A cura di Maria Carannante
Fonte: Unblognormale
L’intervento straordinario per lo sviluppo delle aree depresse è stato
lo strumento di politica economica di maggior interesse del secolo
scorso. Durato quarant’anni e frutto dell’influenza del pensiero
economico e delle condizioni socio - economiche non solo italiane, ma
anche dell’Europa e degli USA di quel periodo, è di certo oggetto di un
acceso dibattito che sembra non essersi ancora concluso.
Cresciuto insieme alla questione meridionale, anche se non è nato con
essa, si è radicato nei ricordi attraverso giudizi poco veritieri e poco
documentati.
L’articolo tenta di fare luce su alcuni punti più o meno conosciuti in
modo rendere più trasparenti finalità, esecuzione ed effetti
dell’intervento. L’articolo non si pone obiettivi di esaustività,
rimandando a fonti più autorevoli, ma di mettere in discussione alcuni
assiomi che sono nati sul tema.
Questa è l’ultima delle tre parti in cui è diviso l’articolo. Nel caso
non abbiate letto le parti precedenti, esse ancora disponibili ai seguenti link.
- I dieci punti sull’intervento straordinario che non avevate mai osato chiedere. Parte prima
- I dieci punti sull’intervento straordinario che non avevate mai osato chiedere. Parte seconda.
8 - È stato il primo intervento di programmazione che ha interessato tutto il territorio dello stato:
La differenza sostanziale tra l’intervento straordinario partito negli anni ‘50 rispetto all’insieme delle
leggi speciali
per Napoli e per il Mezzogiorno, che si sono succedute dagli anni ‘80
dell’Ottocento fino al fascismo, e dagli interventi dell’immediato
dopoguerra è legata alla presenza, per la prima volta, di un organico
sistema
“che impegnava lo Stato italiano ad affrontare
con ampia visione la “questione meridionale”, con un primo tentativo di
rottura dello schema tradizionale dell’intervento rivolto
frammentariamente ad ovviare alle più palesi insufficienze nel campo
delle opere pubbliche.” [17]
In altri termini, le legislazioni speciali dell’Ottocento si limitarono a
provvedimenti che tutelassero particolari aree geografiche e
particolari aspetti di esse. Si pensi ad esempio, alla
Legge per risanamento di Napoli del 1885, a carattere prettamente urbanistico [18] o alla
Legge sulla Sardegna
del 1897, con finalità prettamente agricole. [17] Nei primi anni del XX
secolo si susseguirono leggi anche a carattere più generale, ma che
riguardarono sempre interventi isolati rispetto alla programmazione a
carattere nazionale. [17]
Dopo una fase di interventi atti a tamponare situazioni di emergenza
durante la seconda metà degli anni ‘40, le leggi degli anni ‘50, che
segnarono l’inizio dell’intervento straordinario, stabilirono
apertamente la necessità di includere il Mezzogiorno nel circuito
economico del Paese. [17]
L’ente Cassa,
inoltre, non si riferì tassativamente ai confini dell’area del
Mezzogiorno, così come è definita attualmente, ma incluse nei suoi
provvedimenti anche le province di Latina e Frosinone, alcuni comuni
delle province di Rieti e di Ascoli Piceno, al confine con gli Abruzzi, e
le isole dell’Arcipelago Toscano.
7
Inoltre, per controbilanciare la spesa della Cassa, fu istituita una
forma di spesa a carattere straordinario anche nelle aree del Centro e
del Nord - Est, considerate, al pari del Mezzogiorno, aree depresse da
integrare nell’economia del Paese.
Notevoli furono le differenze tra i due interventi, riassumibili nei seguenti punti: [19]
- Nel
Nord - Est, in particolare, era già presente una, seppur debole, realtà
industriale, formata dal polo industriale di Marghera e dal distretto
tessile dell’alto vicentino. Inoltre, il territorio era in una
situazione di vantaggio relativamente alle opere del Genio Civile
rispetto al Mezzogiorno;
- L’intervento per il Centro e il Nord - Est fu attuato nella seconda
fase dell’intervento straordinario, realizzatosi con l’erogazione di
incentivi. Ciò ha permesso alle imprese di scegliere liberamente su cosa
e come investire;
- Gli investimenti furono assegnati dallo Stato centrale direttamente
ai Comuni considerati in ritardo con lo sviluppo. Ciò ha di fatto
annullato le ingerenze esterne sulla localizzazione degli investimenti,
anche se non sono mancate distorsioni legate alla disponibilità di
risorse aggiuntive da parte degli stessi Comuni. Inoltre, l’assenza di
un Ente con l’onere di coordinare tutte le operazioni, rese
indubbiamente più snella la procedura di accesso alle risorse;
- Le imprese del triangolo industriale erano interessate allo sviluppo
dell’area ed investirono lì già in precedenza. L’area di Marghera,
composta da capitale prevalentemente del triangolo, era considerata un corpo estraneo di sviluppo di tipo ottocentesco, che riuscì ad integrarsi perfettamente nella Terza Italia, attraverso la spinta ricevuta dalle imprese locali attraverso gli incentivi;
Quindi, il successo della nascita della Terza Italia, oltre ad essere
legato ad una situazione di partenza migliore, è sostanzialmente frutto
di una politica di sviluppo dal basso, che nel Mezzogiorno fu di fatto
bloccata.
9 - La scelta del nome “Cassa” è stato oggetto di un acceso dibattito:
Necessario punto di
cronaca rosa. La scelta del nome dell’ente
avvenne durante la consultazione tra Alcide De Gasperi, Donato
Menichella e Pietro Campilli. Indubbiamente, esso avrebbe dovuto essere
indicativo delle funzioni e finalità dell’ente e quindi ci si affidò
”all’intenzione di evocare la disponibilità di un consistente e ininterrotto flusso di risorse destinato al Mezzogiorno.” [10]
Tuttavia fu lo steso De Gasperi a mostrare perplessità sulla possibilità di fraintendimento dell’operato dell’ente. “
Cassa”,
secondo lui, era un nome troppo allettante per chi volesse approfittare
di un’ingente disponibilità di risorse pubbliche, ma non ottenne
ascolto.
“Meridionale io sentivo che i miei conterranei,
sempre delusi per la mancata attuazione delle promesse che erano state
loro fatte, avrebbero particolarmente apprezzato la
novità che si presentava con un nome Cassa il quale attestava da solo
che questa volta
c’erano i «denari». De Gasperi, che si rendeva conto dello sforzo che
nelle condizioni di
allora lo Stato si apprestava a compiere, ebbe la preoccupazione che il
nome attirasse
troppe «cupidigie», e incaricò Vanoni, poiché aveva studiato con me il
progetto, di
trovarne uno meno sonante. Gli disubbidimmo.” [20]
In realtà nessuno avrebbe avuto da ridire sul nome dell’ente se esso
avesse svolto con diligenza il suo operato. La cattiva fama
dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno è frutto della sua
apparente cattiva gestione, perché lo scopo reale di risollevare la
stagnante economia del Centro - Nord fu raggiunto e anche
eccellentemente.
E fu così che si sprecarono
studi a favore dell’eliminazione della spesa in conto capitale nell’area
che, evitandone volutamente una rassegna, raggiunge l’apice in tempi
moderni nel
teorema meridionale del
post - meridionalista8 Gianfranco Viesti.
“Il
problema principale dell’Italia è che il Sud cresce da sempre meno del
resto del paese. Questo accade nonostante le colossali risorse, per
investimenti o per spesa corrente, trasferite dal resto del paese,
prelevate dalle tasche degli italiani che lavorano e producono. Queste
risorse sono sempre, sistematicamente, sprecate, disperse in mille
rivoli improduttivi e assistenziali o preda della criminalità
organizzata, da parte della classe dirigente meridionale, corrotta e
incapace.” [21]
Il diffondersi di un pensiero così saggiamente enunciato nelle menti di
molti abitanti della penisola italica ha autorizzato, oltre
all’annullamento di fatto di ogni possibile politica industriale sana
nel Mezzogiorno, alla depredazione delle risorse ad esso spettanti negli
ultimi venti anni.
10 - Ha sofferto della presenza di un forte coordinamento centrale delle politiche di sviluppo:
L’intervento straordinario, così come fu concepito, non avrebbe potuto
funzionare. Non era possibile, da parte di un ente che osservava la
situazione dalla lontana Roma, scegliere le misure giuste per ogni
angolo di depressione economica che formava il Mezzogiorno d’Italia in
quel periodo.
Fu per questa ignoranza che l’ente si pose l’improbabile obiettivo di
annullare completamente il divario tra Nord e Sud. La convergenza di
un’area che non poteva certo definirsi di antica industrializzazione non
poteva avvenire in soli quarant’anni e perseverando su un’ottica
centralistica che si rivelò fallimentare fin dall’inizio.
Inoltre, si programmarono politiche di intervento
uniformi su tutto il territorio in cui la Cassa operò, cosa che causò,
oltre la mancata convergenza, l’accentuazione dei divari all’interno
della stessa area. Restarono infatti escluse dall’intervento tutta
l’area degli Abruzzi e del Molise
9, l’area appenninica e le aree interne della Sicilia. [22]
Ma non solo. Gran parte delle scelte relative agli investimenti e alla
colleconoocazione delle imprese pubbliche furono condizionate fortemente
dagli interessi nazionali piuttosto che locali. Ne sono un esempio, la
costruzione della centrale nucleare del Garigliano e delle centrali
elettriche a carbone che non risposero certo ad un fabbisogno energetico
del Mezzogiorno. Si pensi oppure ai poli di sviluppo degli anni ‘60 e
‘70 che sorsero in riferimento ad idee di sviluppo già superate, secondo
cui l’industria pesante avrebbe dovuto fare da traino agli altri
settori, senza occuparsi della disoccupazione del Mezzogiorno, che
avrebbe richiesto investimenti in imprese ad alta intensità di lavoro.
Questa politica apportò più inquinamento che benefici economici all’area
ed un enorme utile agli industriali del Nord che vi insediarono gli
stabilimenti.
Il ricorso ad un ente coordinatore che doveva comunque rispondere alle
amministrazioni centrali prima, e anche a quelle locali poi, con
l’istituzione dell’Agensud, rese le politiche di intervento lente e
farraginose, al punto che molto spesso, le imprese locali preferirono
investire senza ricorrere agli incentivi messi loro a disposizione. [23]
Piuttosto esse soffrirono della ormai cronica carenza infrastrutturale,
data l’inadeguatezza degli investimenti durante tutto l’intervento e
successivamente ad esso, e della pressione delle imprese del triangolo
che ostacolarono durante tutto questo periodo la nascita di un settore
secondario autonomo. [3]
Infine, l’eccesso di discrezionalità da parte delle amministrazioni, la
lentezza e la difficoltà di comunicazione tra gli enti fecero prosperare
le politiche clientelari, forse l’unico effetto negativo di questo
intervento che è stato messo in luce, probabilmente perché è l’unico per
il quale si possa individuare una responsabilità più a Sud di Roma.
Riferimenti:
[17] Pescatore, G., “
I caratteri della Questione Meridionale.”, in “Rivista Apulia, numero IV - 83”, Banca Popolare Pugliese, Lecce, Dicembre 1983.
[18] Festa, G., “
Questione meridionale, legislazione speciale e dibattito storiografico.”,
in De Vivo, P., Iaccarino, L., “Il Mezzogiorno e lo sviluppo delle aree
interne. Questioni aperte, nodi irrisolti e prospettive di analisi.”,
su “Akiris, II, numeri 4 - 5”, 2006.
[19] Fontana, G. L., Roverato, G., “
Processi di settorializzazione e di distrettualizzazione nei sistemi economici locali: il caso Veneto.”, in Amatori, F., Colli, A., “Comunità di imprese.
Sistemi locali in Italia tra Otto e Novecento.”, Il Mulino, Bologna, 2001.
[20] Menichella, D., “
Intervento in memoria di Alcide De Gasperi.”, in D’Antone, L., “
L’«interesse straordinario» per il Mezzogiorno (1943-1960).”, in “Meridiana, numero 24”, 1995.
[21] Viesti, G., “
Il teorema meridionale.”, in “Incontro Nazionale di Area Democratica”, Cortona, 8 Maggio 2010.
[22] Giustizieri, D., “
Dualismo territoriale all’interno del Mezzogiorno.”, in “Rivista Apulia, numero II - 76”, Banca Popolare Pugliese, Lecce, Giugno 1976.
[23] Giustizieri, D., “
Brambilla terroni.”, in “Rivista Apulia, numero II - 84”, Banca Popolare Pugliese, Lecce, Giugno 1984.
7 Quindi un’area più estesa del territorio che fu del Regno Napoli.
8 Ammetto di avere inventato il termine, ma è indubbio che gli studiosi più recenti non possono essere considerati né
classici né
neomeridionalisti, essendo fortemente critici nei confronti di questi ultimi riproponendo il concetto di
sviluppo in autonomia del Mezzogiorno.
9
La convergenza delle regioni Abruzzo e Molise ha avuto inizio negli
anni ‘90 grazie al ricorso ai fondi europei e alle esternalità legate
alla vicinanza ad un’area maggiormente sviluppata.
A cura di Maria Carannante
Fonte: Unblognormale
L’intervento straordinario per lo sviluppo delle aree depresse è stato
lo strumento di politica economica di maggior interesse del secolo
scorso. Durato quarant’anni e frutto dell’influenza del pensiero
economico e delle condizioni socio - economiche non solo italiane, ma
anche dell’Europa e degli USA di quel periodo, è di certo oggetto di un
acceso dibattito che sembra non essersi ancora concluso.
Cresciuto insieme alla questione meridionale, anche se non è nato con
essa, si è radicato nei ricordi attraverso giudizi poco veritieri e poco
documentati.
L’articolo tenta di fare luce su alcuni punti più o meno conosciuti in
modo rendere più trasparenti finalità, esecuzione ed effetti
dell’intervento. L’articolo non si pone obiettivi di esaustività,
rimandando a fonti più autorevoli, ma di mettere in discussione alcuni
assiomi che sono nati sul tema.
Questa è l’ultima delle tre parti in cui è diviso l’articolo. Nel caso
non abbiate letto le parti precedenti, esse ancora disponibili ai seguenti link.
- I dieci punti sull’intervento straordinario che non avevate mai osato chiedere. Parte prima
- I dieci punti sull’intervento straordinario che non avevate mai osato chiedere. Parte seconda.
8 - È stato il primo intervento di programmazione che ha interessato tutto il territorio dello stato:
La differenza sostanziale tra l’intervento straordinario partito negli anni ‘50 rispetto all’insieme delle
leggi speciali
per Napoli e per il Mezzogiorno, che si sono succedute dagli anni ‘80
dell’Ottocento fino al fascismo, e dagli interventi dell’immediato
dopoguerra è legata alla presenza, per la prima volta, di un organico
sistema
“che impegnava lo Stato italiano ad affrontare
con ampia visione la “questione meridionale”, con un primo tentativo di
rottura dello schema tradizionale dell’intervento rivolto
frammentariamente ad ovviare alle più palesi insufficienze nel campo
delle opere pubbliche.” [17]
In altri termini, le legislazioni speciali dell’Ottocento si limitarono a
provvedimenti che tutelassero particolari aree geografiche e
particolari aspetti di esse. Si pensi ad esempio, alla
Legge per risanamento di Napoli del 1885, a carattere prettamente urbanistico [18] o alla
Legge sulla Sardegna
del 1897, con finalità prettamente agricole. [17] Nei primi anni del XX
secolo si susseguirono leggi anche a carattere più generale, ma che
riguardarono sempre interventi isolati rispetto alla programmazione a
carattere nazionale. [17]
Dopo una fase di interventi atti a tamponare situazioni di emergenza
durante la seconda metà degli anni ‘40, le leggi degli anni ‘50, che
segnarono l’inizio dell’intervento straordinario, stabilirono
apertamente la necessità di includere il Mezzogiorno nel circuito
economico del Paese. [17]
L’ente Cassa,
inoltre, non si riferì tassativamente ai confini dell’area del
Mezzogiorno, così come è definita attualmente, ma incluse nei suoi
provvedimenti anche le province di Latina e Frosinone, alcuni comuni
delle province di Rieti e di Ascoli Piceno, al confine con gli Abruzzi, e
le isole dell’Arcipelago Toscano.
7
Inoltre, per controbilanciare la spesa della Cassa, fu istituita una
forma di spesa a carattere straordinario anche nelle aree del Centro e
del Nord - Est, considerate, al pari del Mezzogiorno, aree depresse da
integrare nell’economia del Paese.
Notevoli furono le differenze tra i due interventi, riassumibili nei seguenti punti: [19]
- Nel
Nord - Est, in particolare, era già presente una, seppur debole, realtà
industriale, formata dal polo industriale di Marghera e dal distretto
tessile dell’alto vicentino. Inoltre, il territorio era in una
situazione di vantaggio relativamente alle opere del Genio Civile
rispetto al Mezzogiorno;
- L’intervento per il Centro e il Nord - Est fu attuato nella seconda
fase dell’intervento straordinario, realizzatosi con l’erogazione di
incentivi. Ciò ha permesso alle imprese di scegliere liberamente su cosa
e come investire;
- Gli investimenti furono assegnati dallo Stato centrale direttamente
ai Comuni considerati in ritardo con lo sviluppo. Ciò ha di fatto
annullato le ingerenze esterne sulla localizzazione degli investimenti,
anche se non sono mancate distorsioni legate alla disponibilità di
risorse aggiuntive da parte degli stessi Comuni. Inoltre, l’assenza di
un Ente con l’onere di coordinare tutte le operazioni, rese
indubbiamente più snella la procedura di accesso alle risorse;
- Le imprese del triangolo industriale erano interessate allo sviluppo
dell’area ed investirono lì già in precedenza. L’area di Marghera,
composta da capitale prevalentemente del triangolo, era considerata un corpo estraneo di sviluppo di tipo ottocentesco, che riuscì ad integrarsi perfettamente nella Terza Italia, attraverso la spinta ricevuta dalle imprese locali attraverso gli incentivi;
Quindi, il successo della nascita della Terza Italia, oltre ad essere
legato ad una situazione di partenza migliore, è sostanzialmente frutto
di una politica di sviluppo dal basso, che nel Mezzogiorno fu di fatto
bloccata.
9 - La scelta del nome “Cassa” è stato oggetto di un acceso dibattito:
Necessario punto di
cronaca rosa. La scelta del nome dell’ente
avvenne durante la consultazione tra Alcide De Gasperi, Donato
Menichella e Pietro Campilli. Indubbiamente, esso avrebbe dovuto essere
indicativo delle funzioni e finalità dell’ente e quindi ci si affidò
”all’intenzione di evocare la disponibilità di un consistente e ininterrotto flusso di risorse destinato al Mezzogiorno.” [10]
Tuttavia fu lo steso De Gasperi a mostrare perplessità sulla possibilità di fraintendimento dell’operato dell’ente. “
Cassa”,
secondo lui, era un nome troppo allettante per chi volesse approfittare
di un’ingente disponibilità di risorse pubbliche, ma non ottenne
ascolto.
“Meridionale io sentivo che i miei conterranei,
sempre delusi per la mancata attuazione delle promesse che erano state
loro fatte, avrebbero particolarmente apprezzato la
novità che si presentava con un nome Cassa il quale attestava da solo
che questa volta
c’erano i «denari». De Gasperi, che si rendeva conto dello sforzo che
nelle condizioni di
allora lo Stato si apprestava a compiere, ebbe la preoccupazione che il
nome attirasse
troppe «cupidigie», e incaricò Vanoni, poiché aveva studiato con me il
progetto, di
trovarne uno meno sonante. Gli disubbidimmo.” [20]
In realtà nessuno avrebbe avuto da ridire sul nome dell’ente se esso
avesse svolto con diligenza il suo operato. La cattiva fama
dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno è frutto della sua
apparente cattiva gestione, perché lo scopo reale di risollevare la
stagnante economia del Centro - Nord fu raggiunto e anche
eccellentemente.
E fu così che si sprecarono
studi a favore dell’eliminazione della spesa in conto capitale nell’area
che, evitandone volutamente una rassegna, raggiunge l’apice in tempi
moderni nel
teorema meridionale del
post - meridionalista8 Gianfranco Viesti.
“Il
problema principale dell’Italia è che il Sud cresce da sempre meno del
resto del paese. Questo accade nonostante le colossali risorse, per
investimenti o per spesa corrente, trasferite dal resto del paese,
prelevate dalle tasche degli italiani che lavorano e producono. Queste
risorse sono sempre, sistematicamente, sprecate, disperse in mille
rivoli improduttivi e assistenziali o preda della criminalità
organizzata, da parte della classe dirigente meridionale, corrotta e
incapace.” [21]
Il diffondersi di un pensiero così saggiamente enunciato nelle menti di
molti abitanti della penisola italica ha autorizzato, oltre
all’annullamento di fatto di ogni possibile politica industriale sana
nel Mezzogiorno, alla depredazione delle risorse ad esso spettanti negli
ultimi venti anni.
10 - Ha sofferto della presenza di un forte coordinamento centrale delle politiche di sviluppo:
L’intervento straordinario, così come fu concepito, non avrebbe potuto
funzionare. Non era possibile, da parte di un ente che osservava la
situazione dalla lontana Roma, scegliere le misure giuste per ogni
angolo di depressione economica che formava il Mezzogiorno d’Italia in
quel periodo.
Fu per questa ignoranza che l’ente si pose l’improbabile obiettivo di
annullare completamente il divario tra Nord e Sud. La convergenza di
un’area che non poteva certo definirsi di antica industrializzazione non
poteva avvenire in soli quarant’anni e perseverando su un’ottica
centralistica che si rivelò fallimentare fin dall’inizio.
Inoltre, si programmarono politiche di intervento
uniformi su tutto il territorio in cui la Cassa operò, cosa che causò,
oltre la mancata convergenza, l’accentuazione dei divari all’interno
della stessa area. Restarono infatti escluse dall’intervento tutta
l’area degli Abruzzi e del Molise
9, l’area appenninica e le aree interne della Sicilia. [22]
Ma non solo. Gran parte delle scelte relative agli investimenti e alla
colleconoocazione delle imprese pubbliche furono condizionate fortemente
dagli interessi nazionali piuttosto che locali. Ne sono un esempio, la
costruzione della centrale nucleare del Garigliano e delle centrali
elettriche a carbone che non risposero certo ad un fabbisogno energetico
del Mezzogiorno. Si pensi oppure ai poli di sviluppo degli anni ‘60 e
‘70 che sorsero in riferimento ad idee di sviluppo già superate, secondo
cui l’industria pesante avrebbe dovuto fare da traino agli altri
settori, senza occuparsi della disoccupazione del Mezzogiorno, che
avrebbe richiesto investimenti in imprese ad alta intensità di lavoro.
Questa politica apportò più inquinamento che benefici economici all’area
ed un enorme utile agli industriali del Nord che vi insediarono gli
stabilimenti.
Il ricorso ad un ente coordinatore che doveva comunque rispondere alle
amministrazioni centrali prima, e anche a quelle locali poi, con
l’istituzione dell’Agensud, rese le politiche di intervento lente e
farraginose, al punto che molto spesso, le imprese locali preferirono
investire senza ricorrere agli incentivi messi loro a disposizione. [23]
Piuttosto esse soffrirono della ormai cronica carenza infrastrutturale,
data l’inadeguatezza degli investimenti durante tutto l’intervento e
successivamente ad esso, e della pressione delle imprese del triangolo
che ostacolarono durante tutto questo periodo la nascita di un settore
secondario autonomo. [3]
Infine, l’eccesso di discrezionalità da parte delle amministrazioni, la
lentezza e la difficoltà di comunicazione tra gli enti fecero prosperare
le politiche clientelari, forse l’unico effetto negativo di questo
intervento che è stato messo in luce, probabilmente perché è l’unico per
il quale si possa individuare una responsabilità più a Sud di Roma.
Riferimenti:
[17] Pescatore, G., “
I caratteri della Questione Meridionale.”, in “Rivista Apulia, numero IV - 83”, Banca Popolare Pugliese, Lecce, Dicembre 1983.
[18] Festa, G., “
Questione meridionale, legislazione speciale e dibattito storiografico.”,
in De Vivo, P., Iaccarino, L., “Il Mezzogiorno e lo sviluppo delle aree
interne. Questioni aperte, nodi irrisolti e prospettive di analisi.”,
su “Akiris, II, numeri 4 - 5”, 2006.
[19] Fontana, G. L., Roverato, G., “
Processi di settorializzazione e di distrettualizzazione nei sistemi economici locali: il caso Veneto.”, in Amatori, F., Colli, A., “Comunità di imprese.
Sistemi locali in Italia tra Otto e Novecento.”, Il Mulino, Bologna, 2001.
[20] Menichella, D., “
Intervento in memoria di Alcide De Gasperi.”, in D’Antone, L., “
L’«interesse straordinario» per il Mezzogiorno (1943-1960).”, in “Meridiana, numero 24”, 1995.
[21] Viesti, G., “
Il teorema meridionale.”, in “Incontro Nazionale di Area Democratica”, Cortona, 8 Maggio 2010.
[22] Giustizieri, D., “
Dualismo territoriale all’interno del Mezzogiorno.”, in “Rivista Apulia, numero II - 76”, Banca Popolare Pugliese, Lecce, Giugno 1976.
[23] Giustizieri, D., “
Brambilla terroni.”, in “Rivista Apulia, numero II - 84”, Banca Popolare Pugliese, Lecce, Giugno 1984.
7 Quindi un’area più estesa del territorio che fu del Regno Napoli.
8 Ammetto di avere inventato il termine, ma è indubbio che gli studiosi più recenti non possono essere considerati né
classici né
neomeridionalisti, essendo fortemente critici nei confronti di questi ultimi riproponendo il concetto di
sviluppo in autonomia del Mezzogiorno.
9
La convergenza delle regioni Abruzzo e Molise ha avuto inizio negli
anni ‘90 grazie al ricorso ai fondi europei e alle esternalità legate
alla vicinanza ad un’area maggiormente sviluppata.
Nessun commento:
Posta un commento