di MASSIMO GIANNININON c'è bisogno di aspettare Pontida per capire che il destino di Berlusconi è segnato. Lo dice l'economia, prima ancora che la politica. Lo segnalano gli analisti finanziari, prima ancora che i leghisti padani. Moody's che minaccia di rivedere al ribasso il rating dell'Italia fa giustizia di giorni e giorni di chiacchiere irresponsabili e di richieste inesigibili.
Altro che grande riforma fiscale, altro che scossa all'economia, altro che allargamento dei cordoni della borsa per rimediare alla doppia sberla delle amministrative e del referendum. La verifica reale non la faranno la prossima settimana gli "improponibili" o i "responsabili" di questa maggioranza in disarmo: hanno già cominciato a farla quei ragazzi "terribili" che ogni giorno, da dietro un computer, decidono le sorti dei Paesi e dei mercati. L'allegra brigata berlusconiana, cieca e sorda di fronte alla realtà, danza sotto il vulcano. L'Italia non può permettersi il lusso di ridurre le tasse o di aumentare la spesa. Il nostro bilancio pubblico non offre margini. Il nostro debito non diminuisce. La nostra crescita é pressoché inesistente. In queste condizioni, qualunque passo falso sarebbe fatale, ed esporrebbe il Paese al pericolo di un downgrading, e quindi di una deriva greca. Aumento immediato degli spread dei nostri titoli e del premio di rischio richiesto dai mercati per sottoscriverli, impennata del costo del debito, necessità di aumentare ancora di più le tasse per finanziare l'aumento dei tassi. È la spirale temuta da settimane da Giulio Tremonti, che il presidente del consiglio non ha voluto vedere né capire, illuso com'è di poter riconquistare gli italiani con l'ennesimo gioco di prestigio, e di poter "fregare" l'Europa con l'ennesima truffa contabile.
Ora il premier è servito. Il siluro armato da Moody's è un argomento decisivo, nelle mani del ministro dell'Economia. Conferma che la sua non è un'impuntatura tardiva o autolesionistica, ma una necessità oggettiva a difesa dell'interesse nazionale. Non possiamo tradire il patto di stabilità, non possiamo sciogliere il vincolo esterno che ci lega all'Europa. Non possiamo rinunciare all'impegno del pareggio di bilancio. Al contrario: se vogliamo evitare la bancarotta, dobbiamo accelerare sul sentiero del risanamento e del rigore finanziario, anticipando a prima dell'estate la manovra da 40 miliardi che ci chiede la Ue e che si aspettano i mercati. Non c'è altra via.
È finito il tempo delle televendite propagandistiche e delle scorciatoie demagogiche. Prima ancora dei druidi padani e del sacro rito pagano di Pontida, la fine della ricreazione la suona la campana di Moody's. È una novità devastante per il Cavaliere. Ma è anche una pessima notizia per l'Italia. Dopo tre anni di lassismo berlusconiano e di cadornismo tremontiano, ci ritroviamo ancora una volta nel girone infernale del Club Med di Eurolandia. Tornare alla crescita, ha invocato Mario Draghi il 31 maggio, nelle sue ultime considerazioni finali da governatore della Banca d'Italia. È già tanto se non ci cacceranno dall'euro, grazie a questo governo di nani e ballerine, di faccendieri e di apprendisti stregoni.
m.giannini@repubblica.it
sabato 18 giugno 2011
Sotto il vulcano
di MASSIMO GIANNININON c'è bisogno di aspettare Pontida per capire che il destino di Berlusconi è segnato. Lo dice l'economia, prima ancora che la politica. Lo segnalano gli analisti finanziari, prima ancora che i leghisti padani. Moody's che minaccia di rivedere al ribasso il rating dell'Italia fa giustizia di giorni e giorni di chiacchiere irresponsabili e di richieste inesigibili.
Altro che grande riforma fiscale, altro che scossa all'economia, altro che allargamento dei cordoni della borsa per rimediare alla doppia sberla delle amministrative e del referendum. La verifica reale non la faranno la prossima settimana gli "improponibili" o i "responsabili" di questa maggioranza in disarmo: hanno già cominciato a farla quei ragazzi "terribili" che ogni giorno, da dietro un computer, decidono le sorti dei Paesi e dei mercati. L'allegra brigata berlusconiana, cieca e sorda di fronte alla realtà, danza sotto il vulcano. L'Italia non può permettersi il lusso di ridurre le tasse o di aumentare la spesa. Il nostro bilancio pubblico non offre margini. Il nostro debito non diminuisce. La nostra crescita é pressoché inesistente. In queste condizioni, qualunque passo falso sarebbe fatale, ed esporrebbe il Paese al pericolo di un downgrading, e quindi di una deriva greca. Aumento immediato degli spread dei nostri titoli e del premio di rischio richiesto dai mercati per sottoscriverli, impennata del costo del debito, necessità di aumentare ancora di più le tasse per finanziare l'aumento dei tassi. È la spirale temuta da settimane da Giulio Tremonti, che il presidente del consiglio non ha voluto vedere né capire, illuso com'è di poter riconquistare gli italiani con l'ennesimo gioco di prestigio, e di poter "fregare" l'Europa con l'ennesima truffa contabile.
Ora il premier è servito. Il siluro armato da Moody's è un argomento decisivo, nelle mani del ministro dell'Economia. Conferma che la sua non è un'impuntatura tardiva o autolesionistica, ma una necessità oggettiva a difesa dell'interesse nazionale. Non possiamo tradire il patto di stabilità, non possiamo sciogliere il vincolo esterno che ci lega all'Europa. Non possiamo rinunciare all'impegno del pareggio di bilancio. Al contrario: se vogliamo evitare la bancarotta, dobbiamo accelerare sul sentiero del risanamento e del rigore finanziario, anticipando a prima dell'estate la manovra da 40 miliardi che ci chiede la Ue e che si aspettano i mercati. Non c'è altra via.
È finito il tempo delle televendite propagandistiche e delle scorciatoie demagogiche. Prima ancora dei druidi padani e del sacro rito pagano di Pontida, la fine della ricreazione la suona la campana di Moody's. È una novità devastante per il Cavaliere. Ma è anche una pessima notizia per l'Italia. Dopo tre anni di lassismo berlusconiano e di cadornismo tremontiano, ci ritroviamo ancora una volta nel girone infernale del Club Med di Eurolandia. Tornare alla crescita, ha invocato Mario Draghi il 31 maggio, nelle sue ultime considerazioni finali da governatore della Banca d'Italia. È già tanto se non ci cacceranno dall'euro, grazie a questo governo di nani e ballerine, di faccendieri e di apprendisti stregoni.
m.giannini@repubblica.it
Altro che grande riforma fiscale, altro che scossa all'economia, altro che allargamento dei cordoni della borsa per rimediare alla doppia sberla delle amministrative e del referendum. La verifica reale non la faranno la prossima settimana gli "improponibili" o i "responsabili" di questa maggioranza in disarmo: hanno già cominciato a farla quei ragazzi "terribili" che ogni giorno, da dietro un computer, decidono le sorti dei Paesi e dei mercati. L'allegra brigata berlusconiana, cieca e sorda di fronte alla realtà, danza sotto il vulcano. L'Italia non può permettersi il lusso di ridurre le tasse o di aumentare la spesa. Il nostro bilancio pubblico non offre margini. Il nostro debito non diminuisce. La nostra crescita é pressoché inesistente. In queste condizioni, qualunque passo falso sarebbe fatale, ed esporrebbe il Paese al pericolo di un downgrading, e quindi di una deriva greca. Aumento immediato degli spread dei nostri titoli e del premio di rischio richiesto dai mercati per sottoscriverli, impennata del costo del debito, necessità di aumentare ancora di più le tasse per finanziare l'aumento dei tassi. È la spirale temuta da settimane da Giulio Tremonti, che il presidente del consiglio non ha voluto vedere né capire, illuso com'è di poter riconquistare gli italiani con l'ennesimo gioco di prestigio, e di poter "fregare" l'Europa con l'ennesima truffa contabile.
Ora il premier è servito. Il siluro armato da Moody's è un argomento decisivo, nelle mani del ministro dell'Economia. Conferma che la sua non è un'impuntatura tardiva o autolesionistica, ma una necessità oggettiva a difesa dell'interesse nazionale. Non possiamo tradire il patto di stabilità, non possiamo sciogliere il vincolo esterno che ci lega all'Europa. Non possiamo rinunciare all'impegno del pareggio di bilancio. Al contrario: se vogliamo evitare la bancarotta, dobbiamo accelerare sul sentiero del risanamento e del rigore finanziario, anticipando a prima dell'estate la manovra da 40 miliardi che ci chiede la Ue e che si aspettano i mercati. Non c'è altra via.
È finito il tempo delle televendite propagandistiche e delle scorciatoie demagogiche. Prima ancora dei druidi padani e del sacro rito pagano di Pontida, la fine della ricreazione la suona la campana di Moody's. È una novità devastante per il Cavaliere. Ma è anche una pessima notizia per l'Italia. Dopo tre anni di lassismo berlusconiano e di cadornismo tremontiano, ci ritroviamo ancora una volta nel girone infernale del Club Med di Eurolandia. Tornare alla crescita, ha invocato Mario Draghi il 31 maggio, nelle sue ultime considerazioni finali da governatore della Banca d'Italia. È già tanto se non ci cacceranno dall'euro, grazie a questo governo di nani e ballerine, di faccendieri e di apprendisti stregoni.
m.giannini@repubblica.it
Fonte: La Repubblica
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