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150 anni di un'Italia disunita «Fuoco del Sud»: la foto di un brigante in ogni casa
di LINO PATRUNO
«Dottore, non è che è roba pericolosa?». La reazione allarmata è del custode di una sala per esposizioni alla vista delle foto di una mostra sul brigantaggio dopo l’unità d’Italia. Briganti fucilati e a bocca aperta verso il sole, teste di briganti infilate su pali o tenute sgocciolanti per i capelli, cadaveri nudi di briganti devastati dalle baionette, briganti appesi a un gancio nella pubblica piazza, corpi squartati di brigantesse a gambe aperte, resti di briganti ammucchiati e pronti alle fosse comuni o alla macerazione nella calce viva. Scattava nel custode la vivida intelligenza meridionale di chi capiva al volo che non era una mostra né un fatto qualsiasi, qualcosa stava per succedere: come nell’istinto di chi è abituato a difendersi. E scattava il paurismo, lo sconfittismo, il perditismo del meridionale che tante ne ha subìte nella storia da non volerne altre. E invece più si diffonde la verità, più si accende il «Fuoco del Sud».
E una dieci cento ce ne vogliono di quelle mostre. Che vanno sempre più in giro non solo sulla scia della leggenda dei briganti, ma sul sentimento di indignazione per l’orrido spettacolo, per l’esibizione trionfalistica dei protagonisti della mattanza, per lo sfregio all’umanità di quelle vite che cresce man mano che si racconta, si spiega, si coinvolge. E che magari alla fine prende anche il nostro custode. Perché ogni meridionale dovrebbe avere in casa la foto di un brigante vilipeso anche da morto: a simbolo del Sud vittima dello stesso trattamento. E perché al Sud servirebbero di nuovo i briganti, agguerrite bande a mano armata di megafono e non di moschetto, dell’ardimento della parola più che della proditorietà del gesto, briganti della comunicazione che diffondano la conoscenza, stimolino le coscienze, suscitino l’indignazione soprattutto in questo anniversario dei 150 anni di un’Italia unita mai così disunita.
Perché il «Fuoco del Sud» tutti l’hanno sempre ignorato. Anzi irriso, sbeffeggiato, umiliato. Un fuoco sempre soffocato da un lato sotto le ceneri del dolorismo, del rassegnismo, dell’inferiorismo dei meridionali, dall’altro sotto l’umiliazione di essere considerati la palla al piede del Paese, i parassiti che vivono sulle spalle del Nord, gli eterni piagnoni che si mettano una volta per tutte a lavorare e non stiano sempre a chiedere. Uno scandalo. Dopo la costruzione scientifica di una inferiorità partita molto prima dell’Unità. Dopo il disegno preordinato e sistematico di un Sud da mantenere arretrato. E prostrati a tal punto dal pregiudizio e dai luoghi comuni da non reagire. Anzi da considerare una vergogna le etichette messigli addosso. E fatta passare attraverso i più disonorevoli stadi.
Prima «Delinquenti nati» e quindi ancora tutti briganti, secondo un antropologo psicopatico come Cesare Lombroso. Poi «Incivili nati» come emblema del peggiorismo degli italiani cialtroni, infingardi, furbetti, inaffidabili, refrattari alle regole: sudisti tutti imbroglioni come il mediterraneo Ulisse, tuonava il professor Gianfranco Miglio, il teorico della Lega Nord. Infine «Sottosviluppati nati», come teorizzato da tal professor Richard Lynn, sociologo inglese dell’università di Dublino, giunto ad attribuire una asserita minore intelligenza al contagio dovuto alla vicinanza e ai rapporti storici con le popolazioni nordafricane e arabe, ovviamente di serie B. Si attende la definizione dei meridionali come sbaglio della natura. Come involuzione della specie. «Errore di Dio».
Il «Fuoco del Sud» sempre ignorato macina con la inquietudine sotterranea di un vulcano mai spento, una energia soffocata, la rabbia repressa di un torto subìto. E proprio la convinzione dello sfregio di una storia dell’Unità scritta ancora una volta dalla parte dei vincitori e mai dei vinti è la scintilla che attraversa un Sud sommerso e ribollente per quanto a lungo silente, frustrato, diviso, scoraggiato. È la Galassia. La Galassia della storia non contigua al potere dominante. La Galassia che si batte ancora contro tutto e contro tutti perché la storia sia finalmente riscritta. Intellettuali non accademici senza luci della ribalta, spesso trattati da deliranti mistificatori a caccia di una provinciale e un po’ cenciosa notorietà. E spesso costretti a troppo esacerbate passioni. Ma contestatori molesti di una storiografia ufficiale accusata addirittura di omertà, di aver monopolizzato le bibliografie e la pubblicistica sull’Unità, di aver avuto l’esclusiva dai più importanti editori. Quella storiografia dalla alterigia settaria che non si sarebbe mai concessa il beneficio del dubbio, anzi non l’avrebbe mai concesso. E che si è irradiata e continua a irradiarsi anche dai libri scolastici, quindi a raccontarla a generazioni di italiani ignari. Ma questa Galassia di storici o antistorici o controstorici è solo la mente, l’avanguardia combattiva dell’altra faccia della Galassia. L’altra faccia è quella formata da centinaia di movimenti culturali o politici, associazioni, organizzazioni, centri di ricerca, comitati locali. (…)
Così per le riviste e i periodici, un numero incontrollabile, anche in giro da più di cinquant’anni. E ci sono timidi partiti meridionalistici, che di tanto in tanto vediamo affiorare in elezioni non solo locali. E blog, e forum, e musei, e canzoni, e opere teatrali, e film, e radio e tv di protesta. E documentari. E raduni, manifestazioni, rievocazioni, messe, monumenti, targhe, pellegrinaggi sui luoghi sacri della «profanazione» del Sud. E proclami, e statuti, e mozioni, e raccolte di firme. E oltre mille convegni all’anno. Come centinaia sono i libri alternativi che se ne occupano, se non vogliamo considerare anche i briganti. (…)
Ma il problema è che non c’è Unità senza Sud. E che il Sud è entrato nella maniera peggiore in quell’Unità, come la voce della Galassia racconterà. Tanto da avere ancora oggi un Paese unito ma mai così disunito fra Nord e Sud in 150 anni. «Brandelli d’Italia». Principale argomento di chi mette in discussione quell’Unità. O almeno la mette in discussione dal 18 marzo 1861, «day after», giorno dopo la proclamazione del nuovo Regno d’Italia. Perché il «Fuoco del Sud» non si incrudelisce soltanto di un passato negato ma allo stesso modo di un presente figlio di quel passato. Un presente ovviamente rinfacciato ancora una volta come una colpa per evitare di parlare di colpe altrui. (…)
Esce per i tipi di Rubbettino il nuovo libro di Lino Patruno, «Fuoco del Sud. La ribollente galassia dei Movimenti meridionali» (pp. 203, euro 14,00). L’autore lo presenterà a Bari martedì 29 marzo (Feltrinelli, ore 18).
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di LINO PATRUNO
«Dottore, non è che è roba pericolosa?». La reazione allarmata è del custode di una sala per esposizioni alla vista delle foto di una mostra sul brigantaggio dopo l’unità d’Italia. Briganti fucilati e a bocca aperta verso il sole, teste di briganti infilate su pali o tenute sgocciolanti per i capelli, cadaveri nudi di briganti devastati dalle baionette, briganti appesi a un gancio nella pubblica piazza, corpi squartati di brigantesse a gambe aperte, resti di briganti ammucchiati e pronti alle fosse comuni o alla macerazione nella calce viva. Scattava nel custode la vivida intelligenza meridionale di chi capiva al volo che non era una mostra né un fatto qualsiasi, qualcosa stava per succedere: come nell’istinto di chi è abituato a difendersi. E scattava il paurismo, lo sconfittismo, il perditismo del meridionale che tante ne ha subìte nella storia da non volerne altre. E invece più si diffonde la verità, più si accende il «Fuoco del Sud».
E una dieci cento ce ne vogliono di quelle mostre. Che vanno sempre più in giro non solo sulla scia della leggenda dei briganti, ma sul sentimento di indignazione per l’orrido spettacolo, per l’esibizione trionfalistica dei protagonisti della mattanza, per lo sfregio all’umanità di quelle vite che cresce man mano che si racconta, si spiega, si coinvolge. E che magari alla fine prende anche il nostro custode. Perché ogni meridionale dovrebbe avere in casa la foto di un brigante vilipeso anche da morto: a simbolo del Sud vittima dello stesso trattamento. E perché al Sud servirebbero di nuovo i briganti, agguerrite bande a mano armata di megafono e non di moschetto, dell’ardimento della parola più che della proditorietà del gesto, briganti della comunicazione che diffondano la conoscenza, stimolino le coscienze, suscitino l’indignazione soprattutto in questo anniversario dei 150 anni di un’Italia unita mai così disunita.
Perché il «Fuoco del Sud» tutti l’hanno sempre ignorato. Anzi irriso, sbeffeggiato, umiliato. Un fuoco sempre soffocato da un lato sotto le ceneri del dolorismo, del rassegnismo, dell’inferiorismo dei meridionali, dall’altro sotto l’umiliazione di essere considerati la palla al piede del Paese, i parassiti che vivono sulle spalle del Nord, gli eterni piagnoni che si mettano una volta per tutte a lavorare e non stiano sempre a chiedere. Uno scandalo. Dopo la costruzione scientifica di una inferiorità partita molto prima dell’Unità. Dopo il disegno preordinato e sistematico di un Sud da mantenere arretrato. E prostrati a tal punto dal pregiudizio e dai luoghi comuni da non reagire. Anzi da considerare una vergogna le etichette messigli addosso. E fatta passare attraverso i più disonorevoli stadi.
Prima «Delinquenti nati» e quindi ancora tutti briganti, secondo un antropologo psicopatico come Cesare Lombroso. Poi «Incivili nati» come emblema del peggiorismo degli italiani cialtroni, infingardi, furbetti, inaffidabili, refrattari alle regole: sudisti tutti imbroglioni come il mediterraneo Ulisse, tuonava il professor Gianfranco Miglio, il teorico della Lega Nord. Infine «Sottosviluppati nati», come teorizzato da tal professor Richard Lynn, sociologo inglese dell’università di Dublino, giunto ad attribuire una asserita minore intelligenza al contagio dovuto alla vicinanza e ai rapporti storici con le popolazioni nordafricane e arabe, ovviamente di serie B. Si attende la definizione dei meridionali come sbaglio della natura. Come involuzione della specie. «Errore di Dio».
Il «Fuoco del Sud» sempre ignorato macina con la inquietudine sotterranea di un vulcano mai spento, una energia soffocata, la rabbia repressa di un torto subìto. E proprio la convinzione dello sfregio di una storia dell’Unità scritta ancora una volta dalla parte dei vincitori e mai dei vinti è la scintilla che attraversa un Sud sommerso e ribollente per quanto a lungo silente, frustrato, diviso, scoraggiato. È la Galassia. La Galassia della storia non contigua al potere dominante. La Galassia che si batte ancora contro tutto e contro tutti perché la storia sia finalmente riscritta. Intellettuali non accademici senza luci della ribalta, spesso trattati da deliranti mistificatori a caccia di una provinciale e un po’ cenciosa notorietà. E spesso costretti a troppo esacerbate passioni. Ma contestatori molesti di una storiografia ufficiale accusata addirittura di omertà, di aver monopolizzato le bibliografie e la pubblicistica sull’Unità, di aver avuto l’esclusiva dai più importanti editori. Quella storiografia dalla alterigia settaria che non si sarebbe mai concessa il beneficio del dubbio, anzi non l’avrebbe mai concesso. E che si è irradiata e continua a irradiarsi anche dai libri scolastici, quindi a raccontarla a generazioni di italiani ignari. Ma questa Galassia di storici o antistorici o controstorici è solo la mente, l’avanguardia combattiva dell’altra faccia della Galassia. L’altra faccia è quella formata da centinaia di movimenti culturali o politici, associazioni, organizzazioni, centri di ricerca, comitati locali. (…)
Così per le riviste e i periodici, un numero incontrollabile, anche in giro da più di cinquant’anni. E ci sono timidi partiti meridionalistici, che di tanto in tanto vediamo affiorare in elezioni non solo locali. E blog, e forum, e musei, e canzoni, e opere teatrali, e film, e radio e tv di protesta. E documentari. E raduni, manifestazioni, rievocazioni, messe, monumenti, targhe, pellegrinaggi sui luoghi sacri della «profanazione» del Sud. E proclami, e statuti, e mozioni, e raccolte di firme. E oltre mille convegni all’anno. Come centinaia sono i libri alternativi che se ne occupano, se non vogliamo considerare anche i briganti. (…)
Ma il problema è che non c’è Unità senza Sud. E che il Sud è entrato nella maniera peggiore in quell’Unità, come la voce della Galassia racconterà. Tanto da avere ancora oggi un Paese unito ma mai così disunito fra Nord e Sud in 150 anni. «Brandelli d’Italia». Principale argomento di chi mette in discussione quell’Unità. O almeno la mette in discussione dal 18 marzo 1861, «day after», giorno dopo la proclamazione del nuovo Regno d’Italia. Perché il «Fuoco del Sud» non si incrudelisce soltanto di un passato negato ma allo stesso modo di un presente figlio di quel passato. Un presente ovviamente rinfacciato ancora una volta come una colpa per evitare di parlare di colpe altrui. (…)
Esce per i tipi di Rubbettino il nuovo libro di Lino Patruno, «Fuoco del Sud. La ribollente galassia dei Movimenti meridionali» (pp. 203, euro 14,00). L’autore lo presenterà a Bari martedì 29 marzo (Feltrinelli, ore 18).
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