Torino 1864, 500 morti
Il 15 settembre del 1864 Victoire Emanuelle secondieme, ossia il Vittorione, firma con la Francia del massone Napoleone III una convenzione per il ritiro delle truppe francesi dai territori di quello che rimaneva dello Stato pontificio. Ciò comportava naturalmente lo spostamento della capitale. Il risorgimento era nato per colpire al cuore il papa, la Chiesa ed il mondo cattolico. La massoneria voleva governare la cosa pubblica dalla città dei cesari e dalla città simbolo della storia e della cultura italiana: Roma. Il trasferimento doveva avvenire in modo graduale, tanto per non intaccare la suscettibilità dei torinesi. La gente era già squassata dalle tasse di Quintino Sella e la notizia del trasferimento della capitale in altra sede ferì a morte l’orgoglio dei torinesi. La notizia della firma della convenzione apparve sulla stampa il 20 di settembre e una gran folla si riunì il 21 nel cuore di Torino. Piazza San Carlo venne assediata dal popolo inferocito si, ma composto e dignitoso. La capitale doveva essere trasferita a Roma passando per un paio di anni per Firenze, città del rinascimento, e in attesa che Roma cadesse sotto le cannonate savoiarde e grazie al compiacimento francese. A sedare i tumulti composti dei torinesi fu mandato Morozzo della Rocca, che non perse tempo a far aprire il fuoco sulla gente inerme, su coloro che volevano difendere Torino capitale. I feriti furono moltissimi, Non c’era nessuna rivolta armata, solo assembramento di popolo che intendeva dimostrare la sua contrarietà a scelte imposte dai templi massonici.
Il massacro di settembre
La sera del 22 avvenne l’irreparabile: il generale Della Rocca, che se ne intendeva di stragi e di eccidi avendo già partecipato alla cosiddetta repressione del brigantaggio nel Sud, ai carabinieri aggiunse la fanteria, fu aperto il fuoco, i morti furono 500, ma la versione ufficiale parla di 50. Dopo la strage del 1853 voluta da Cavour i torinesi vissero sulla loro pelle, per la seconda volta, la barbarie di casa Savoia.
Così Diego Novelli, in un bellissimo e documentato libro ci descrive la strage di settembre:”…Torino era un campo di battaglia. Nella notte, a marcia forzata, dal vicino comune di San Maurizio, erano stati fatti confluire in città seimila uomini, mentre migliaia giungevano nel corso della giornata. Le piazze Castello e San Carlo erano state trasformate in bivacchi […] Batterie di cannoni e nidi di mitragliatrici erano stati appostati sulla piazza d’Armi ed in quella di Milano. Cannoni e mortai erano collocati sulla collina del Monte dei Cappuccini che guarda sulla città, dall’altra parte del Po. […] Sulla piazza San Carlo le truppe di linea erano state disposte lungo i portici: una compagni del 17° reggimento sul lato sinistro ed una, del 66°, di fronte, su quello destro. Dinanzi alla questura c’era un altro bel po’ di soldati che facevano muro di protezione all’edificio […] Intorno alle nove di sera, quattro o cinque monelli, istigati da alcuni provocatori professionisti, avevano iniziato a lanciare ciotoli contro la porta della questura, sorvolando le teste dei soldati di linea, nel momento in cui un’onda di popolo che aveva percorso tutta la via dell’Ospedale stava per giungere sulla piazza. Improvvisamente il portone della questura si era aperto: un colpo di pistola lacerava l’aria mentre si udiva uno squillo di tromba. Gli allievi carabinieri erano usciti a frotte e, di corsa, con le carabine spianate in avanti, dopo aver attraversato i soldati di linea si erano messi a sparare all’impazzata. Ragazzi, donne, una gran massa digente veniva colpita al pari della truppa che si trovava sul lato opposto. Morti, feriti cadevano sul selciato, compreso il colonnello Colombini del 17° reggimento. I soldati bivaccavano, distesi per terra, sorpresi dagli spari, credendosi attaccati, si erano alzati di scatto e, imbracciando i fucili, avevano risposto al fuoco. Una vera carneficina..” (.Diego Novelli, Amor di Patria, Daniele Piazza Editore, Torino, 1998, pp. 243-244-246)
Il generale Enrico Morozzo della Rocca pensava di avere di fronte un esercito armato fino ai denti, usò la forza bruta, usò mortai, cannoni a mitraglia per reprimere una pacifica manifestazione popolare nonchè l’orgoglio di una città colpita al cuore.
Capitolo tratto dal libro di Antonio Ciano "Le stragi e gli eccidi dei Savoia"
.
Nessun commento:
Posta un commento