A cura di Filippo Ghira – tratto da www.rinascita.eu
Lo stop alle esportazioni di grano deciso dalla Russia a causa della siccità e agli incendi che hanno devastato le coltivazioni e messo in ginocchio il Paese, a giudizio della Fao, rappresenta un minaccia per le Nazioni più povere. L’economista Abdolreza Abbassian, esperto del mercato del grano della Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura, ha affermato che la decisione di Putin interrompe il commercio e crea instabilità nel mercato. È una situazione molto seria.
Anche perché, ha osservato, la decisione di destinare la produzione soltanto al consumo interno è stata “improvvisa e inaspettata”. Secondo la Fao se i prezzi salgono nei Paesi poveri con basso reddito, ci saranno problemi in termini di sicurezza alimentare. È quindi necessario sapere per quanto tempo durerà questa situazione e se avrà un impatto sui mercati. L’auspicio della Fao è quindi che il prezzo del grano non resti a livelli così alti ancora per molto tempo.
In realtà il vero problema, oggi come ieri, resta la speculazione che spinge i prezzi alle stelle e che opera in particolare alla Borsa di Chicago dove si formano le quotazioni sui futures. In Italia chi finisce per rimetterci non sono soltanto i consumatori che devono registrare l’aumento dei prezzi del pane e della pasta, ma anche i piccoli produttori obbligati a vendere il loro grano ad un prezzo molto al di sotto del costo di produzione. L’Industria alimentare, tanto per premunirsi ed allontanare da sé le accuse di voler sfruttare gli aumenti dei prezzi mette sotto accusa le dinamiche del mercato internazionale. Ma è proprio l’industria alimentare e i grandi commercianti del settore ad imporre prezzi capestro di vendita ai produttori. Peraltro aumenti di prezzo eccessivi del prodotto finale non dovrebbero esserci perché in Italia abbiamo ancora a disposizione le scorte del 2009 e le importazioni di prodotto avvengono principalmente da Paesi come Messico e Turchia. E inoltre lo stesso raccolto italiano interno per il 2010 risulta di qualità più che buona.
A giudizio della Cia (Confederazione italiana agricoltori) sul mercato nazionale il grano duro (utilizzato per la pasta), anche se ha subito lievi aumenti di prezzo, viene venduto di gran lunga sotto i prezzi di produzione. I grani di buona qualità si vendono a circa 18 euro al quintale con prezzi di produzione intorno ai 28 euro.
Così, a causa della scarsa o inesistente rimuneratività della produzione agricola, quest’anno c’è stato un calo, sia pure lieve ma indicativo, delle superfici seminate a grano duro che sono passate dai 1.246.000 ettari del 2009 pari a 1.230.250 ettari. La produzione invece sarebbe aumentata dai quasi 40 milioni di quintali del 2009 ai 41,6 milioni di quintali del 2010. Il che denota il miglioramento delle rese per ettaro, passate da 32 a 33,8 quintali.
Molto preoccupata la Coldiretti che sottolinea che l’agricoltura è stato l'unico settore che nel secondo trimestre del 2010 ha registrato un calo del valore aggiunto che, nelle speranze, potrebbe tornare a crescere nel secondo semestre dell'anno. Una svolta favorita da un rialzo dei prezzi agricoli che sono tornati a crescere in luglio facendo segnare un aumento del 9% a luglio su base annua, dopo aver raggiunto livelli insostenibili per le imprese agricole. Un rialzo che però non può compensare le perdite del passato che hanno obbligato molte aziende a cessare l’attività.
Per questo Coldiretti rilancia il suo progetto di una filiera agricola tutta italiana con l'obiettivo di tagliare le intermediazioni e arrivare ad offrire in Italia e all'estero prodotti alimentari italiani al 100% ad un prezzo giusto, attraverso la rete dei Consorzi Agrari, delle cooperative e delle imprese agricole.
Fonte:Disinformazione
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