La “monnezza” è ritornata nelle strade di Napoli e provincia per colpa dell’amministrazione comunale, come sostiene il presidente del Consiglio? Cerchiamo di non scambiare gli effetti con le cause. Perché se gli effetti ben documentati dalle immagini che rimbalzano da una parte all’altra del pianeta si manifestano una volta di più su una metropoli che fino a un quarto di secolo fa era la quinta città industriale d’Italia e su una regione che in un secolo o giù di li da la più ricca è diventata la più povera d’Italia, la cause prime questa volta sono tutte a Roma. E risalgono tutte alla politica del “governo del fare” di Silvio Berlusconi e, in particolare, alla strategia elaborata dal dominus della Protezione Civile, Guido Bertolaso. Una strategia fondata sull’idea che tutto è, appunto, emergenza e che tutto può essere gestito in via eccezionale in deroga alle leggi dei tempi normali e alla normale dialettica democratica. È stata questa la politica con cui, nel 2008, è stata tolta la “monnezza dalle strade” sostenendo di avere risolto il problema dei rifiuti in Campania. Ma questa politica dell’ “eccezionale” non funziona. Non ha funzionato nella gestione del dopo terremoto a L’Aquila. Non ha funzionato per gestire i mondiali di nuoto a Roma. E non ha funzionato per gestire la cosiddetta emergenza dei rifiuti, che in Campania dura da quasi vent’anni.. Vediamo perché. L’Europa consiglia anzi, impone di affrontare il problema dei rifiuti solidi urbani sulla base delle 5 R. In ordine: riduzione, reimpiego, raccolta differenziata, riciclo e infine, ma solo infine, recupero di energia. Quel pochissimo che resta (deve restare) di questo percorso è materiale del tutto inerte che può essere messo a riposo in discariche, scelte in ogni caso per avere il minimo impatto ambientale possibile. Vediamo cosa è successo in Campania dopo l’intervento del governo Berlusconi. La regione meridionale gestisce nel complesso circa 2,5 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani ogni anno. Una quantità che non è significativamente diminuita nel corso di questi anni. Anche perché non c’è in atto una forte politica che si ponga questo obiettivo, sia attraverso l’educazione dei cittadini che con accordi di programma con i produttori di materia destinata a diventare rifiuti. La gestione di questi rifiuti non è affatto integrata. Cosicché anche le pratiche di reimpiego la seconda R stentano ad avviarsi. In breve gli scarti né diminuiscono né diventano materia prima per altre attività. Tutti i rifiuti che vengono prodotti devono essere smaltiti. La prima opzione per lo smaltimento dei rifiuti è la raccolta differenziata, in modo da favorire il riciclaggio. Bene: l’obiettivo dichiarato di Bertolaso, messo nero su bianco e diventato legge (articolo l della legge 123/2008) è una raccolta differenziata pari al 25% entro il 2009, al 35% entro il 2010, al 50″/0 entro il 2011. A tutt’oggi il 35% viene raggiunto e superato solo in alcuni comuni e in alcune province (soprattutto Salerno). Non nella grande area metropolitana di Napoli che si estende fino a Caserta. Le ultime statistiche elaborate dalla società che gestisce i rifiuti a Napoli, l’Asia, fino ad aprile 2010 e da allora mai aggiornate parlano di una raccolta differenziata ferma al 18,9%. Lo stesso presidente dell’Asia, Daniele Fortini, dice che difficilmente si raggiungerà il 20% entro il 2010. E che occorre una buona dose di ottimismo per immaginare che entro il 2011, come recita le legge, si possa raggiungere il 50%. D’altra parte la raccolta differenziata è finalizzata alla quarta R, il riciclaggio. Ebbene per riciclare la frazione umida della città di Napoli occorrerebbero cinque impianti di compostaggio. A tutt’oggi i cinque impianti non solo non esistono, ma non sono stati neppure progettati. Non è un caso. La strategia di Bertolaso, infatti, ha puntato quasi tutto sui termovalorizzatori e sulle discariche, ovvero sulle leve che l’Unione europea considera le ultime da attivare e, comunque, con mille vincoli. Ebbene, a tutt’oggi dei tre termovalorizzatori previsti ce n’è in funzione solo uno: quello di Acerra. In realtà nei giorni scorsi tutte le tre linee dell’impianto erano ferme. Ma, dicono i gestori, è fisiologico. Ebbene questo termovalorizzatore, secondo i dati dei gestori, smaltirà nel 2010 tra 400 e 600.000 tonnellate di rifiuti. Ammettiamo che i gestori abbiano ragione. E sottraiamo per intero questa quota al monte dei rifiuti prodotti. Ebbene, come rileva lo stesso direttore dell’Asia, restano almeno 2 milioni di tonnellate che finiscono sotto il tappeto, in discarica: l’80%. Una quantità che da sola basterebbe a decretare il fallimento della strategia di Bertolaso. Non serve dire che dallo scorso primo gennaio sono gli enti locali a dover gestire raccolta differenziata e discariche. Né serve ricordare che gli Enti locali sostengono che il governo non sta trasferendo i soldi promessi (e allocati altrove). Sia come sia, una cosa è certa: la strategia voluta dal governo Berlusconi non funziona. Non fosse altro perché non mette al riparo dalle inefficienze, vere o presunte, degli Enti locali. Ma non è finita qui. Come prevede la legge speciale voluta dal Sottosegretario alla Protezione Civile, in discarica non finiscono rifiuti inerti dopo debita vagliatura, ma rifiuti tal quale: in deroga alle direttive europee. Inoltre le discariche campane non vengono gestite in maniera assolutamente trasparente (come vorrebbe l’Europa), ma in maniera sostanzialmente segreta: essendo state elevate per legge al rango di “aree di interesse strategico nazionale” e militarizzate. Il che significa che il territorio campano è chiamato ad assorbire 2 milioni di tonnellate l’anno di rifiuti solidi urbani non a norma e dunque, pericolose, fuori da ogni controllo democratico. Ma tutti i buchi, anche quelli piantonati dai militari, prima o poi si riempiono. E così, con la quantità di rifiuti conferiti, tutte le discariche oggi attive in Campania si esauriranno entro il 2011. Alcune già nei prossimi mesi. Ecco perché Bertolaso ne vuole aprire a tutti i costi un’altra, a Cava Vitiello. Un buco enorme che, come l’altro già attivo a Terzigno, si trova in pieno Parco Nazionale del Vesuvio, considerato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Se Cava Vitiello venisse ridotta a discarica ci troveremmo di fronte a «un autentico abuso di stato», sostiene Ugo Leone, che del Parco vesuviano è il presidente. Riassumendo. L’80% dei rifiuti campani finisce senza trattamenti e, dunque, fuori dalle norme europee in discariche, alcune delle quali localizzate in zone urbanizzate e/o di altissimo pregio ambientale. Tutte destinate a esaurirsi nei prossimi mesi. La verità è che l’emergenza rifiuti non è mai terminata. Né poteva terminare, vista la strategia scelta. Semplicemente, la polvere è stata messa sotto il tappeto. Sebbene presidiato dai militari ed eletto a ordito di interesse strategico, il tappeto ormai non regge più.
Fonte:Napolionline.org
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