Un’energia nuova, pulita e praticamente inesauribile. Che arriva dal mare e che potrebbe diventare la scommessa del futuro per un paese povero di fonti energetiche come l’Italia. Il vulcano Marsili, gigante di 3000 metri al largo delle Isole Eolie, il più grande cratere sottomarino d’Europa, oggi è al centro di un progetto per la costruzione della prima centrale geotermica offshore del mondo. Un’idea rivoluzionaria che punta a sfruttare il calore dell’acqua marina che si infiltra lungo le pendici del vulcano, dove raggiunge temperature fino a 300 gradi centigradi, convogliandola in quattro piattaforme galleggianti dove produrre energia elettrica attraverso un sistema di turbine a vapore. Un potenziale di produzione annua di circa 4.0 TWh, che da solo raddoppierebbe la quota del geotermico in Italia e basterebbe a coprire il fabbisogno energetico di 700 mila persone, l’intera popolazione di Palermo.
L’idea di produrre energia dal vulcano è venuta a Patrizio Signanini dell’Università di Chieti ed è stata finanziata da Eurobuilding, impresa specializzata in ingegneria naturalistica. L’azienda ha finanziato un gruppo di ricerca composto da tecnici dell’INGV, del CNR, del Politecnico di Bari e dell’Università di Chieti. Assente dal progetto, almeno a livello economico, lo Stato, che nonostante abbia concesso il permesso esclusivo di ricerca nell’area da parte del ministero dello Sviluppo Economico e una valutazione di impatto ambientale positiva del ministero dell’Ambiente, non ha al momento erogato finanziamenti per la ricerca.
Partito nel 2006 con una campagna di rilievi magnetici che ha permesso di confermare la presenza di decine di milioni di metri cubi di fluidi ad alto contenuto energetico, il Marsili Project, il cui investimento complessivo ammonta a circa 2 miliardi di euro, sta ora per entrare nella fase esplorativa. Entro il 2013 l’obiettivo è arrivare alla costruzione di una prima piattaforma di trivellazione, con un pozzo pilota situato a 800 metri di profondità per perforare fino a 2 chilometri all’interno del vulcano. “Entro il 2016 dovrebbe essere operativa la prima unità produttiva che sarà poi affiancata da altre tre piattaforme”, spiega al fattoquotidiano.it Diego Paltrinieri, geologo marino e direttore del progetto, che esclude anche eventuali rischi per l’ambiente marino. “A differenza delle piattaforme per l’estrazione di idrocarburi dove la materia estratta è del tutto estranea all’ambiente circostante, nel caso del Marsili si tratta di un sistema aperto, con acque in continua circolazione. Un’eventuale fuoriuscita non genererebbe impatti rilevanti perché già esiste un’interazione tra le acque calde in pressione e l’ambiente marino, dimostrata anche dalla presenza di diversi geyser sottomarini nell’area”.
“La geotermia offshore è una reale ed importante risorsa energetica tutta italiana, ci sono molti altri vulcani sottomarini da studiare nell’area del Tirreno meridionale” continua Paltrinieri. “Questo settore può contribuire in maniera determinante e in tempi relativamente brevi alla produzione di un’energia pulita, rinnovabile e non proveniente dall’estero, ponendosi anche come una valida alternativa all’energia nucleare.” Secondo le stime di Eurobuilding lo sfruttamento di tutte le caldaie sottomarine dei nostri mari potrebbe arrivare a coprire il 7-10% dei consumi totali di energia entro 30 anni, proiettando l’Italia all’avanguardia della ricerca geotermica mondiale e ridando linfa a un settore che potrebbe di fatto ridisegnare gli scenari della nostra politica energetica.
“Abbiamo nel sottosuolo enormi sorgenti inutilizzate, basta guardare tutta la zona della Toscana fino alla Campania e oltre. Sarebbe importante riuscire a sfruttare queste sorgenti di energia geotermica” dichiarava qualche settimana il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia invitando il governo a puntare di più su un settore in cui, in mancanza di investimenti e politiche di sviluppo adeguate, l’Italia rischia di perdere importanti opportunità economiche oltre che una tradizione di eccellenza.
La conferma che, a quasi un secolo dall’inaugurazione nel 1913 a Larderello della prima centrale del mondo, sul geotermico l’Italia abbia campato quasi solo di rendita arriva dall’ultimo rapporto delGestore Servizi Elettrici (GSE). Primo produttore in Europa e terzo al mondo, nonostante le decine di pozzi attivi individuati in diverse aree della penisola, il geotermico oggi è una realtà solo in Toscana mentre dal 1999 la produzione è cresciuta solo dello 0,1% attestandosi allo 1,8% del totale dell’energia prodotta. Invariato negli ultimi dieci anni anche il numero degli impianti attivi, fermo a 32, mentre nel 2009, scende al 7.6%, raggiungendo il minimo storico dal 1999, la quota di geotermico sul totale dell’energia prodotta da fonti rinnovabili.
“La geotermia ha un grande potenziale di sviluppo e consentirà di raggiungere più facilmente l’obiettivo del 25% di energia prodotta da fonti pulite (…) Con l’aumento della produzione di energia derivante dall’utilizzo di risorse geotermiche, si contribuirà a ridurre la dipendenza energetica nazionale dall’estero e si concorrerà, inoltre, a contenere le emissioni di gas serra” si legge in un dossier diffuso il 5 aprile sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico. Dopo decenni di immobilismo forse finalmente se ne sono accorti anche loro.
L’idea di produrre energia dal vulcano è venuta a Patrizio Signanini dell’Università di Chieti ed è stata finanziata da Eurobuilding, impresa specializzata in ingegneria naturalistica. L’azienda ha finanziato un gruppo di ricerca composto da tecnici dell’INGV, del CNR, del Politecnico di Bari e dell’Università di Chieti. Assente dal progetto, almeno a livello economico, lo Stato, che nonostante abbia concesso il permesso esclusivo di ricerca nell’area da parte del ministero dello Sviluppo Economico e una valutazione di impatto ambientale positiva del ministero dell’Ambiente, non ha al momento erogato finanziamenti per la ricerca.
Partito nel 2006 con una campagna di rilievi magnetici che ha permesso di confermare la presenza di decine di milioni di metri cubi di fluidi ad alto contenuto energetico, il Marsili Project, il cui investimento complessivo ammonta a circa 2 miliardi di euro, sta ora per entrare nella fase esplorativa. Entro il 2013 l’obiettivo è arrivare alla costruzione di una prima piattaforma di trivellazione, con un pozzo pilota situato a 800 metri di profondità per perforare fino a 2 chilometri all’interno del vulcano. “Entro il 2016 dovrebbe essere operativa la prima unità produttiva che sarà poi affiancata da altre tre piattaforme”, spiega al fattoquotidiano.it Diego Paltrinieri, geologo marino e direttore del progetto, che esclude anche eventuali rischi per l’ambiente marino. “A differenza delle piattaforme per l’estrazione di idrocarburi dove la materia estratta è del tutto estranea all’ambiente circostante, nel caso del Marsili si tratta di un sistema aperto, con acque in continua circolazione. Un’eventuale fuoriuscita non genererebbe impatti rilevanti perché già esiste un’interazione tra le acque calde in pressione e l’ambiente marino, dimostrata anche dalla presenza di diversi geyser sottomarini nell’area”.
“La geotermia offshore è una reale ed importante risorsa energetica tutta italiana, ci sono molti altri vulcani sottomarini da studiare nell’area del Tirreno meridionale” continua Paltrinieri. “Questo settore può contribuire in maniera determinante e in tempi relativamente brevi alla produzione di un’energia pulita, rinnovabile e non proveniente dall’estero, ponendosi anche come una valida alternativa all’energia nucleare.” Secondo le stime di Eurobuilding lo sfruttamento di tutte le caldaie sottomarine dei nostri mari potrebbe arrivare a coprire il 7-10% dei consumi totali di energia entro 30 anni, proiettando l’Italia all’avanguardia della ricerca geotermica mondiale e ridando linfa a un settore che potrebbe di fatto ridisegnare gli scenari della nostra politica energetica.
“Abbiamo nel sottosuolo enormi sorgenti inutilizzate, basta guardare tutta la zona della Toscana fino alla Campania e oltre. Sarebbe importante riuscire a sfruttare queste sorgenti di energia geotermica” dichiarava qualche settimana il premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia invitando il governo a puntare di più su un settore in cui, in mancanza di investimenti e politiche di sviluppo adeguate, l’Italia rischia di perdere importanti opportunità economiche oltre che una tradizione di eccellenza.
La conferma che, a quasi un secolo dall’inaugurazione nel 1913 a Larderello della prima centrale del mondo, sul geotermico l’Italia abbia campato quasi solo di rendita arriva dall’ultimo rapporto delGestore Servizi Elettrici (GSE). Primo produttore in Europa e terzo al mondo, nonostante le decine di pozzi attivi individuati in diverse aree della penisola, il geotermico oggi è una realtà solo in Toscana mentre dal 1999 la produzione è cresciuta solo dello 0,1% attestandosi allo 1,8% del totale dell’energia prodotta. Invariato negli ultimi dieci anni anche il numero degli impianti attivi, fermo a 32, mentre nel 2009, scende al 7.6%, raggiungendo il minimo storico dal 1999, la quota di geotermico sul totale dell’energia prodotta da fonti rinnovabili.
“La geotermia ha un grande potenziale di sviluppo e consentirà di raggiungere più facilmente l’obiettivo del 25% di energia prodotta da fonti pulite (…) Con l’aumento della produzione di energia derivante dall’utilizzo di risorse geotermiche, si contribuirà a ridurre la dipendenza energetica nazionale dall’estero e si concorrerà, inoltre, a contenere le emissioni di gas serra” si legge in un dossier diffuso il 5 aprile sul sito del Ministero dello Sviluppo Economico. Dopo decenni di immobilismo forse finalmente se ne sono accorti anche loro.
Fonte:Il Fatto Quotidiano
.
Nessun commento:
Posta un commento