A Bolzano con 35mila euro di reddito si devono versare alla Regione 430 euro di Irpef, che scendono a 178 con un figlio a carico e si azzerano con due (ognuno di loro dà diritto a 252 euro di detrazione per chi ne dichiara fino a 70mila). In Calabria, con la stessa denuncia dei redditi, l'addizionale ne pretende 710. I due casi limite illustrano bene la regola che sembra emergere dal panorama nazionale delle addizionali chieste dalle Regioni: una regola distorsiva, in virtù della quale i territori con redditi medi più bassi, figli di economie più in affanno (e "corretti" da tassi di evasione mediamente più alti), sono schiacciati da una pressione fiscale locale alle stelle, mentre le aree più ricche del Paese riescono in genere a contenere il livello di tasse necessarie a far funzionare le amministrazioni territoriali. Questo squilibrio è frutto di una storia di anni, caratterizzati da extradeficit regionali concentrati al Centro-Sud che hanno fatto superare alle addizionali di alcune Regioni anche i tetti massimi fissati dalla legge nazionale, ma subisce una nuova botta dall'aumento, generalizzato e retroattivo, imposto dal decreto salva-Italia. La manovra ha ritoccato all'insù dello 0,33% la quota base delle addizionali, su cui le singole Regioni possono introdurre le proprie maggiorazioni. Detta così, la percentuale non rende l'idea, perché rispetto alle aliquote medie applicate fino al giorno prima della manovra si tratta di un aumento intorno al 25-30 per cento. Non solo: in molte Regioni, dalla Lombardia all'Emilia Romagna, dalle Marche alla Puglia, la richiesta regionale è scaglionata e cresce insieme al reddito dichiarato, mentre la quota ulteriore imposta dal salva-Italia è uguale per tutti. L'incremento, di conseguenza, pesa di più sui redditi bassi, perché lo 0,33% aggiuntivo rappresenta un aumento del 37% sull'aliquota dello 0,9% applicata alle dichiarazioni più "leggere", e del 23,6 sull'aliquota dell'1,4% rivolta...
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di Gianni Trovati - Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/2rWLJ
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