Di Alfonso Ruffo
Ripartire dall'identità dei territori per "recuperare l'unità dell'Italia valorizzando le sue diversità": è questa la principale riforma che Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, s'aspetta dal federalismo fiscale. Napoli e il Mezzogiorno "hanno una serie enorme di potenzialità inespresse: il territorio, i prodotti alimentari, la storia e una straordinaria posizione geografica: transitano più merci per il Mediterraneo che per la Cina". Le classi dirigenti meridionali – insiste Vittadini – devono puntare su queste cose. Lasciare alla storia le logiche clientelari, causa degli sprechi, e "cominciare a competere secondo una dimensione glocale: l'Europa, ormai, dialoga con le Regioni senza nessuna intermediazione statale. Si può dichiarare conclusa l'era del centralismo".
Il tema di quest'anno al Meeting è il cuore, che spinge l'uomo a desiderare cose grandi. Perchè Napoli, città di cuore, da anni non riesce a produrre grandi cose?
Non c'è città più di Napoli che abbia voglia di cose grandi, con tutta la sua canzone, con la sua storia, con il suo spirito. E con la sua vivacità. Peccato che spesso il desiderio di raggiungere grandi traguardi sia tradito.
Da chi o da che cosa?
Non si crede più nella forza del cuore. Le ragioni sono antiche, vanno ricercate a partire dall'Unità d'Italia. Napoli, nell'ultima parte del Regno dei Borbone, è una delle città più sviluppate del mondo. Poi, il disfacimento: lo scandalo della Banca Romana, la gente costretta per tre anni al militare, lo sfruttamento e la miseria che trasformano il carattere del popolo.
Solo ragioni esterne?
No, è come se a un certo punto la città cominciasse a identificare il cuore con il sentimento e non più con la voglia di lavorare, di crescere, di creare. Il cuore diventa qualcosa da lasciare alle canzoni e non l'arma del riscatto contro la riduzione, il degrado e la malavita. Si lasciano prevalere le forze negative, e in questo la città partenopea simboleggia il Paese: il male di Napoli è il male di un'Italia che perdendo l'ideale continua a perdere colpi.
Il Mezzogiorno deve temere il federalismo fiscale?
No, se la riforma sarà solidale. Il Sud si giova del federalismo fiscale solo se riesce ad annientare le clientele, vale a dire tutto ciò che non è sviluppo né solidarietà.
Con quale spirito l'Italia s'avvia a questa grande riforma? Esiste un sentimento di rivalsa del Nord nei confronti dei meridionali, o c'è solo voglia di unire il Paese attraverso lo sviluppo delle sue diversità?
Diciamo la verità: la rivalsa c'è. C'è la furbizia, ma anche un desiderio sincero di utilizzare meglio le risorse di tutti.
La Fondazione per la Sussidiarietà gestisce un sito d'informazione per sensibilizzare l'opinione pubblica su questi temi. Come immaginate il domani dell'Italia?
Il federalismo fiscale deve servire a recuperare l'unità dell'Italia nella diversità: è questo che s'è perso. Napoli, ad esempio, è a poche centinaia di chilometri dalla costa settentrionale dell'Africa: in quel mare c'è un interscambio di merci superiore a quello cinese; Napoli è una grande città ed è vicina, grazie ai voli low cost, alle grandi capitali europee. Col federalismo fiscale si deve riuscire a tirare fuori queste potenzialità.
Uno dei temi emersi durante i lavori del Meeting è quello dello stereotipo negativo di cui sarebbero vittima i meridionali: a forza di pensarsi scansafatiche, sleali, ribelli, finiscono per credere di esserlo davvero. E' possibile liberarsi di questo peso?
Lo stereotipo da vincere è più radicale: è quello dell'uguaglianza. S'è fatto del Sud un posto dove portare cattedrali nel deserto, invece di valorizzarne le diversità. Il turismo, i prodotti alimentari, i centri di trasporto sono potenzialità inespresse perché ricondotte alla logica assistenziale stereotipata: anziché creare le risorse che mi servono per vivere chiedo sostegno allo Stato.
Ripartire dalle proprie origini, insomma, e puntare sull'identità per il rilancio?
Ancor più nel mondo di oggi, dove vince la dimensione glocale: le Regioni dialogano direttamente con l'Europa, senza necessità dell'intermediazione statale. La Regione non è più una piccola cosa, come al tempo del centralismo statalista romano.
Bisogna continuare a lavorare ancora insieme, mettendo in rete le nostre diversità, come nel caso della collaborazione tra il sussidiario.net e Il Denaro…
Spero si faccia ancora di più, creando condizioni che favoriscano ogni singola possibilità.
(testo trascritto da Tonino Ferro)
Il tema di quest'anno al Meeting è il cuore, che spinge l'uomo a desiderare cose grandi. Perchè Napoli, città di cuore, da anni non riesce a produrre grandi cose?
Non c'è città più di Napoli che abbia voglia di cose grandi, con tutta la sua canzone, con la sua storia, con il suo spirito. E con la sua vivacità. Peccato che spesso il desiderio di raggiungere grandi traguardi sia tradito.
Da chi o da che cosa?
Non si crede più nella forza del cuore. Le ragioni sono antiche, vanno ricercate a partire dall'Unità d'Italia. Napoli, nell'ultima parte del Regno dei Borbone, è una delle città più sviluppate del mondo. Poi, il disfacimento: lo scandalo della Banca Romana, la gente costretta per tre anni al militare, lo sfruttamento e la miseria che trasformano il carattere del popolo.
Solo ragioni esterne?
No, è come se a un certo punto la città cominciasse a identificare il cuore con il sentimento e non più con la voglia di lavorare, di crescere, di creare. Il cuore diventa qualcosa da lasciare alle canzoni e non l'arma del riscatto contro la riduzione, il degrado e la malavita. Si lasciano prevalere le forze negative, e in questo la città partenopea simboleggia il Paese: il male di Napoli è il male di un'Italia che perdendo l'ideale continua a perdere colpi.
Il Mezzogiorno deve temere il federalismo fiscale?
No, se la riforma sarà solidale. Il Sud si giova del federalismo fiscale solo se riesce ad annientare le clientele, vale a dire tutto ciò che non è sviluppo né solidarietà.
Con quale spirito l'Italia s'avvia a questa grande riforma? Esiste un sentimento di rivalsa del Nord nei confronti dei meridionali, o c'è solo voglia di unire il Paese attraverso lo sviluppo delle sue diversità?
Diciamo la verità: la rivalsa c'è. C'è la furbizia, ma anche un desiderio sincero di utilizzare meglio le risorse di tutti.
La Fondazione per la Sussidiarietà gestisce un sito d'informazione per sensibilizzare l'opinione pubblica su questi temi. Come immaginate il domani dell'Italia?
Il federalismo fiscale deve servire a recuperare l'unità dell'Italia nella diversità: è questo che s'è perso. Napoli, ad esempio, è a poche centinaia di chilometri dalla costa settentrionale dell'Africa: in quel mare c'è un interscambio di merci superiore a quello cinese; Napoli è una grande città ed è vicina, grazie ai voli low cost, alle grandi capitali europee. Col federalismo fiscale si deve riuscire a tirare fuori queste potenzialità.
Uno dei temi emersi durante i lavori del Meeting è quello dello stereotipo negativo di cui sarebbero vittima i meridionali: a forza di pensarsi scansafatiche, sleali, ribelli, finiscono per credere di esserlo davvero. E' possibile liberarsi di questo peso?
Lo stereotipo da vincere è più radicale: è quello dell'uguaglianza. S'è fatto del Sud un posto dove portare cattedrali nel deserto, invece di valorizzarne le diversità. Il turismo, i prodotti alimentari, i centri di trasporto sono potenzialità inespresse perché ricondotte alla logica assistenziale stereotipata: anziché creare le risorse che mi servono per vivere chiedo sostegno allo Stato.
Ripartire dalle proprie origini, insomma, e puntare sull'identità per il rilancio?
Ancor più nel mondo di oggi, dove vince la dimensione glocale: le Regioni dialogano direttamente con l'Europa, senza necessità dell'intermediazione statale. La Regione non è più una piccola cosa, come al tempo del centralismo statalista romano.
Bisogna continuare a lavorare ancora insieme, mettendo in rete le nostre diversità, come nel caso della collaborazione tra il sussidiario.net e Il Denaro…
Spero si faccia ancora di più, creando condizioni che favoriscano ogni singola possibilità.
(testo trascritto da Tonino Ferro)
Fonte:Il Denaro
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