bugia. Col suo sacrificio, con la sua laboriosità, col suo rigore morale il Sud d’Italia è riuscito a resistere: non dimentichiamo che, nonostante tutto, fa parte del 15% più ricco del mondo e che senza Sud non esisterebbe neanche l’Italia, nonostante le panzane che raccontano i leghisti. E non ci sarebbe neanche un Nord senza questo Sud. Tuttavia, non si può dire che il Sud non sia stato arrendevole, che sia vissuto più che sopravvissuto. Era difficile combattere contro un sistema di potere nordico forte delle sue banche, delle sue grandi aziende, della sua finanza, dei suoi giornali. Ma pochi rappresentanti del Sud, e non solo quelli politici, ci hanno provato. E’ valso il famoso meccanismo: noi vi diamo soldi (coi quali acquistate i nostri prodotti), voi ci date i voti per lasciare tutto come sta e stiamo contenti tutti. Ma il Sud non poteva esserne contento: infatti dal Sud si continua a emigrare.
In seno alla questione meridionale si sono spesso addossate larghe fette di responsabilità ai governi centrali che si sono susseguiti nel corso degli anni sulla scena politica nazionale, oltre che locale. Adesso che a farla da padrone è un governo noto più per la sua tecnicità che per un’appartenenza politica vera e propria, pensa si stiano ponendo le basi per una effettiva regolarizzazione del Sud oppure questa prospettiva è ancora ben lungi dall’essere realizzata?
Assolutamente no. Anche questo governo, e non per sua responsabilità, si trova a operare in situazione di emergenza: occorre anzitutto ridurre il debito. Ma per ridurre il debito non basta tagliare, bisogna anche crescere: e il solo posto in cui l’Italia può crescere è il Sud. Però si fa finta di niente. Anzi si continua a dire che, se riprenderà a marciare la locomotiva del Nord, tutta l’Italia (cioè il Sud) verrà appresso come un vagone. Ma è per questo che, anche quando è cresciuta, l’Italia è cresciuta molto meno di quanto avrebbe potuto. Perché ha il tesoro del Sud, dove tanto si può fare, ma continua a ignorarlo.
In “Ricomincio da Sud. E’ qui il futuro d’Italia”, Lei sostiene che le rivoluzioni per mezzo di Internet di Tunisia, Egitto e Libia in realtà non hanno portato tutta la democrazia desiderata ma perlomeno hanno aiutato questi Paesi a rimettersi in moto. Pensa che potrebbe mai esserci un movimento sulla falsariga di quello della “primavera araba” anche qui nel Mezzogiorno?
Forse c’è già, bisogna solo mettere l’orecchio per terra e capire dove vanno i cavalli, come si faceva nel Far West. Ci sono al Sud giovani che emigrano, ma ci sono anche quelli che restano, come ci sono quelli che tornano. E c’è una società civile molto meno dormiente di quanto sembri. E poi, l’ombelico del mondo si sposta verso il Mediterraneo. Ci sono, sull’altra sponda, 160 milioni di giovani con meno di trent’anni: e i giovani sono una forza esplosiva, come le rivoluzioni via internet hanno dimostrato.
A dominare la scena della cronaca nazionale in questi giorni è la questione tarantina rappresentata dal caso Ilva (di cui Affari stesso se n’è occupato nel dossier “Il Patto D’Acciaio”, Affari Italiani Editore) e dal conseguente spettro della disoccupazione che affligge i lavoratori dello stabilimento siderurgico. Lei che opinioni ha avuto modo di formarsi in merito?
L’Ilva è un simbolo del lavoro del Sud: difendere il lavoro anche a costo della salute. Mai il Sud avrebbe dovuto essere in tali condizioni. Ma ora che il problema si è imposto, il progresso del Sud e dell’Italia dovrà passare attraverso tante altre simboliche Ilva che ci sono al Sud, e tante altre da crearne su nuove basi. Il futuro è a Sud.
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