sabato 27 novembre 2010

Italia fuori dall'euro?


Bisogna reagire, studiando una exit strategy dall'Euro area e, se necessario, dall'Europa. La situazione attuale richiedera' l'imposizione di regole che stringeranno sempre più la corda al collo dell'economia italiana, creando disoccupazione e disordine sociale. Anche perché dobbiamo ancora rientrare da un deficit pubblico corrente come minimo di una trentina di miliardi.

Opinione di Paolo Savona.
Paolo Savona, già Ministro dell'industria nel Governo Ciampi, è Presidente della FULM, Professore ordinario di Politica economica e Direttore Scientifico di Economia Italiana e del Journal of European Economic History. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.



(WSI) – La tesi da me espressa in una lettera al direttore di questo quotidiano, pubblicata il 10 novembre scorso, era chiara: tra le ipotesi da esaminare, per uscire dallo stallo dello sviluppo in cui l'Italia si trova, non si può ignorare l'eventualità di un'uscita dall'Euroarea, se non proprio dall'Unione europea. Non era quindi una provocazione, ma la proposta di avere un piano A, come stare in Europa, e un piano B, come uscire. Dati i tempi che corrono è dovere di una classe dirigente approntarlo. Ripeto brevemente le ragioni della mia proposta: per restare nell'Euroarea occorre completare l'unione politica; senza di questa l'euro non può reggere; o, per consentire che regga, richiede l'imposizione di regole che stringeranno sempre più la corda al collo dell'economia italiana, creando disoccupazione e disordine sociale. Anche perché dobbiamo ancora rientrare da un deficit pubblico corrente come minimo di una trentina di miliardi di euro. Il vincolo esterno, per giunta di intensità crescente, è poco dignitoso per gli italiani; è questo il motivo per cui l'Irlanda ha esitato tanto, creando ulteriori problemi alla credibilità dell'euro. Gli argomenti avanzati da Giorgio La Malfa, Ernesto Felli e Giovanni Tria, Alberto Quadrio Curzio e Giuseppe Pennisi sono meritevoli di considerazione nel mettere a punto sia il piano A che il B. Considero insufficiente l'attuale strategia dell'Italia per restare nell'Euroarea e/o nell'Ue, in quanto porta alla deflazione e al disordine sociale. Prima o dopo la speculazione muoverà sull'Italia e ci troverà impreparati, essendo assente un piano B, anzi si teorizza la non necessità d'averlo affidandosi alle cure di Bruxelles. Poiché una crisi dell'euro attuale è sempre possibile, si intende evidentemente cavalcare lo scontento e il probabile disordine nascente dalle nuove regole gettando le colpe sugli "gnomi di Francoforte" (o altra città a scelta), oppure affidandosi alle cure deflazionistiche dell'Unione europea che tanto preoccupano l'Irlanda. A Felli e Tria, che mi hanno rivolto il quesito se per raggiungere comportamenti coerenti con le regole della competizione internazionale sia più facile avere il vincolo esterno o non averlo, rispondo rivoltando il loro quesito: potrebbe l'economia italiana uscire dallo stallo gestendo la quantità di moneta o i tassi dell'interesse e potendo svalutare, come fa il Regno Unito? Questa è una parte del piano B che noi economisti dovremmo studiare. Questa politica potrebbe causare una crisi inflazionistica e un crollo di valore del debito pubblico. L'aumento dei prezzi e la perdita di valore del debito pubblico con il conseguente innalzamento del suo costo scuoterebbero il paese dall'illusione di poter vivacchiare sotto un'inesistente ombrello europeo. La storia insegna che una crisi salutare è sempre stata il fondamento di una nostra ripresa di vitalità. Ho più fiducia nell'Italia di quanto non ne abbiano i fautori del vincolo esterno. L'unico vincolo esterno che funziona in modo dignitoso ed efficace è quello di un mercato concorrenziale, perché richiede una cosciente adesione dei cittadini – attenzione, non solo dei gruppi dirigenti – alla logica dell'efficienza e della meritocrazia così di frequente invocata, ma mai praticata né dalla nostra politica, né dal capitale, né dal lavoro. L'Unione europea ha realizzato un mercato "decente" nel settore industriale, che pesa non più di un quarto del pil; l'agricoltura è invece pesantemente protetta e i servizi lo sono in parte. Il primo dei due pilastri, quello della concorrenza, è costruito per poco più di un quarto e l'altro invece, la moneta unica, per intero. Quale palazzo può reggere a questa asimmetria di costruzione? Per concludere, non possiamo condannare il paese alla non crescita dovuta al vincolo esterno senza unione politica. Bisogna reagire, studiando una exit strategy dall'Euroarea e, se necessario, dall'Europa, cercando nuove e più fruttuose alleanze internazionali (Europa mediterranea con Turchia o Cina?).


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Bisogna reagire, studiando una exit strategy dall'Euro area e, se necessario, dall'Europa. La situazione attuale richiedera' l'imposizione di regole che stringeranno sempre più la corda al collo dell'economia italiana, creando disoccupazione e disordine sociale. Anche perché dobbiamo ancora rientrare da un deficit pubblico corrente come minimo di una trentina di miliardi.

Opinione di Paolo Savona.
Paolo Savona, già Ministro dell'industria nel Governo Ciampi, è Presidente della FULM, Professore ordinario di Politica economica e Direttore Scientifico di Economia Italiana e del Journal of European Economic History. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.



(WSI) – La tesi da me espressa in una lettera al direttore di questo quotidiano, pubblicata il 10 novembre scorso, era chiara: tra le ipotesi da esaminare, per uscire dallo stallo dello sviluppo in cui l'Italia si trova, non si può ignorare l'eventualità di un'uscita dall'Euroarea, se non proprio dall'Unione europea. Non era quindi una provocazione, ma la proposta di avere un piano A, come stare in Europa, e un piano B, come uscire. Dati i tempi che corrono è dovere di una classe dirigente approntarlo. Ripeto brevemente le ragioni della mia proposta: per restare nell'Euroarea occorre completare l'unione politica; senza di questa l'euro non può reggere; o, per consentire che regga, richiede l'imposizione di regole che stringeranno sempre più la corda al collo dell'economia italiana, creando disoccupazione e disordine sociale. Anche perché dobbiamo ancora rientrare da un deficit pubblico corrente come minimo di una trentina di miliardi di euro. Il vincolo esterno, per giunta di intensità crescente, è poco dignitoso per gli italiani; è questo il motivo per cui l'Irlanda ha esitato tanto, creando ulteriori problemi alla credibilità dell'euro. Gli argomenti avanzati da Giorgio La Malfa, Ernesto Felli e Giovanni Tria, Alberto Quadrio Curzio e Giuseppe Pennisi sono meritevoli di considerazione nel mettere a punto sia il piano A che il B. Considero insufficiente l'attuale strategia dell'Italia per restare nell'Euroarea e/o nell'Ue, in quanto porta alla deflazione e al disordine sociale. Prima o dopo la speculazione muoverà sull'Italia e ci troverà impreparati, essendo assente un piano B, anzi si teorizza la non necessità d'averlo affidandosi alle cure di Bruxelles. Poiché una crisi dell'euro attuale è sempre possibile, si intende evidentemente cavalcare lo scontento e il probabile disordine nascente dalle nuove regole gettando le colpe sugli "gnomi di Francoforte" (o altra città a scelta), oppure affidandosi alle cure deflazionistiche dell'Unione europea che tanto preoccupano l'Irlanda. A Felli e Tria, che mi hanno rivolto il quesito se per raggiungere comportamenti coerenti con le regole della competizione internazionale sia più facile avere il vincolo esterno o non averlo, rispondo rivoltando il loro quesito: potrebbe l'economia italiana uscire dallo stallo gestendo la quantità di moneta o i tassi dell'interesse e potendo svalutare, come fa il Regno Unito? Questa è una parte del piano B che noi economisti dovremmo studiare. Questa politica potrebbe causare una crisi inflazionistica e un crollo di valore del debito pubblico. L'aumento dei prezzi e la perdita di valore del debito pubblico con il conseguente innalzamento del suo costo scuoterebbero il paese dall'illusione di poter vivacchiare sotto un'inesistente ombrello europeo. La storia insegna che una crisi salutare è sempre stata il fondamento di una nostra ripresa di vitalità. Ho più fiducia nell'Italia di quanto non ne abbiano i fautori del vincolo esterno. L'unico vincolo esterno che funziona in modo dignitoso ed efficace è quello di un mercato concorrenziale, perché richiede una cosciente adesione dei cittadini – attenzione, non solo dei gruppi dirigenti – alla logica dell'efficienza e della meritocrazia così di frequente invocata, ma mai praticata né dalla nostra politica, né dal capitale, né dal lavoro. L'Unione europea ha realizzato un mercato "decente" nel settore industriale, che pesa non più di un quarto del pil; l'agricoltura è invece pesantemente protetta e i servizi lo sono in parte. Il primo dei due pilastri, quello della concorrenza, è costruito per poco più di un quarto e l'altro invece, la moneta unica, per intero. Quale palazzo può reggere a questa asimmetria di costruzione? Per concludere, non possiamo condannare il paese alla non crescita dovuta al vincolo esterno senza unione politica. Bisogna reagire, studiando una exit strategy dall'Euroarea e, se necessario, dall'Europa, cercando nuove e più fruttuose alleanze internazionali (Europa mediterranea con Turchia o Cina?).


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