giovedì 28 luglio 2011

Rivoglio la mia storia

Caro Sindaco,
per non dilungarmi infruttuosamente e per rendere corto lo scritto perché di lungaggine spessissimo mi accusano, giungo immediatamente al nocciolo:
Da qualche anno si parla anche tanto di revisionismo, ossia quella tendenza a rivedere le cose e modificarle nell’interesse della verità più strettamente connessa agli eventi che la costituirono e che oggi la riformano.
S’intende che lo storico deve conoscere ed avere, per aggiornarla e riformularla e per raggiungere almeno una attendibilità quanto più distante dal falso, tutti gli strumenti d’indagine: documenti cartacei come proclami ed editti, foto, oggetti di epoche lontane o di varia età e cultura, illustrazioni di antiche stampe, scritti, missive ma anche saggi o testi bibliografici, insomma, (avendo certezza dell’autenticità delle testimonianze raccolte) tutto ciò che induca costui a dedurre, interpretare e ricostruire o modificando, una riformulazione delle cosiddette attendibilità o oggettività storiche.
Ebbene, Sig. Sindaco, da questa pur semplice concettualizzazione dell’indagine analitica dei fatti storici, son sorte, negli ultimi decenni, nuove teorie valutative della realtà, sia che essa sia stata storica o artistica, politica, o sociologica et cetera. Da ciò, ad esempio, viene sinteticamente, distinto il restauro.
Infatti, si dice che esso potrà essere “stilistico” o “conservativo”. Provo un’immediata chiarezza:
Faccia conto che ad un quadro o statua o fregio di un tempio classico manchi un frammento. Se utilizzo il restauro cosiddetto “stilistico” ricostruirò, attraverso specifiche tecniche, la mano del personaggio ritratto oppure anatomicamente il braccio o la testa della statua ellenica o la ricostruzione muraria (possibilmente dello stesso materiale di cui, un tempo, era composto il tempio) di quella parte mancante. Insomma ricompatto l’unicità dell’oggetto così che riformerò com’era l’opera originaria. Quello “conservativo”,invece, si adopererà a colmare il frammento mancante al quadro con materiale e colore compatibile ma dissimile, ossia che non offenda il contesto dell’opera ma che agirà (chimicamente) come colante ricostruttivo, ri-connettento le parti dello strappo, dunque, il suo originario tessuto ma sul quale, però, segnerò la sottile sinopia rossa, (segno sottile del disegno) che dimostrerà come presumibilmente o oggettivamente doveva essere quella mano. Parimenti al tempio classico, ad esempio, in pietra bianca di ”Gerusalemme” verrà ricostruito la parte mancante con idoneo materiale riconnettivo ma di colore appena diverso ma riformativo. Cosa avrò voluto dire fin qui?
Che quello stilistico non renderà mai facile la ri-lettura della storia dell’oggetto restaurato perché maschera tutte le ferite che l’arco-vita dell’opera avrà subito per effetto di guerre, terremoti, incendi, bombardamenti, trasferimenti, atti vandalici etc. etc. Non potrà essere ripercorsa la sua verità storica e dunque non solo l’intrinseca vita di quella cosa ma anche le problematiche filologiche, storiche e sociali fuori dell’opera.













Insomma avrò realizzato un’azione di autentico “falso temporale”. Quello “restaurativo”, viceversa, senza dilungarmi oltre, offrirà tutti i segni dell’azione dell’uomo o della natura e l’intervento restaurativo sarà criticamente corrispondente alla realtà della propria vita e chiarificante e non edificante, dell’esistente e rimanendo neutrale all’opera pur avendola sanata.
Ebbene, Sig. Sindaco, la Sua città è piena zeppa di questi falsi che solleverebbe prontamente il problema della toponomastica della città ma di ciò, non s’intende aprire or ora alcuna storia.
Ciò che invece mi preme dirLe che il Suo Palazzo, la Sua e Nostra Sede Amministrativa, Palazzo San Giacomo proprio questo estremo e alto simbolo della rappresentatività della città, ebbene, viva, in primis di queste falsità.
Dunque, tutto ciò è cosa nota ma, Le chiedo, vorrà Lei, primo cittadino di Napoli impedire che lo storico non legga per intero tutte le parti della lunga storia, i segni dello stupefacente passato della Sua Città?Potrà impedire che delle pagine di storia secolare, possano essere strappate, proprio dal libro del Suo e Nostro Palazzo simbolo quel racconto, quelle ferite, quella memoria? Che allo storico vengano tolti i segnali dei suoi studi?


Le chiedo, dunque, che si studi il modo e, ad esempio, … è solo una non meritevole ipotesi, che all’interno dei serti di foglie murari e dei ferri dei cancelli e delle inferriate siano inseriti idonee targhe circolari in lamierino scuro (simile a quello delle insegne stradali) sul quale vengano riprodotti, mediante stampa, quei gigli, nelle originarie proporzioni ed effetto tridimensionale, strappati nel non troppo lontano 1860. Dunque, non il ripristino irreversibile ma solo documentaristico della storia di quei decori. Di quel prospetto, insomma, che in quel modo nacque come Palazzo dei Ministeri di Stato e dove vennero sistemati 40 corridoi, 846 stanze, due fontane et cetera, l’ufficio della Borsa, il Banco delle Due Sicilie, la Gran Corte dei Conti e sezioni di altre amministrazioni delle finanze. Tutti gli uffici e gli ambienti erano arredati esclusivamente con prodotti dell’artigianato del Regno delle Due Sicilie.

Suo fiducioso cittadino Bruno Pappalardo, SUDVOX 27.07.2011


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Caro Sindaco,
per non dilungarmi infruttuosamente e per rendere corto lo scritto perché di lungaggine spessissimo mi accusano, giungo immediatamente al nocciolo:
Da qualche anno si parla anche tanto di revisionismo, ossia quella tendenza a rivedere le cose e modificarle nell’interesse della verità più strettamente connessa agli eventi che la costituirono e che oggi la riformano.
S’intende che lo storico deve conoscere ed avere, per aggiornarla e riformularla e per raggiungere almeno una attendibilità quanto più distante dal falso, tutti gli strumenti d’indagine: documenti cartacei come proclami ed editti, foto, oggetti di epoche lontane o di varia età e cultura, illustrazioni di antiche stampe, scritti, missive ma anche saggi o testi bibliografici, insomma, (avendo certezza dell’autenticità delle testimonianze raccolte) tutto ciò che induca costui a dedurre, interpretare e ricostruire o modificando, una riformulazione delle cosiddette attendibilità o oggettività storiche.
Ebbene, Sig. Sindaco, da questa pur semplice concettualizzazione dell’indagine analitica dei fatti storici, son sorte, negli ultimi decenni, nuove teorie valutative della realtà, sia che essa sia stata storica o artistica, politica, o sociologica et cetera. Da ciò, ad esempio, viene sinteticamente, distinto il restauro.
Infatti, si dice che esso potrà essere “stilistico” o “conservativo”. Provo un’immediata chiarezza:
Faccia conto che ad un quadro o statua o fregio di un tempio classico manchi un frammento. Se utilizzo il restauro cosiddetto “stilistico” ricostruirò, attraverso specifiche tecniche, la mano del personaggio ritratto oppure anatomicamente il braccio o la testa della statua ellenica o la ricostruzione muraria (possibilmente dello stesso materiale di cui, un tempo, era composto il tempio) di quella parte mancante. Insomma ricompatto l’unicità dell’oggetto così che riformerò com’era l’opera originaria. Quello “conservativo”,invece, si adopererà a colmare il frammento mancante al quadro con materiale e colore compatibile ma dissimile, ossia che non offenda il contesto dell’opera ma che agirà (chimicamente) come colante ricostruttivo, ri-connettento le parti dello strappo, dunque, il suo originario tessuto ma sul quale, però, segnerò la sottile sinopia rossa, (segno sottile del disegno) che dimostrerà come presumibilmente o oggettivamente doveva essere quella mano. Parimenti al tempio classico, ad esempio, in pietra bianca di ”Gerusalemme” verrà ricostruito la parte mancante con idoneo materiale riconnettivo ma di colore appena diverso ma riformativo. Cosa avrò voluto dire fin qui?
Che quello stilistico non renderà mai facile la ri-lettura della storia dell’oggetto restaurato perché maschera tutte le ferite che l’arco-vita dell’opera avrà subito per effetto di guerre, terremoti, incendi, bombardamenti, trasferimenti, atti vandalici etc. etc. Non potrà essere ripercorsa la sua verità storica e dunque non solo l’intrinseca vita di quella cosa ma anche le problematiche filologiche, storiche e sociali fuori dell’opera.













Insomma avrò realizzato un’azione di autentico “falso temporale”. Quello “restaurativo”, viceversa, senza dilungarmi oltre, offrirà tutti i segni dell’azione dell’uomo o della natura e l’intervento restaurativo sarà criticamente corrispondente alla realtà della propria vita e chiarificante e non edificante, dell’esistente e rimanendo neutrale all’opera pur avendola sanata.
Ebbene, Sig. Sindaco, la Sua città è piena zeppa di questi falsi che solleverebbe prontamente il problema della toponomastica della città ma di ciò, non s’intende aprire or ora alcuna storia.
Ciò che invece mi preme dirLe che il Suo Palazzo, la Sua e Nostra Sede Amministrativa, Palazzo San Giacomo proprio questo estremo e alto simbolo della rappresentatività della città, ebbene, viva, in primis di queste falsità.
Dunque, tutto ciò è cosa nota ma, Le chiedo, vorrà Lei, primo cittadino di Napoli impedire che lo storico non legga per intero tutte le parti della lunga storia, i segni dello stupefacente passato della Sua Città?Potrà impedire che delle pagine di storia secolare, possano essere strappate, proprio dal libro del Suo e Nostro Palazzo simbolo quel racconto, quelle ferite, quella memoria? Che allo storico vengano tolti i segnali dei suoi studi?


Le chiedo, dunque, che si studi il modo e, ad esempio, … è solo una non meritevole ipotesi, che all’interno dei serti di foglie murari e dei ferri dei cancelli e delle inferriate siano inseriti idonee targhe circolari in lamierino scuro (simile a quello delle insegne stradali) sul quale vengano riprodotti, mediante stampa, quei gigli, nelle originarie proporzioni ed effetto tridimensionale, strappati nel non troppo lontano 1860. Dunque, non il ripristino irreversibile ma solo documentaristico della storia di quei decori. Di quel prospetto, insomma, che in quel modo nacque come Palazzo dei Ministeri di Stato e dove vennero sistemati 40 corridoi, 846 stanze, due fontane et cetera, l’ufficio della Borsa, il Banco delle Due Sicilie, la Gran Corte dei Conti e sezioni di altre amministrazioni delle finanze. Tutti gli uffici e gli ambienti erano arredati esclusivamente con prodotti dell’artigianato del Regno delle Due Sicilie.

Suo fiducioso cittadino Bruno Pappalardo, SUDVOX 27.07.2011


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