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IN PIAZZA PER L'ALTERNATIVA
In Italia, come in altre parti del mondo, la crisi di rappresentanza è giunta a un punto di non ritorno e richiede una rivoluzione pacifica e democratica della società tutta. La Camera mezza vuota durante il discorso del premier, costretto a chiedere l'ennesima fiducia al suo Governo, avvilisce non solo perché è stata una necessaria denuncia dell'inadeguatezza dell'esecutivo rispetto alla crisi, ma anche perché quel Parlamento, per la legge elettorale in vigore e non solo, rischia di non essere più rappresentativo della società reale, soprattutto dei suoi bisogni e dei suoi sogni. L'indignazione civile è il punto di partenza. Questa va trasformata in partecipazione democratica, perché non si disperda in antipolitica o, peggio, degeneri in rabbia sociale. Se il 90% dei media come del ceto politico si è espresso in una direzione, il 90% della popolazione negli ultimi anni non l'ha pensata allo stesso modo. Questo è accaduto tra le donne, la cui immagine è stata vituperata dal premier; è accaduto negli stabilimenti che chiudono o che vedono cambiate le regole del lavoro in modo ingiusto; è accaduto nelle scuole e nelle università, istituzioni primarie oggi pesantemente decostruite. La piazza del 15 ottobre può rappresentare l'emancipazione della dissonanza, la nascita di un nuovo movimento in grado di mettere in discussione le regole dell'economia, della politica e della sua rappresentanza, fornendo una alternativa costruttiva, non solo al berlusconismo ma anche sul piano mondiale. Per questo io ci sarò. Perché credo che questa urgenza “dal basso” deve diventare agenda politica e incidere sulla realtà più patita che vissuta, e perché deve avere spazio nei governi (nazionali e locali). Per questo è di fondamentale importanza che in piazza predomini l'anima pacifica del dissenso, perché l'ipotesi contraria aiuterebbe soltanto la conservazione di questa pessima politica, fornendo argomenti – alibi a chi vuole che niente cambi. Nei partiti, in Parlamento, nelle istituzioni e nel mondo.
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In Italia, come in altre parti del mondo, la crisi di rappresentanza è giunta a un punto di non ritorno e richiede una rivoluzione pacifica e democratica della società tutta. La Camera mezza vuota durante il discorso del premier, costretto a chiedere l'ennesima fiducia al suo Governo, avvilisce non solo perché è stata una necessaria denuncia dell'inadeguatezza dell'esecutivo rispetto alla crisi, ma anche perché quel Parlamento, per la legge elettorale in vigore e non solo, rischia di non essere più rappresentativo della società reale, soprattutto dei suoi bisogni e dei suoi sogni. L'indignazione civile è il punto di partenza. Questa va trasformata in partecipazione democratica, perché non si disperda in antipolitica o, peggio, degeneri in rabbia sociale. Se il 90% dei media come del ceto politico si è espresso in una direzione, il 90% della popolazione negli ultimi anni non l'ha pensata allo stesso modo. Questo è accaduto tra le donne, la cui immagine è stata vituperata dal premier; è accaduto negli stabilimenti che chiudono o che vedono cambiate le regole del lavoro in modo ingiusto; è accaduto nelle scuole e nelle università, istituzioni primarie oggi pesantemente decostruite. La piazza del 15 ottobre può rappresentare l'emancipazione della dissonanza, la nascita di un nuovo movimento in grado di mettere in discussione le regole dell'economia, della politica e della sua rappresentanza, fornendo una alternativa costruttiva, non solo al berlusconismo ma anche sul piano mondiale. Per questo io ci sarò. Perché credo che questa urgenza “dal basso” deve diventare agenda politica e incidere sulla realtà più patita che vissuta, e perché deve avere spazio nei governi (nazionali e locali). Per questo è di fondamentale importanza che in piazza predomini l'anima pacifica del dissenso, perché l'ipotesi contraria aiuterebbe soltanto la conservazione di questa pessima politica, fornendo argomenti – alibi a chi vuole che niente cambi. Nei partiti, in Parlamento, nelle istituzioni e nel mondo.
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