Non si sa come andrà a finire, ma è avvenuto. Per la prima volta nella storia d’Italia, una popolare trasmissione televisiva come “Porta a porta” ha invitato a parteciparvi il Movimento neoborbonico. Che aveva chiesto il diritto di replica dopo la cavalcata patriottica di Benigni al festival di Sanremo. Poi la guerra civile libica ha fatto rinviare la puntata.
Ora, dire Neoborbonici non è dire una cosa qualsiasi. Forse è più facile che il diavolo in persona sia invitato in una chiesa, che il nome “neoborbonico” sia pronunciato: è più bestemmia questa. Se si vuole trovare un aggettivo sgradevole e unanimemente condannato, eccolo: borbonico. Per dire inetto. inefficiente, arretrato, cialtronesco. Leggi borboniche. Burocrazia borbonica. Comportamento borbonico. Per finire alla polizia borbonica o alle carceri borboniche. L’Impero del Male. Lasciamo stare l’inviato di Cavour che, sceso a Napoli come all’inferno, poi disse: ci conviene imitarla, questa amministrazione borbonica. E lasciamo stare tutto il corredo di “viva o’ rre”, di bandiere gigliate, di rievocazioni gloriose. Sia pure in un Paese in cui c’è una Lega Nord il cui statuto all’articolo uno dichiara: il nostro obiettivo è la secessione.
E cui si concede non solo di pulirsi il didietro col tricolore, ma di essere forza determinante al governo di un Paese che dichiaratamente vuole spaccare.
Ma “neoborbonico” non si può dire. Nostalgici, passatisti, patetici. Una vergogna da tenere chiusa in una stanza come nei film dell’orrore. E completamente cancellata dalla storia. Premettiamo: dei Borbone ci può interessare tanto quanto. Così come della polemica se da loro si stesse meglio o peggio, in un secolo in cui non è che abbondassero Stati campioni del benessere o personaggi campioni di democrazia. Lasciamo stare la polemica su chi fosse più ricco. E lasciamo stare la verità storica che i Borbone non è che avessero minacciato nessuno, anzi si videro i garibaldini in casa senza una dichiarazione di guerra e senza che avessero mai detto: no, l’Italia non la vogliamo. Anzi si trattava, e neanche segretamente, per farla insieme e federale. Ma mentre si trattava, qualcuno sparò. Diciamo che la storia si fa anche così. E che un’Italia disunita non avrebbe fatto grandi passi in avanti.
Lasciamo stare tutto. Ma la memoria è un’altra cosa. E non si può negare a nessuno. E nessun Paese che si voglia definire Paese, e unito per giunta, può permettersi di tener fuori una parte della sua storia. E non farne i conti. Negli Stati Uniti si è combattuta, e contemporaneamente al Risorgimento, la più atroce guerra civile del mondo occidentale a parte il genocidio dei nativi, gli “indiani” dei film western. Ma hanno riconosciuto le ragioni dei perdenti e la loro festa nazionale la festeggiano tutti insieme. Così la Francia con la sua Rivoluzione. E la Germania. E la Spagna. E l’Inghilterra dopo i Puritani di Cromwell. E la stessa federale Svizzera, nata da un massacro fra i Cantoni. Ma anche in Italia si comincia a riconoscere pari dignità ai morti di Salò, che stavano dalla parte sbagliata ma chi combatte va rispettato perché combatte e basta.
Non un ricordo, non una lapide, non un cenno sui libri di scuola, non un fiore per i meridionali che morirono per la loro terra. E non c’entrano neanche i briganti, che vennero dopo e sono altra cosa. Ci possono essere morti di serie A e morti di serie B? E’ vero che si cominciò a criticare il Risorgimento nel momento stesso in cui lo si faceva. Ma poi c’è anche un Risorgimento tradito che 150 anni dopo si legge ovunque nel Sud, e non solo nei numeri del divario.
Tutto questo anima i, pardon, Neoborbonici, e gli altri movimenti meridionali, le cui voglie di secessione non sono neanche
lontanamente paragonabili a quelle della Lega Nord.
E che comunque buttare come polvere sotto il tappeto non serve a nessuno. Perché sono molti, e appassionati, e convinti fino alla commozione. Da capire più che demonizzare, perché rappresentano anch’essi un Sud tenuto sempre ai margini dal resto del Paese, fuori dall’Italia unita che va a festeggiare se stessa peraltro nella più grande disunità possibile.
Se questo è oscurantismo neoborbonico, si dica pure. Chissà se è neoborbonico chi si attende che, quando un capo del governo si alza al mattino, la prima cosa che faccia è guardare una cartina e vedere dove nel Sud manca un’autostrada o un binario. E agire.
Guardare la cartina e vedere dove i giovani non hanno lavoro e sono una generazione perduta. Guardare la cartina e vedere dove la criminalità è più forte dello Stato che non c’è. Tutti i capi dei governi, da 150 anni, avrebbero dovuto e, a conti fatti, non l’hanno fatto.
Obiezione: ma proprio ora dobbiamo parlarne, ora che dobbiamo invece riscoprire le ragioni dello stare insieme in questo Paese? Appunto, il problema è stare insieme, e come. E poi, se non ora, quando?
da La Gazzetta del Mezzogiorno del 25 febbraio 2011
Fonte: Ondadelsud
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