Dario Ronzoni
Fonte: Linkiesta
Bloccata la Sicilia, il Movimento dei Forconi procede alla conquista della Calabria. Le sue istanze, poco chiare, sono un insieme di proteste specifiche, concentrate su problemi economici e di sostenibilità. Ma forse si inserisce in una serie di rivendicazioni secolari di un Sud che, a quanto spiega aLinkiesta Pino Aprile, autore di Giù al Sud, sta scoprendo ora il suo valore antico, e quanto sia stato disprezzato.
Occupano le strade, fanno presidi, rivendicano diritti non meglio precisati. Il Movimento dei Forconi sta cercando di mettere sotto assedio la Sicilia, e non solo. La solidarietà delle altre regioni del sud, come la Calabria, si sta diffondendo. Non mancano ombre, però: dal sostegno di Forza Nuova a voci ancora meno raccomandabili. Però, anche sui Social Network, la protesta cresce. Perché? Lo spiega Pino Aprile, che da autore di Terroni e Giù al Sud, editi per Piemme, si è trasformato nell’esegeta di un movimento ignorato da tutti.
Da dove vengono fuori i forconi?
Da una situazione di disperazione sconosciuta e per anni messa a tacere. In origine sono agricoltori, allevatori sfiniti dalle condizioni economiche in cui si trovano a operare. Costretti dalle leggi a tenere costi molto alti, e si trovano a fare i conti con una concorrenza spietata: pensi che il pomodoro ciliegino, sia quello prodotto qui che quello prodotto in Egitto, costa uguale. Ma laggiù i braccianti li pagano 2 euro. Oppure il grano. E lo Stato che fa? Di sicuro, non li aiuta.
In che senso? La Sicilia è comunque una Regione a statuto speciale, e le notizie degli sprechi sono all’ordine del giorno.
Sì, è vero. Gli sprechi vanno colpiti, eliminati. Ma la situazione è diversa, più ampia e complessa. Le faccio un esempio: le imprese, colpite dalla crisi, dalla concorrenza, sono costrette a indebitarsi con l’Inps, a ritardare i pagamenti. Il credito viene venduto ad altri compratori, e spesso si teme che vengano comprati con capitali di provenienza, diciamo, dubbia e sospetta. Poi, strozzati, vendono le aziende e si trovano con niente in mano. Alcuni, pensi, si suicidano. Tutto questo nell’indifferenza delle istituzioni. Per gli automobilisti, il discorso si concentra sul gasolio, pagato 1.20 al litro. In Veneto costa meno. Però le raffinerie sono qua, e con loro le intossicazioni e le malattie.
Se queste sono le istanze alla base dei Forconi, allora contro chi protestano, esattamente?
Contro tutti. Contro il governo, innanzitutto, a lungo dominato da una mentalità nord-centrica. Si pensi che, ad esempio, a parità di problemi non c’è parità di trattamento. Se c’è crisi nei formaggi, il governo compra il parmigiano reggiano, per sostenerne l’industria. Ma per la crisi del pecorino, l’unica cosa che ottengono i pastori sardi sono botte e violenze. Al massimo, indifferenza. E i fondi Fas, per le aree sottoutilizzate (che poi è un eufemismo per dire sottosviluppate), finiscono altrove. Pensi che alcuni sono riusciti a toglierli dal Sud per portarli nei dintorni di Milano. Contro la Regione, anche, accusata di non saper fare il loro lavoro. In molti ora sono schierati contro Lombardo. E contro, soprattutto, la mancanza di attenzione ai loro problemi. L’Italia è strabica: si dimentica sempre del Sud. Se qualcosa qui va male, è dato per scontato. Se va bene, è visto con sospetto o ignorato. Pensi che l’anno scorso il miglior sindaco del mondo, secondo una classifica del World's Best Mayor, era italiano e del Sud: di Riace [in realtà è il terzo]. E questo chi lo sa? Nessuno.
Torniamo ai Forconi: fin dove si spingeranno queste proteste?
Non lo saprei dire. Il Movimento non sembra organizzato in modo chiaro. Le proteste non hanno un indirizzo, non hanno una strategia, nasce all’improvviso, come una fiammata di rabbia. Come finirà, sinceramente, non lo so. Però c’è una cosa sicura: il Sud ormai sa di contare poco, ma non ci sta più.
Loro, i forconi, si dichiarano apolitici.
Per quel che so io, è così. Tra le persone che conosco, ci sono persone che derivano dal Mpa, ma che ora contestano Lombardo. Ma anche imprenditori di idee di sinistra, o ex sindacalisti della Cgil. C’è di tutto, mi sembra, ma non mi è sembrato di vedere criminali, né fascisti Sì, c’è qualcuno. Del resto, al punto in cui sono, la disperazione non è né di destra né di sinistra. Come mi ha detto un mio amico, per loro sono solo direzioni stradali.
Cioè?
Che ormai il Sud sta acquistando consapevolezza della sua storia, più profonda delle visioni politiche. Sa, adesso, di essere stato un paese industriale distrutto con la forza, all’arrivo dei Savoia. Sa che non era arretrato, o oppresso, o povero. Sa che i briganti erano alfieri del V reggimento borbonico, cioè i più valorosi anche a livello morale. Sa che c’erano più iscritti ai movimenti per l’autonomia che per la democrazia cristiana. Sa che è stato educato a sentirsi sbagliato, sporco, arretrato. E sa che negli ultimi 150 anni c’è stata una sistematica operazione economica di abbattimento delle sue infrastrutture, a partire dai treni. Perfino ora Moretti ha eliminato i treni diretti. Una città come Matera una linea ferroviaria non l’ha mai avuta. Ma ora è cambiato.
E come?
Semplice: non lo pensa più. E, come è normale, fa riferimento a questo retaggio antico, soprattutto nei momenti di crisi. Così riemergono caratteri ancestrali con cui ci si riallaccia a punti di riferimento molto tradizionali. Ritorna la voglia autonomista. Lo stesso accade in Veneto. Il fatto che la Repubblica di Venezia sia stata la più longeva, non può non contare. E questo spiega la loro forte identità autonoma e slegata dal resto del nord.
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