Di Lucio Garofalo
In occasione del 25esimo anniversario del disastro di Chernobyl, che ricorreva esattamente il 26 aprile scorso, è tornato in mente un accostamento con il 1986, in modo particolare per la coincidenza di due eventi: l’attacco militare contro la Libia (per la cronaca, ricordo che nel 1986 l’amministrazione presieduta da Ronald Reagan ordinò il bombardamento di Tripoli e Bengasi) e l’incidente nucleare nella cittadina ucraina.
L’attuale situazione politica ed economica mondiale è inasprita da numerosi altri fattori, a cominciare dalla gravissima recessione internazionale, paragonabile alla “grande depressione” del 1929, indubbiamente peggiore rispetto alla crisi petrolifera del 1974.
Non c’è dubbio che il regime libico di Gheddafi non abbia mai svolto un ruolo effettivamente “critico” o “antagonista” rispetto alle ingerenze dell’Occidente, tanto nel 1986 quanto nel 2011, ma è stato sempre funzionale agli interessi di supremazia economica, politica e militare, cari alle potenze imperialistiche del Nord del mondo.
Peraltro l’atteggiamento ambiguo e controverso della Libia ha sempre fatto comodo alla Cia e al militarismo Usa, al Mossad e al terrorismo sionista, ed ha sempre osteggiato, di fatto, la causa palestinese, soprattutto quando il colonnello Gheddafi ha armato e appoggiato le fazioni palestinesi più estremiste e violente, come il gruppo paramilitare fondato e guidato da Abu Abbas, il Fronte per la Liberazione della Palestina, che non a caso si rese responsabile dell’eliminazione fisica di numerosi esponenti dell’OLP di Arafat, quasi quanti ne abbiano assassinati gli agenti dei servizi segreti israeliani.
L’anno prima della tragedia di Chernobyl, ossia nel 1985, un commando che faceva capo al FLP realizzò, al largo delle coste egiziane, il dirottamento dell’Achille Lauro, una nave da crociera italiana, sequestrando l’equipaggio e i passeggeri. Nel corso dell'azione perse la vita Leon Klinghoffer, un disabile di religione ebraica e cittadinanza statunitense. La vicenda fu all’origine della “crisi di Sigonella” esplosa tra il governo italiano, guidato all’epoca da Bettino Craxi, e l’amministrazione Usa di Ronald Reagan.
La “guerra umanitaria” in Libia e la catastrofe di Fukushima sono due avvenimenti inquietanti che fotografano in modo emblematico l’incombente crisi energetica planetaria, che dovrebbe indurre i governi ad intraprendere strade alternative rispetto alla dipendenza dalle fonti petrolifere e nucleari, per orientarsi verso la ricerca e lo sfruttamento di risorse energetiche più pulite e rinnovabili. Esistono mille ragioni per farlo, anzitutto di convenienza pratica, ma anche pulsioni di tipo basico, come la salvaguardia del genere umano. Ci dovrebbe spingere in tale direzione l’istinto di autoconservazione della specie, o il buon senso, eppure prevalgono altre spinte, senza dubbio autodistruttive, interessi affaristici che sono appannaggio di una ristretta cerchia di compagnie economiche multinazionali che agiscono a danno della sopravvivenza dell’umanità e delle principali forme di vita sul nostro pianeta, cioè a nostro discapito.
Oggi più che nel passato, sin dai tempi mitici e primordiali di Prometeo, l’eroe titanico che rubò il fuoco agli dei per donarlo all’umanità, questa è seriamente minacciata da molti fattori di rischio, e non mi riferisco semplicemente ad un’eventuale “apocalisse atomica” o ad immani devastazioni belliche, né solo alla crisi che investe il capitalismo.
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