Fonte: Roma del 4 maggio pag.11
Di Vincenzo Nardiello
Il velo è strappato. Stavolta, però, è
diverso. Lo squarcio è grande.
Chiunque può infilarci la testa e
guardare - finalmente - cosa si nasconde
dall’altra parte. Nomi, date,
luoghi, circostanze. E storie. Soprattutto
storie. Quelle cancellate da
un’oleografia sulla Seconda guerra
mondiale troppe volte spacciata per
verità rivelata; quelle negate al barbaro
grido di Brenno “guai ai vinti”;
quelle sottratte all’ipocrisia e alla falsità
di chi, diviso il mondo in buoni
e cattivi, ha condannato all’oblio decine
di migliaia di vittime e loro carnefici.Storie di italiani offesi, violati
e uccisi che adesso rivivono, raccolte
tutte insieme, sistematizzate nei
loro drammi e miserie, nelle pagine
dense e a tratti struggenti di Gigi Di
Fiore, inviato de “Il Mattino”, che ha
scritto una “Controstoria della Liberazione.Le stragi e i crimini dimenticati
degli Alleati nell’Italia del sud”
(Rizzoli), destinata a far discutere.
Di Fiore non teme le ombre. Anzi, le
descrive minuziosamente, scoprendo
il volto nero degli angloamericani
sotto la maschera dei liberatori:
occupanti e conquistatori.
Protagonisti di crimini
efferati. Dall’alleanza
con la mafia in Sicilia
alle fucilazioni a sangue
freddo di soldati italiani
arresisi; dai campi di
concentramento allestiti
dagli Alleati alle umiliazionipatite dai nostri
soldati che, schieratisi al
fianco dei vecchi nemici,
furono considerati
combattenti di serie B;
dai bombardamenti indiscriminati
sulle città
del Sud ad armistizio firmato
che provocarono
stragi di innocenti alle
donne stuprate: le tristemente
note “marocchinate”, prede di guerra
dei soldati “liberatori”.E poi Napoli, la sua
miseria, la sua borsa nera,
la città stracciona con madri e figlie
che si danno per fame, la camorra
in affari con i nuovi padroni:
gli angloamericani, ultimi di una lungaserie. Finanche Pietro Secchia,
importante dirigente del Pci,
descrisse così le condizioni della città:
«Si vedeva abbastanza evidente che
questo popolo era sceso al gradino
infimo della propria dignità. Nessuna
meraviglia quindi ne sortiva quando veniva fermato un soldato
angloamericano e richiesto di procurargli vino e signorine».
La Patria era morta davvero. E lo era
ancora di più in quel Mezzogiorno
che già ottantatré anni prima aveva
dovuto subire altre angherie, altre
violenze, altre invasioni. Risorgimentali
le prime, “liberatrici” le seconde.
Un Mezzogiorno «dove i liberati
- scrive Di Fiore - furono violati
dai liberatori, in una mistificazione
dei ruoli tra aguzzini santificati e vittime zittite».
L’autore non dimentica la crudeltà,
le condizioni orrende, i soprusi subiti
dagli italiani, civili e militari, che
dissero no ai nemici diventati alleati
in una notte di settembre e per
questo si ritrovarono nei campi di
Padula, Afragola, Aversa, Taranto,
Coltano e altri ancora. Gli “inferni neri”,
dove civili e sacerdoti, ex politici
e burocrati fascisti, funzionari e
semplici soldati della Rsi intrecciarono
le loro vicende, miserie umane
e piccoli eroismi. Emergono così, tra
tante, le figure dell’armatore napoletano
Achille Lauro o di Ezio Garibaldi,
nipote di Giuseppe, o ancora dello
scrittore Ardengo Soffici. Ad Afragola,
ricorda Di Fiore, i carcerieri inglesi «saltavano la distribuzione dei
pasti o ricorrevano a percosse improvvise.
Metodi spicci per tenere
soggiogati i detenuti e costringerli
ad ammettere colpe tutte da dimostrare
». Sistemi che ricordavano le
tristi pratiche dell’estorsione delle
confessioni tanto in voga nella polizia politica sovietica.
Di Fiore riannoda i fili di una storia
spezzata, tirandola fuori da quell’“armadio della vergogna” nel
quale era stata confinata senza pietà
dai celebranti di un’ortodossia che
non ammetteva eresie. Il merito di
questa “Controstoria della Liberazione”
è proprio quello di far emergere
dalle viscere del nostro Meridione
violentato la verità di fatti che
hanno profondamente segnato le popolazioni;
le storie di decine di migliaia di famiglie che, dopo aver subito
la violenza, sono state costrette
al silenzio dalla paura, dalla vergogna
e dalla ragion di Stato del secondo
dopoguerra. Il calvario di una
Nazione nella polvere, lacerata tra
due eserciti occupanti. Ricordare è
un dovere. Perché l’infamia di chi fu
padrone in casa d’altri non cada in
prescrizione.
.
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