La città capace di futuro
Evento organizzato il 16 Aprile 2002 da Luigi Guido della lista Ricomincio da Vella
Sono intervenuti:
Luigi Guido
Antonio Marfella
Mario Scippa
Angelo Lo Passo
e il candidato sindaco Aldo Vella
Lettura e commento della nota del Prof. Arch. Gianni Cerami (docente di Urbanistica alla Federico II di Napoli) a cura di Mario Scippa
Introduzione
Buonasera a tutti.
Ringrazio Luigi Guido per avermi dato l'opportunità stasera di poter intervenire in questo dibattito sulla città,
Ringrazio sopratutto l'eclettismo di Aldo Vella per avere riunito intorno a sé, nel tempo, personaggi attenti e sensibili alla città senza un fine speculativo ma con l'obiettivo alto di proporre stimoli sempre più ricchi e diversificati tra loro per il miglioramento della qualità della vita della comunità.
La comunità.
Un termine con il quale da tanti anni, nel progetto del futuro di una città, si defisce genericamente una molteplicità di esigenze, bisogni, aspirazioni, desideri e sogni, spesso anche contraddittorie tra loro, con indici e numeri.
Una iterpretazione e quindi una traduzione che tende ad omogeneizzare la diversità, proponendo scelte in modo dogmatico, con la presunzione di dare una risposta numerica alle svariate e molteplici esigenze che caratterizzano ogni aggregazione.
Lo strumento principe, con il quale le amministrazioni comunali dettano la serie di regole e prevedono un futuro ad un territorio, è il piano regolatore.
Da un po' di anni è in corso, tra gli addetti ai lavori, un grande dibattito sulla crisi del piano.
Della quale i politi sembrano non accorgersene, realizzando e proponendo demagogicamente progetti di futuro delle città PER i cittadini e non CON i cittadini.
Su queste tematiche, qualche giorno fa ho avuto una lunga conversazione con il Professore Gianni Cerami, docente di urbanistica alla facoltà di architettura della Federico II di Napoli, che ho avuto la fortuna di conoscere da ragazzo, prima da studente e poi, tra il 90 e il 95, da collaboratore ed assistente.
Con Cerami mi sono visto per invitarlo a questo incontro di stasera, ma per altri impegni già presi non è potuto essere presente.
Il tema centrale del nostro incontro è stato quello della ridefinizione del concetto di piano e la necessità di ridisegnare un piano urbanistico tenendo presente due "parole d'ordine" che oggi sono di uso comune:
Partecipazione e bene comune.
Temi che sono al centro dei sui studi da anni e che sono sintetizzati nel suo ultimo libro: Come le città si raccontano. Verso una urbanistica gentile.
Un libro dove affronta il tema della condivisione, cioè la convinzione che "nessuno può decidere per noi, senza di noi".
Il tema che ha costituito il filo rosso che ha unito gli argomenti affrontati nella nostra conversazione, e che ho chiesto se poteva mandarmi un suo contributo per usarlo qui come spunto di riflessione ed eventuale base per un dibattito sulle nuove modalità di progettazione del futuro di una città come San giorgio a Cremano.
Puntuale il Professore Cerami ha scritto,
inviandomi il giorno dopo che ci siamo visti, una breve nota che vi leggerà Stefania Ferrandino, candidata nella lista Ricomincio Da Vella, che ha letto e condiviso questa nota, e una delle osservazione di Cerami , ovvero:
-"il progetto di futuro, del nostro futuro, è il bene comune per eccellenza"-
è diventata il suo motto personale anche per questa campagna elettorale.
Ho scelto di farla leggere a Stefania, perché nella sua esperienza di donna e di mamma a San Giorgio a Cremano è stata in questi anni molto impegnata nel sociale, con la sua associazione di volontariato donneebambini.
Insieme ad altre nove donne-mamme, lavorava progettando, silenziosamente, ad un frammento di futuro possibile della nostra città.
Le attività proposte dalla associazione che ha presieduto, mai spettacolari, semplici, dirette ai bambini e ai loro genitori, quindi a tutta la città, avevano come unico obbiettivo quello della riapprorpiazione dell'ambiente urbano, facendolo vivere attraverso attività ludico-educative. Tutte attività a costi bassissimi e tante volte a costo zero per l'amministrazione comunale.
Una realtà che poteva e doveva essere intesa come esperienza pilota, qui a san Giorgio, e stimolo importante affinchè il cittadino incominciasse a sentirsi partecipe della città finalmente con intenti propositivi, se solo ci fosse stata una cultura nella politica attenta ad ascoltare veramente le nuove esigenze che i cittadini in vari modi esprimono.
Stefania Ferrandino vi legge la comunicazione del professore Gianni Cerami.
M.S.
Comunicazione del Prof. Arch. Gianni Cerami
Agli amici Aldo Vella, Mario Scippa e Luigi Guido
vi invio questa breve nota sull’urbanistica “dei cittadini” (e non “in nome dei cittadini”); spero possa costituire la base per una utile discussione.
Si tratta di una sintesi di un lavoro che sto sviluppando da tempo e che vorrei, anche partendo dalle radici della disciplina, trovare nuove procedure decisionali che consentano realmente il contributo della comunità dei cittadini alla costruzione (e non alla fideistica approvazione) del proprio futuro.
Cari saluti a tutti da Gianni Cerami
PARTECIPAZIONE E BENE COMUNE
di Gianni Cerami
Al mutamento del quadro politico-amministrativo in diverse città italiane, e Napoli in particolare, corrisponde un cambiamento di attenzioni, di comportamenti e di “parole d’ordine “ che non possono non costituire oggetto di una attenta riflessione per il modo con cui vengono declinate o potrebbero più efficacemente essere declinate.
I due temi che oggi vengono dibattuti con grande impegno sono, certamente, quelli legati al significato di “bene comune”, di quella risorsa materiale o immateriale il cui uso non può e non deve in alcun modo essere sottratto ai cittadini; e poi, a quello della “partecipazione” che deve essere fondata sul riconoscimento delle ricche capacità organizzative e progettuali da parte di nuovi interlocutori che chiedono di essere riconosciuti nella loro legittimità.
E’ evidente quanto i due temi siano profondamente interrelati.
E ciò è tanto più evidente se estendiamo il valore di “bene comune” al progetto di futuro che una comunità di cittadini intende darsi: il progetto di futuro, del nostro futuro, costituisce certamente il “bene comune” per eccellenza.
Ma la condizione che non si può in alcun modo eludere è che tale progetto di futuro può realmente costituirsi come “ bene comune” non solo perché riguarda la vita di tutti ma perché è stato costruito con il contributo di tutti.
E ciò costituisce un arricchimento al tema della “partecipazione”: affinchè la partecipazione sia reale (e non il solito rituale di maniera) occorre che sia supportata da un reale potere deliberativo.
Bisogna dare consapevolezza a tutti coloto che intendono essere coinvolti nella costruzione del loro futuro che tale loro partecipazione è parte di un concreto processo decisionale le cui scelte verranno formalizzate in atti istituzionali.
Un progetto di futuro è bene comune non solo perché riguarda la vita di tutti ma, e soprattutto, se è stato costruito con il contributo di tutti.
Questo metodo di lavoro per il quale è la comunità dei cittadini che attraverso una libera discussione decide del proprio futuro, consente il formarsi di scelte e di darsi regole per organizzarsi in quanto comunità, in quanto polis.
Si tratta di scelte e di regole che non discendono da entità superiori (laiche o mistiche che siano) ma dalla consapevolezza che il vero valore della discussione (che abbiamo definito come “partecipazione deliberativa”) sta nel costruire e dare legittimità a nuove domande e poi nell’elaborare adeguate risposte.
Una società che intende risolvere il tema del confronto attraverso il conflitto del dialogo, e non attraverso il conflitto dello scontro, deve saper accettare la sfida del voler e saper “decidere insieme”; il che comporta dover riconoscere la legittimità del principio per il quale “nessuno può decidere per noi senza di noi”.
Crediamo che qualsiasi progetto di futuro deve garantire la centralità del ruolo cooperativo dei soggetti che sono coinvolti dal piano di cui sono i reali committenti e, al tempo stesso, i suoi co-autori.
Se è vero che un progetto di futuro è “bene comune” perchè riguarda tutte le comunità dei cittadini che sono state coinvolte attivamente alla sua costruzione, è altrettanto vero tale suo costituire un bene comune è strettamente collegato alla sua capacità di creare comunità; esso è il risultato di un lavoro comune , plurale, espressivo delle “culture” di gruppi portatori di esigenze e aspettative diverse: ed è per questa capacità di valorizzare, legittimare comunità diverse lo fa diventare l’elemento fondativo di comunità.
Sinteticamente, le diverse comunità in cui i cittadini tendono a organizzarsi in funzione delle loro aspettative, convenienze, convinzioni, saperi, nel riconoscersi nel progetto di futuro alla cui elaborazione hanno partecipato attivamente riconoscono in tale progetto il suo costituirsi in quanto bene comune e riconoscono se stesse come unica comunità di cittadini.
Ciò richiede un nuovo modo di “pensare” il piano, un nuovo modo di costruire le scelte, attraverso il coinvolgere i cittadini e le comunità in cui essi si organizzano.
Si tratta di dare corpo alla domanda di partecipazione che, con sempre maggior forza, viene espressa a tutti i livelli, istituzionali e non, attivando quelle forme di concreta partecipazione che in altre occasioni (ad esempio, a Napoli sul tema della minaccia di un progetto di privatizzazione delle risorse idriche) sono già state sperimentate in molte realtà urbane.
Può costituire utile una verifica dei risultati che in altre realtà urbane , (Bologna, in particolare, e Milano) sono stati raggiunti attivando Laboratori di Urbanistica su parti significative della città e su cui le relative scelte del vigente strumento urbanistico avevano determinato conflitti e inerzie.
La soluzione dei Laboratori, attentamente organizzati con l’aiuto di istituzioni esterne (a Bologna, ad esempio, è stato coinvolto l’Istituto Nazionale di Urbanistica) ha consentito lo svolgersi di un dibattito (e non le solite guerre di religione) che ha determinato la costruzione di scelte condivise da parte di tutti i soggetti interessati: scelte che sono state fatte proprie dalla Pubblica Amministrazione.
Giovanni Cerami, aprile 2012
Conclusione parziale
La città è fatta molto più dai suoi abitanti che dagli edifici e dagli spazi urbani.
di Mario Scippa
Pretendere oggi che il Piano si configuri come un progetto le cui norme tendono a garantire un carattere di immutabilità significa soltanto voler persistere in un rituale ormai anacronistico e privo di efficacia.
Questa presunzione è anche espressione di un vecchio modo di concepire la città, la polis, la politica, che interpreta e rappresenta la comunità come un insieme di numeri e di indici dando risposte dogmatiche spesso e volentieri senza tener conto delle molteplici differenze che la caratterizzano.
Ciò non lo dico spinto da pregiudizi ma, piuttosto, per vari ordini di considerazioni.
Innanzitutto, per il conflitto che si genera tra le risposte, formulate in un sistema bloccato di regole, e la velocità di trasformazione delle domande e delle aspirazioni da parte della società che pongono continuamente in discussione i contenuti di queste risposte, senza dare alcuna possibilità ai cittadini di poter intervenire neanche minimamente per poterlo adeguare a nuove sopravvenute esigenze.
Nella formulazione di strumenti così importanti e fondamentali per il futuro della città le amministrazioni pubbliche dovrebbero tener conto che oggi siamo in una fase storica di transizione molto importante.
La città vera è fatta molto più dai suoi abitanti che dagli edifici e dagli spazi urbani.
L'espressione di una città è il modo di comunicare, tra di loro e con l'esterno, dei suoi cittadini.
Negli ultimi 15 anni stiamo vivendo una fase storica caratterizzata da importanti mutamenti del linguaggio e dei modi di comunicare dei cittadini.
Internet, più specificamente il network, sta completammente rivoluzionando trasversalmente le relazioni comunicative tra gli individui, quindi tra i cittadini, quindi tra le parti della città, anche qui a San Giorgio, come altrove nel mondo.
Le città, anche la nostra, tendono sempre di più a somigliare al concetto di rete, ovvero alla sovrapposizione, alla interazione, alla mutabilità delle parti che la compongono, piuttosto che al concetto immutabile di zone delimitate, definite sulla base di indicatori numerici, con il quale si disegna oggi una città e il suo futuro in un piano così come è concepito.
La rete, secondo me, potrebbe essere una delle chiavi di volta per la ridefinizione di un piano per la città.
Alcune forme di aggregazione spontanee già hanno trovato il loro canale per eprimere innanzitutto una forma di protesta, sui network tanti sono i gruppi che spontaneamente si aggregano per denunciare, controllare, criticare, l'operato delle pubbliche amministrazioni, alcuni dei quali sono poi diventati a loro volta movimenti politici.
Io credo che la collettività che oggi si esprime nella rete, molto attivamente, con un sentimento di partecipazione prima negato, farà il passo di qualità:
da strumento di protesta a momento di proposta.
E le proposte saranno sempre di più concentrate, con la partecipazione attiva e autoorganizzata dei cittadini, su piccoli pezzi di territorio, non più con una visione globale e totalizzante, costruita su numeri ed indici astratti ed incomperensibili, che favoriscono interessi di parte, ma con una visione di una singola parte in far convergere interessi comuni e trasversali di più cittadini.
Un passaggio che, neanche timidamente, sta già avvenendo.
Penso per esempio a movimenti nati nei network in realtà vicine alla nostra, come a Napoli che come forma di protesta hanno usato la proposta,:
Cleanap o Riprendiamoci Napoletani, che hanno trasversalmente aggregato parte della cittadinanza intorno ad un frammento di territorio, adottandolo, quindi riappropriandosene, e partecipando collettivamente alla manutenzione, ripulendoli e rendendoli vivi con una serie di attività;
come pure l'associazione Terra di Confine tra san Giorgio e Ponticelli, fatta da ragazzi con ragazzi per ragazzi, aggregatosi spontaneamente e che stanno ridando vitalità ad un territorio di margine;
e la stessa associazione presieduta da Stefania Ferrandino, donneebambini, che ha regalato a Sangiorgio a Cremano, piccoli ma importanti e significativi momenti di riappropriazione del territorio.
Le politiche amministrative, a mio avviso, devono tener presente questa esigenza di partecipazione diretta a creare vitalità nelle città, e devono necessariamente iniziare a considerare come vero committente e co-autore di un piano, la comunità, i cittadini.
Tutto Ciò significa per una amministrazione sforzarsi di trovare le modalità per il dialogo vero.
Una strada possibile potrebbe essere la formazione di Laboratori urbani diffusi sul territorio, come suggeriva Cerami, supportati dalle istituzioni competenti e che siano un riferimento nella redazione di un progetto di futuro della città, nel progetto di Un piano, concependolo come uno strumento non bloccato, ma aperto alla discussione con i cittadini attraverso le proposte formulate nei laboratori.
In buona sostanza, e concludo, bisogna avere il coraggio e la capacità politica di attivare nuovi strumenti capaci di generare partecipazione vera e non demagogica, che abbiano una funzione anche deliberativa.
Nuovi strumenti che devono avere come obbiettivo quello di favorire il consapevole e attivo rapporto tra le parti sociali affinché si possano attirare e attivare risorse, interne ed esterne, per realizzare una salvaguardia innanzitutto delle tradizioni culturali locali, che sono l'identità del luogo, e poi di tutte quelle forme creative, a tutti i livelli, la cui permanenza genera il valore vero di una città: la vitalità.
M.S.
Fonte: Ricomincio da Vella
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