martedì 31 gennaio 2012

REGGIO. Anno giudiziario tra errori, pregiudizi e lo sputtanamento della Calabria e del Sud

di ALDO VARANO
Fonte: Zoomsud.it


- Dalle relazioni all’inaugurazione dell’anno giudiziario a Reggio Calabria:

«I reati di ‘ndrangheta sono aumentati del 21%, mentre la densità mafiosa conta il 27 per cento della popolazione complessiva».

E ancora:

«… Una terra dove l’indice di densità criminale è stato stimato al 27% della popolazione, a fronte del 12% in Campania, del 10% in Sicilia, e del 2% in Puglia».

In Calabria di ‘ndranghetisti ce n’è un numero insopportabilmente alto. La loro attività e i loro servizi contribuiscono a bloccare, sporcare e devastare la Calabria. Wikipedia, che ha una dignitosa affidabilità, annota: «Secondo le forze dell’ordine in Calabria sono attualmente operanti circa 155 famiglia (definite ‘ndrine o cosche) che affiliano circa 6000 persone».



Il 27% di due milioni di abitanti, invece, preso alla lettera significa 570mila persone: più di tutti i calabresi dei 5 capoluoghi. Ma riferiamoci alla sola popolazione attiva e togliamo (il che è ingiusto) tutte le donne. Si resta comunque, oltre 200mila.

E’ su questi dati che sull’intero Mezzogiorno e soprattutto contro la Calabria si sta consumando in queste ore un massacro di inaudite proporzioni. Un massacro privo di precedenti storici se si considerano gli strumenti a disposizione della società globale. Non c’è giornale italiano, non c’è telegiornale, non c’è sito italiano ed europeo, non c’è giornale online, che non abbia riportato con grande evidenza il dato clamoroso e infamante di una Calabria persa col 27 per cento della popolazione composta dalla mafia. Da domani per voi, per noi che parliamo calabrese, sarà più difficile andare in giro per il mondo. E ci vorranno anni perché la ferita di queste ore possa rimarginarsi fino a sparire.

Appena ho letto l’Ansa sabato pomeriggio sono entrato in crisi: in Calabria quasi uno su tre, più di uno su quattro sono, siamo, figlio di Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Impossibile, mi ripetevo. Ho aspettato smentite e precisazioni. Nessuna.

Le cifre sono lì. Praticamente scolpite sui giornali e dalle parole che il web ripete ossessivamente su Fb. Chi vuole, a eterna vergogna di noi calabresi, le può riascoltare su youtube. Delinquenti, i calabresi. E delinquenti i campani, i siciliani. Si salvano, ancora a dimensione umana, solo i pugliesi. Neanche dagli ambienti più oscuri e inquietanti della Lega Nord erano mai arrivate analisi così dolorose.

Corriere, Stampa, Repubblica, Messaggero, Fatto quotidiano e tutti gli altri a chiosare e spiegare quale abisso sia stato raggiunto, quale sia la soglia del degrado in cui la Calabria è precipitata.

Nessuno, neanche uno, a dubitare. Uno che magari sbotta: «E’ impossibile. Mi pare una minchiata».

Tragico poi che tra tutti quegli uomini di legge presenti all’inaugurazione dell’anno giudiziario nessuno si sia impennato fino a chiedere chiarimenti, che abbia cercato di capire da dove possano essere emersi dati così terribili e irreversibili. Perché mai qualcuno, Governo compreso, dovrebbe investire o buttare quattrini in un pozzo di malaffare come questo?

Il colpevole sono io, mi sono detto. Sono calabrese e noi calabresi sottovalutiamo il fenomeno.

Del resto, migliaia di donne, ebrei, omosessuali, neri, stranieri non si sono pian piano convinti di essere loro il problema e non il pregiudizio degli altri?

Ho telefonato a un giornalista che era presente quando quelle frasi sono state scandite. Nessun dubbio: proprio quelle. Le ha scritte, come sempre, correttamente. «Rassegnati», mi sono detto.

Subito dopo ho telefonato a uno dei maggiori sociologi italiani. Uno studioso di razza con cattedra universitaria e decine e decine di libri e saggi pubblicati sull’argomento. Volevo mi spiegasse in quale misura, io calabrese, avevo perduto il rapporto con la realtà.

«IL 27? Non è possibile!», ha esordito. «Da dove viene fuori il dato? Quale istituto l’ha elaborato? Me lo dica lei. Io che mi occupo di queste cose da anni non l’ho mai incontrato. Neanche quelli che esagerano, i giornalisti che fanno i titoli, hanno mai sostenuto una cosa del genere».

Ha perduto la pazienza, il professore: «Guardi se in una società ci fosse una devianza mafiosa del 27% dovremmo elaborare un nuovo concetto di società per poterci raccapezzare e capire qualcosa. Non è importante chi l'ha detto: semplicemente, non è possibile». Una piccola pausa e come a chiudere la discussione: «Vede, è un dato pericoloso perché depista. Non può essere il risultato di una valutazione scientifica. Se si parte dal 27 tutto diventa inutile. Si fa confusione, non si capisce cosa sia la mafia e diventa impossibile elaborare una strategia specifica per sconfiggerla».

Ho tirato un sospiro di sollievo. Ma quanto valgono i giudizi del professore? Niente, meno di niente rispetto all’autorevole assemblea di ermellini e toghe di tutti i colori.

Nella testa avevo come un tamburo che batteva: 27%, 12%, 10% … E’ stato un fulmine improvviso: mi è scoppiato dentro il cuore e ho avuto paura. Ho iniziato a urlare: «La Dia, la Dia, certo, la Dia. Cazzo, se non è la Dia. Ed ero anche a Roma. Me lo ricordo: tra il 2006 il 2008». Ho iniziato una ricerca spasmodica. Non trovavo la relazione che per fortuna è saltata fuori da un sito, quello del professor Nicaso, l’intellettuale che scrive libri di mafia di gran successo assieme al Pm Gratteri. Raramente concordo con le sue valutazioni, ma viva Nicaso che (nel 2009) scriveva: «Secondo una recente relazione della Dia, la Direzione Investigativa Antimafia, la Calabria conta 155 cosche e circa 6.000 affiliati (grande wikipedia, ndr). Il rapporto tra popolazione/affiliati ai clan è del 2,7%. Nelle altre regioni il rapporto è rispettivamente di 1,2% in Campania, 1% in Sicilia e del 2% in Puglia».

Hanno sbagliato le virgole. Ecco cos’è successo! Hanno fatto saltare le virgole e ci stanno sputtanando in tutto il mondo. Il 2,7 è diventato 27; l’1,2 della Campania, il 12; l’1,0 della Sicilia, il 10. Si è salvata la Puglia perché aveva un numero intero.

Ora si tratta di capire quanto grande sia il pregiudizio di un’intera assemblea di magistrati e studiosi di diritto; di decine e decine di giornalisti tra i più quotati del paese che da anni scrivono articoli e libri di mafia; quanto grandi siano la paura e il terrore di uomini politici, parlamentari, sindaci, Governatori della Calabria, e non solo, che sono rimasti in silenzio o che hanno potuto credere che in Italia vi siano società in cui si vive col 27, il 12 o il 10 per cento di mafiosi portando gli «uomini del disonore» a cifre da eserciti d’invasione. Come ha fatto a non accorgersi nessuno che si trattava di una patacca?

Bisogna chiedersi, e bisognerà interrogarsi a lungo per capirlo, se non siano questi pregiudizi, questa disponibilità a credere e imboccare tutto con voracità religiosa, senza mai fare domande scomode, una delle ragioni per cui non riusciamo a liberarci della presenza devastante e ignobile della mafia, con il rischio che essa continui a corrodere le nostre società rendendole sempre più invivibili e perdute.

Fonte: Zoomsud.it

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di ALDO VARANO
Fonte: Zoomsud.it


- Dalle relazioni all’inaugurazione dell’anno giudiziario a Reggio Calabria:

«I reati di ‘ndrangheta sono aumentati del 21%, mentre la densità mafiosa conta il 27 per cento della popolazione complessiva».

E ancora:

«… Una terra dove l’indice di densità criminale è stato stimato al 27% della popolazione, a fronte del 12% in Campania, del 10% in Sicilia, e del 2% in Puglia».

In Calabria di ‘ndranghetisti ce n’è un numero insopportabilmente alto. La loro attività e i loro servizi contribuiscono a bloccare, sporcare e devastare la Calabria. Wikipedia, che ha una dignitosa affidabilità, annota: «Secondo le forze dell’ordine in Calabria sono attualmente operanti circa 155 famiglia (definite ‘ndrine o cosche) che affiliano circa 6000 persone».



Il 27% di due milioni di abitanti, invece, preso alla lettera significa 570mila persone: più di tutti i calabresi dei 5 capoluoghi. Ma riferiamoci alla sola popolazione attiva e togliamo (il che è ingiusto) tutte le donne. Si resta comunque, oltre 200mila.

E’ su questi dati che sull’intero Mezzogiorno e soprattutto contro la Calabria si sta consumando in queste ore un massacro di inaudite proporzioni. Un massacro privo di precedenti storici se si considerano gli strumenti a disposizione della società globale. Non c’è giornale italiano, non c’è telegiornale, non c’è sito italiano ed europeo, non c’è giornale online, che non abbia riportato con grande evidenza il dato clamoroso e infamante di una Calabria persa col 27 per cento della popolazione composta dalla mafia. Da domani per voi, per noi che parliamo calabrese, sarà più difficile andare in giro per il mondo. E ci vorranno anni perché la ferita di queste ore possa rimarginarsi fino a sparire.

Appena ho letto l’Ansa sabato pomeriggio sono entrato in crisi: in Calabria quasi uno su tre, più di uno su quattro sono, siamo, figlio di Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Impossibile, mi ripetevo. Ho aspettato smentite e precisazioni. Nessuna.

Le cifre sono lì. Praticamente scolpite sui giornali e dalle parole che il web ripete ossessivamente su Fb. Chi vuole, a eterna vergogna di noi calabresi, le può riascoltare su youtube. Delinquenti, i calabresi. E delinquenti i campani, i siciliani. Si salvano, ancora a dimensione umana, solo i pugliesi. Neanche dagli ambienti più oscuri e inquietanti della Lega Nord erano mai arrivate analisi così dolorose.

Corriere, Stampa, Repubblica, Messaggero, Fatto quotidiano e tutti gli altri a chiosare e spiegare quale abisso sia stato raggiunto, quale sia la soglia del degrado in cui la Calabria è precipitata.

Nessuno, neanche uno, a dubitare. Uno che magari sbotta: «E’ impossibile. Mi pare una minchiata».

Tragico poi che tra tutti quegli uomini di legge presenti all’inaugurazione dell’anno giudiziario nessuno si sia impennato fino a chiedere chiarimenti, che abbia cercato di capire da dove possano essere emersi dati così terribili e irreversibili. Perché mai qualcuno, Governo compreso, dovrebbe investire o buttare quattrini in un pozzo di malaffare come questo?

Il colpevole sono io, mi sono detto. Sono calabrese e noi calabresi sottovalutiamo il fenomeno.

Del resto, migliaia di donne, ebrei, omosessuali, neri, stranieri non si sono pian piano convinti di essere loro il problema e non il pregiudizio degli altri?

Ho telefonato a un giornalista che era presente quando quelle frasi sono state scandite. Nessun dubbio: proprio quelle. Le ha scritte, come sempre, correttamente. «Rassegnati», mi sono detto.

Subito dopo ho telefonato a uno dei maggiori sociologi italiani. Uno studioso di razza con cattedra universitaria e decine e decine di libri e saggi pubblicati sull’argomento. Volevo mi spiegasse in quale misura, io calabrese, avevo perduto il rapporto con la realtà.

«IL 27? Non è possibile!», ha esordito. «Da dove viene fuori il dato? Quale istituto l’ha elaborato? Me lo dica lei. Io che mi occupo di queste cose da anni non l’ho mai incontrato. Neanche quelli che esagerano, i giornalisti che fanno i titoli, hanno mai sostenuto una cosa del genere».

Ha perduto la pazienza, il professore: «Guardi se in una società ci fosse una devianza mafiosa del 27% dovremmo elaborare un nuovo concetto di società per poterci raccapezzare e capire qualcosa. Non è importante chi l'ha detto: semplicemente, non è possibile». Una piccola pausa e come a chiudere la discussione: «Vede, è un dato pericoloso perché depista. Non può essere il risultato di una valutazione scientifica. Se si parte dal 27 tutto diventa inutile. Si fa confusione, non si capisce cosa sia la mafia e diventa impossibile elaborare una strategia specifica per sconfiggerla».

Ho tirato un sospiro di sollievo. Ma quanto valgono i giudizi del professore? Niente, meno di niente rispetto all’autorevole assemblea di ermellini e toghe di tutti i colori.

Nella testa avevo come un tamburo che batteva: 27%, 12%, 10% … E’ stato un fulmine improvviso: mi è scoppiato dentro il cuore e ho avuto paura. Ho iniziato a urlare: «La Dia, la Dia, certo, la Dia. Cazzo, se non è la Dia. Ed ero anche a Roma. Me lo ricordo: tra il 2006 il 2008». Ho iniziato una ricerca spasmodica. Non trovavo la relazione che per fortuna è saltata fuori da un sito, quello del professor Nicaso, l’intellettuale che scrive libri di mafia di gran successo assieme al Pm Gratteri. Raramente concordo con le sue valutazioni, ma viva Nicaso che (nel 2009) scriveva: «Secondo una recente relazione della Dia, la Direzione Investigativa Antimafia, la Calabria conta 155 cosche e circa 6.000 affiliati (grande wikipedia, ndr). Il rapporto tra popolazione/affiliati ai clan è del 2,7%. Nelle altre regioni il rapporto è rispettivamente di 1,2% in Campania, 1% in Sicilia e del 2% in Puglia».

Hanno sbagliato le virgole. Ecco cos’è successo! Hanno fatto saltare le virgole e ci stanno sputtanando in tutto il mondo. Il 2,7 è diventato 27; l’1,2 della Campania, il 12; l’1,0 della Sicilia, il 10. Si è salvata la Puglia perché aveva un numero intero.

Ora si tratta di capire quanto grande sia il pregiudizio di un’intera assemblea di magistrati e studiosi di diritto; di decine e decine di giornalisti tra i più quotati del paese che da anni scrivono articoli e libri di mafia; quanto grandi siano la paura e il terrore di uomini politici, parlamentari, sindaci, Governatori della Calabria, e non solo, che sono rimasti in silenzio o che hanno potuto credere che in Italia vi siano società in cui si vive col 27, il 12 o il 10 per cento di mafiosi portando gli «uomini del disonore» a cifre da eserciti d’invasione. Come ha fatto a non accorgersi nessuno che si trattava di una patacca?

Bisogna chiedersi, e bisognerà interrogarsi a lungo per capirlo, se non siano questi pregiudizi, questa disponibilità a credere e imboccare tutto con voracità religiosa, senza mai fare domande scomode, una delle ragioni per cui non riusciamo a liberarci della presenza devastante e ignobile della mafia, con il rischio che essa continui a corrodere le nostre società rendendole sempre più invivibili e perdute.

Fonte: Zoomsud.it

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