Di ElisaVenturi
I Casalesi sono nati con Casal di Principe.
Per questo è difficile trovare un momento, un punto preciso sulla linea del tempo in cui lo Stato è diventato il nemico che fa perdere tempo in burocrazia e controlli e la camorra è diventata l’ordine, capace di garantire tranquillità e protezione a una terra che non ha ancora imparato a proteggersi da se stessa. In quella linea del tempo, però, di punti fermi ce ne sono
stati messi diversi. A partire da quando le famiglie della camorra si sono unite e strutturate in maniera gerarchica: è stato Cutolo, negli anni ‘70, a “mafizzare” la camorra.
Una parola,ma che racchiude molte organizzazioni criminali. Molto più dinamiche
di quanto lo sia la società e capaci di reinventarsi, ogni volta. Anche quando lo Stato riesce a tagliargli la testa. In un business che non teme crisi. Nei campi coltivati mosse i primi passi la camorra che ora si prepara a indossare il camice.
La liberalizzazione potrebbe dare una mano alla conquista delle farmacie che sembra
l’ultima frontiera della criminalità organizzata:
sugli scaffali, farmaci a basso costo, magari di produzione cinese. Falsi
gratta e vinci - con costi,ma anche premi, più bassi - e lotterie erano stati tra gli ultimi
frutti della creatività criminale campana.
Una creatività che cresce dietro le tende tirate delle finestre, su quelle strade vuote di giovani e con i vecchi seduti in piazza. Su quelle strade camminano i fantasmi di uno Stato che non c’è. E di una politica che la criminalità del Sud la guarda, a fasi alterne, con disprezzo o condiscendenza.
Un mondoalla rovescia quello che si respira tra quelle strade di paese, dove tutti si conoscono e si rispettano. Fino all’arresto o all’inchiesta su questo o quello: allora anche il rapporto di vicinato
sparisce. E nessuno sa, pensa, immagina.
«C’è una cappa pesante di immobilismo. Quando si arriva da queste parti, quello
che si respira è un clima pesantissimo,nonostante i successi giudiziari e l’intensificazione
dei controlli del ‘modello Caserta’» dice al nostro giornale Gigi Di Fiore,
giornalista e autore del libro “L’impero. Traffici, storie e segreti dell’occulta e potente
mafia dei Casalesi”. «Qui la gente fatica ancora a riconoscere le divise come amiche.Penso al recente arresto di Michele Zagaria, quando i commenti rivolti alle forze dell’ordine furono più che altro espressione di fastidio. Persino il parroco disse di lui che era un parrocchiano come
gli altri». Di Fiore racconta di un’adesione ancora forte, che col dominio dei Corleonesi ha in comune non solo il fatto di identificare l’organizzazione criminale col territorio di provincia del quale è cuore.
A unire - per dividere dallo Stato - ci sono affinità culturali e di identità. Un’origine comune che passa per la tranquillità economica, ma che non è soltanto questo.
C’è una visione distorta dello Stato. Filtrata dalle organizzazioni criminali già nell’Ottocento e che neppure Mussolini, durante il Ventennio, riuscì a estirpare.
«Questa è una battaglia che non si vince soltanto sul piano giudiziario. Anche se si
stanno moltiplicando risvegli di attenzione grazie a persone e associazioni storicamente
radicate sul territorio». Hanno la faccia giovane e colorata di questi risvegli le alternative alla camorra. Perché chi nasce e cresce a Casal di Principe non è per forza un casalese. «Un’alternativa c’è sempre - spiega Di Fiore -, ma per i giovani è difficile. Serve un impegno anche culturale che si sviluppi sul territorio. Ma come si fa in un paese dove vicino c’è il parente o
l’amico?». O il conoscente, nella migliore delle ipotesi, perché nell’Italia dei “paesotti”
ci si conosce tutti. Difficile pensare che il boss latitante in paese nessuno lo avesse più visto.Oche passi inosservato chi ritira il pizzo. Prima o poi certi personaggi si devono essere incrociati sulla propria strada. Ma si è tanto abituati a non vedere che si finisce per credere di non aver visto,
anche se ignorare è difficile. Spesso l’alibi dei politici è ‘non sapevo chi fosse’: su questo l’informazione può fare molto, dicendo il più possibile, fornendo nomi e dati che tolgano quell’alibi ai politici. In certe zone il contributo dei giornalisti è stato fondamentale: in molti hanno avuto
problemi in periodi in cui nonera facile come ora avere scorta o protezione». In quegli anni, quelli dei grandi processi alla criminalità,la stampa e le sue penne c’erano eccome, ma relegati a essere cronaca locale. «Credo ci sia stata una sottostima di una terra che ha avuto poco spazio nei
mass media nazionali».E che Gomorra ha reso “notiziabile”. Risale al 2008 il saggio di Di Fiore.Da allora qualcosa è cambiato. «Se dovessi farne un’edizione oggi non modificherei l’impianto di un libro che di soddisfazioni me ne ha date molte. Certo lo aggiornerei, però.Con gli arresti di Iovine
e Zagaria - che sono stati successi importanti per lo Stato - e con la vicenda Cosentino,
che nel libro ha solo un accenno ». Troppi tifosi e pochi giocatori in campo
in questa lotta alla camorra. «Questo è parte del problema. Lo stesso giorno che uscì il film Gomorra c’era il funerale di Noviello (un imprenditore ucciso da sicari dei Casalesi perché si era rifiutato di pagare il pizzo, ndr): al cinema c’era la fila, in chiesa davvero poca gente». Non stupì da quella parte di Bel Paese. Lo fece di più salendo verso il nord di un’Italia che vive di “mazzette” e raccomandazioni. Che cerca la scappatoia a ogni regola. Fondata sulle
caste e su figli destinati a seguire le orme dei genitori. Perché qui, nulla si muove.
Non solo al Sud. «Per combattere davvero la camorra, serve che ciascuno, nel suo
piccolo, si prenda il proprio impegno: quello di non protestare se prendo una multa guidando senza cintura di sicurezza, come di non accettare la mazzetta in cambio di un appalto. Il rispetto della legalità deve esserci sempre,non solo da un certo grado in poi».
Fonte: Corriere Nazionale del 13 gennaio 2012 pag.4
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