martedì 10 maggio 2011

L’Enel, il nucleare e i Mapuche

Di Luca Manes

Appena due anni fa l’amministratore delegato di Enel Fulvio Conti ha rilasciato un’intervista al Sole 24 Ore in cui diceva: «Ci sono circa cinquecento impianti nucleari nel mondo, alcuni in zone altamente sismiche come il Giappone, ma si tratta di impianti pronti a resistere anche a terremoti di intensità pari a nove gradi sulla scala Richter». La stessa Enel anche all’indomani del disastro di Fukushima continuava a sostenere la bontà dell’energia nucleare e a dirsi pronta per la costruzione di quattro reattori di tipo Epr in Italia. I due soli progetti di questo tipo oggi in cantiere in Europa, in Francia e Finlandia, stanno entrambi registrando enormi aumenti dei costi, ritardi e altri problemi. Adesso il governo italiano ha rivisto i propri piani nucleari e annunciato un clamoroso dietro-front «a termine», mentre rimane alta l’attenzione per i referendum del 12 e 13 giugno. Nel frattempo l’Enel continua a essere molto attiva nell’Est europeo, in particolare in Romania [centrale di Cernavoda], Slovacchia [Mochovce] e a Kalinigrad, exclave russa a pochi chilometri dalla Lituania, dove il progetto di impianto nucleare è particolarmente avversato dalle comunità locali.

Proprio un attivista di una Ong russa, Vladimir Slyviak, ha preso parte all’assemblea degli azionisti dell’Enel, tenutasi in una blindatissima viale Regina Margherita a Roma la scorsa settimana. La presenza di Slyviak e di tre ospiti cileni, arrivati in Italia per denunciare gli impatti di vari progetti idroelettrici che l’Enel ha in programma nel loro Paese, è stata facilitata dalla Fondazione culturale responsabilità etica e da Campagna per la riforma della Banca mondiale/Mani Tese nell’ambito delle loro attività di azionariato critico, iniziate quattro anni fa.

Appena iniziati i lavori, c’è subito stata una sgradita sorpresa per gli ospiti stranieri: a «causa» l’ingente presenza di azionisti intenzionati a prendere la parola viene tagliato loro il tempo a disposizione. Se gli anni scorsi i minuti per parlare erano dieci, quest’anno sono cinque, comprensivi di traduzione consecutiva. Ovvero gli ospiti stranieri possono esporre le loro ragioni in soli due minuti e mezzo. L’amministratore delegato della compagnia elettrica Fulvio Conti ha poi risposto a Slyviak riconoscendo un interesse in Kalinigrad, sebbene per il coinvolgimento definitivo ci siano da attendere tutta una serie di «valutazioni». Nemmeno una parola sul rischio di contaminazione delle falde acquifere e sui pericoli di incidenti in una zona ad alto traffico aereo internazionale, i principali «difetti» del progetto.
Tanto per non smentirsi, poi, Conti ha difeso a spada tratta il nucleare all’estero [che frutta all’Enel il 14 per cento dell’energia distribuita], ribadendo la sua posizione «attendista» in Italia.

Sul fronte dei grandi progetti idroelettrici e dello sfruttamento dell’acqua cilena, l’Enel ha un atteggiamento sempre più aggressivo. Se qualche anno fa le dighe in Patagonia e in territorio Mapuche erano viste più come un retaggio dell’Endesa [multi-utility spagnola acquisita nel 2007], adesso queste opere multimiliardarie rappresentano una sorta di fiore all’occhiello dell’impresa. Lo si comprende dalle stesse affermazioni di Conti, pronto a ribadire che le affermazioni delle Ong e dei movimenti riportate dagli ospiti cileni in assemblea non rispondono a verità e a promettere all’esponente mapuche Jorge Hueche «possibili ritorsioni legali» qualora si insistesse a denunciare gli impatti delle dighe nel territorio mapuche.

Nella realtà dei fatti, poi, tutte le decisioni «pesanti» erano già state prese in precedenza. Ci ha già pensato il ministero dell’economia, che infatti all’assemblea ha mandato una «delegata» che in soli trenta secondi ha chiarito che «a noi va tutto bene, grazie del lavoro fatto [e del dividendo che ci date, aggiungiamo noi] e tanti saluti». D’altronde se Via XX Settembre ha quasi il 31 per cento delle azioni della compagnia e conta per più della metà del 49 per cento delle quote rappresentate all’Agm, si fa presto a comprendere che di margini d’azione in assemblea ce ne siano ben pochi.

Ultima nota a margine, il presidente uscente Pietro Gnudi ha lodato l’Enel perché «ha fatto scuola sulla corporate governance». Peccato che, tanto per fare un esempio, per il nuovo consiglio d’amministrazione non ci fosse nemmeno una donna candidata…

Fonte:Carta.org


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Di Luca Manes

Appena due anni fa l’amministratore delegato di Enel Fulvio Conti ha rilasciato un’intervista al Sole 24 Ore in cui diceva: «Ci sono circa cinquecento impianti nucleari nel mondo, alcuni in zone altamente sismiche come il Giappone, ma si tratta di impianti pronti a resistere anche a terremoti di intensità pari a nove gradi sulla scala Richter». La stessa Enel anche all’indomani del disastro di Fukushima continuava a sostenere la bontà dell’energia nucleare e a dirsi pronta per la costruzione di quattro reattori di tipo Epr in Italia. I due soli progetti di questo tipo oggi in cantiere in Europa, in Francia e Finlandia, stanno entrambi registrando enormi aumenti dei costi, ritardi e altri problemi. Adesso il governo italiano ha rivisto i propri piani nucleari e annunciato un clamoroso dietro-front «a termine», mentre rimane alta l’attenzione per i referendum del 12 e 13 giugno. Nel frattempo l’Enel continua a essere molto attiva nell’Est europeo, in particolare in Romania [centrale di Cernavoda], Slovacchia [Mochovce] e a Kalinigrad, exclave russa a pochi chilometri dalla Lituania, dove il progetto di impianto nucleare è particolarmente avversato dalle comunità locali.

Proprio un attivista di una Ong russa, Vladimir Slyviak, ha preso parte all’assemblea degli azionisti dell’Enel, tenutasi in una blindatissima viale Regina Margherita a Roma la scorsa settimana. La presenza di Slyviak e di tre ospiti cileni, arrivati in Italia per denunciare gli impatti di vari progetti idroelettrici che l’Enel ha in programma nel loro Paese, è stata facilitata dalla Fondazione culturale responsabilità etica e da Campagna per la riforma della Banca mondiale/Mani Tese nell’ambito delle loro attività di azionariato critico, iniziate quattro anni fa.

Appena iniziati i lavori, c’è subito stata una sgradita sorpresa per gli ospiti stranieri: a «causa» l’ingente presenza di azionisti intenzionati a prendere la parola viene tagliato loro il tempo a disposizione. Se gli anni scorsi i minuti per parlare erano dieci, quest’anno sono cinque, comprensivi di traduzione consecutiva. Ovvero gli ospiti stranieri possono esporre le loro ragioni in soli due minuti e mezzo. L’amministratore delegato della compagnia elettrica Fulvio Conti ha poi risposto a Slyviak riconoscendo un interesse in Kalinigrad, sebbene per il coinvolgimento definitivo ci siano da attendere tutta una serie di «valutazioni». Nemmeno una parola sul rischio di contaminazione delle falde acquifere e sui pericoli di incidenti in una zona ad alto traffico aereo internazionale, i principali «difetti» del progetto.
Tanto per non smentirsi, poi, Conti ha difeso a spada tratta il nucleare all’estero [che frutta all’Enel il 14 per cento dell’energia distribuita], ribadendo la sua posizione «attendista» in Italia.

Sul fronte dei grandi progetti idroelettrici e dello sfruttamento dell’acqua cilena, l’Enel ha un atteggiamento sempre più aggressivo. Se qualche anno fa le dighe in Patagonia e in territorio Mapuche erano viste più come un retaggio dell’Endesa [multi-utility spagnola acquisita nel 2007], adesso queste opere multimiliardarie rappresentano una sorta di fiore all’occhiello dell’impresa. Lo si comprende dalle stesse affermazioni di Conti, pronto a ribadire che le affermazioni delle Ong e dei movimenti riportate dagli ospiti cileni in assemblea non rispondono a verità e a promettere all’esponente mapuche Jorge Hueche «possibili ritorsioni legali» qualora si insistesse a denunciare gli impatti delle dighe nel territorio mapuche.

Nella realtà dei fatti, poi, tutte le decisioni «pesanti» erano già state prese in precedenza. Ci ha già pensato il ministero dell’economia, che infatti all’assemblea ha mandato una «delegata» che in soli trenta secondi ha chiarito che «a noi va tutto bene, grazie del lavoro fatto [e del dividendo che ci date, aggiungiamo noi] e tanti saluti». D’altronde se Via XX Settembre ha quasi il 31 per cento delle azioni della compagnia e conta per più della metà del 49 per cento delle quote rappresentate all’Agm, si fa presto a comprendere che di margini d’azione in assemblea ce ne siano ben pochi.

Ultima nota a margine, il presidente uscente Pietro Gnudi ha lodato l’Enel perché «ha fatto scuola sulla corporate governance». Peccato che, tanto per fare un esempio, per il nuovo consiglio d’amministrazione non ci fosse nemmeno una donna candidata…

Fonte:Carta.org


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