Intervista a Gianni Mari, Presidente dell'ANCIS Associazione Nazionale
Comunità Italo-Somala
***
di Barbara Faedda
Il dibattito sulla convivenza multiculturale ha coinvolto – come tutti sanno - da anni anche l’Italia. Quanto il nostro paese sia per certi versi impreparato a gestire il disappunto, la insoddisfazione e la conflittualità sociali è dato piuttosto noto. Ma, mentre ci si adopera giustamente alla elaborazione di politiche multiculturali e di integrazione per quanto riguarda gli immigrati, si continua ad ignorare una presenza numericamente esigua ma moralmente e storicamente ingombrante rappresentata dagli italo-somali, cittadini italiani di “serie C”. Pare che l’Italia non voglia ancora fare i conti con un suo passato relativamente recente che non si è esaurito con la colonizzazione del Corno d’Africa e con il fascismo: non si può, infatti, mantenere nell’oblio l’esperienza legata all’Amministrazione Fiduciaria affidata all’Italia dalle Nazioni Unite dal 1950 al 1960.
Questa intervista – soprattutto perché rivolta ad un protagonista nonché testimone diretto – vuole offrire un contributo affinché non si dimentichi e si rifletta su una parte di storia italiana e africana dalla quale il nostro paese non può emendarsi. Allo stesso tempo, con una visione tipicamente antropologica, ci si auspica un reale impegno scientifico per il raggiungimento di un totale e consapevole rispetto dell’identità culturale italo-somala e del desiderio di tale minoranza[1] di preservarla e arricchirla.
Si intende, con questo primo contributo, lanciare una proposta di riflessione su quella che possiamo chiamare sicuramente “la questione italo-somala”. Una minoranza viva e presente in Italia cui, soprattutto gli studiosi e gli intellettuali, non possono non rivolgere la loro attenzione.
BF
ITALO-SOMALI: UNA MINORANZA CHE L’ITALIA VUOLE IGNORARE
Le tristi conseguenze della politica italiana coloniale e post-coloniale
Intervista di Barbara Faedda a Gianni Mari, Presidente dell’ANCIS Associazione Nazionale Comunità Italo-Somala[2]
(L’intervista ha avuto luogo il 16 novembre 2001 nello “Studio Legale Associato Chiari-Zappasodi” in Roma alla presenza degli Avv.ti R. Chiari e L. Melchionna)
D.: Signor Mari cosa è l’ANCIS?
R.: L’ANCIS è l’Associazione Nazionale Comunità Italo-Somala, che raccoglie i figli di padri o madri italiani, tutti comunque cittadini italiani. L'associazione è aperta anche a somali e italiani che ne vogliano far parte. Censite sono 614 persone, con l’esclusione di mogli e figli. I figli non sono stati conteggiati perché la specificità dell’associazione è quella di essere proprio italo-somali. Siamo presenti in tutta Italia, in numero considerevole nel Triveneto, Lombardia, Piemonte e Lazio.
D.: Come si pone lo Stato italiano nei confronti della vostra Associazione?
R.: Lo Stato italiano in tutte le sue istituzioni non si è mai confrontato fattivamente con l’ANCIS. Abbiamo avuto molti colloqui con il Ministero degli Esteri, che ci ha a sua volta rimandato al Ministero degli Interni dicendo: “anche se siete nati all'estero, voi siete italiani e la sede istituzionale di confronto è il Ministero degli Interni ".
D.: Lei è nato all’estero?
R.: Siamo tutti nati a Mogadiscio o in Somalia.
D.: L’Associazione è riconosciuta?
R.: L’ANCIS esiste di fatto da sei anni, regolarmente registrata davanti ad un notaio. E’ la controparte istituzionale che è latitante...Stiamo cercando di farla riconoscere. Abbiamo fatto innumerevoli richieste ai Comuni di Roma e Milano e alle Regioni Lazio e Lombardia, però per essere riconosciuti bisogna sottostare a procedure e a decreti leggi diversi da regione a regione - nel Lazio è la Legge 29/93 e la 18/96.
Dapprima al Ministero degli Esteri ci ricevevano i sottosegretari, ultimamente i capiufficio. Di questo passo finirà che ci riceveranno le segretarie (senza mancare di rispetto alla figura della segretaria) e neanche più alla sala vip... In ogni caso, quando andiamo agli incontri non si parla mai di ciò di cui si dovrebbe parlare, cioè di ODG con le problematiche che poniamo e concordiamo. In uno dei nostri incontri, velatamente ci proposero di fare intelligence, una cosa che non sta né in cielo né in terra. Non siamo spie.
Siamo somali di madre, provenienti da una società a cultura tribale; anche se le nostre madri appartengono a tribù differenti l’una dall’altra, loro per prime si sono unite per riconoscerci nella nostra specificità di italo-somali, superando di conseguenza le rivalità tribali. Non ci poniamo il problema tribale. In questo senso siamo molto solidali e così le nostre madri. Le mamme riconoscono il fatto che siamo tutti, comunque, figli di italiani.
Quando noi proponemmo al Ministero degli Esteri questa specificità, loro risposero: "la diplomazia italiana ha un suo corso politico: non ha bisogno di doppioni in Somalia". Quello che chiediamo è di aiutare la diplomazia italiana a capire e gestire meglio questa situazione, non di porci in termini di doppioni o antagonisti. Sono passati cento anni dalla colonizzazione della Somalia: gli italiani tuttora continuano a non capire nulla dei somali. Si continuano a fare gli stessi errori. Nel 1990, all'inizio della guerra civile, la diplomazia italiana sbagliò: l'Ambasciatore Mario Sica e il Ministro degli Esteri De Michelis sostennero che Siad Barre dovesse rimanere Presidente. La diplomazia italiana non aveva colto l'evidenza che vi era una rivolta generale in tutto il paese contro un regime dittatoriale e quel governo era sostenuto dalla Farnesina. I somali lo ricordano.
D.: Cosa chiedete esattamente allo stato italiano?
R.: Molti di noi sono rientrati nelle leggi razziali (200 circa sono anziani, nati fra il 1920 e il 1940) e si dice addirittura che le leggi razziali non fossero indirizzate specificamente ed esclusivamente agli ebrei, quanto soprattutto finalizzate ad evitare il “meticciato”. Un problema che era esploso nel 1926 quando il Governatore della Somalia, De Vecchi di Val Cismon, informò Federzoni, Ministro delle Colonie, che era necessario prendersi cura di questi figli di compatrioti perché erano pure fratelli di altri italiani. Oltre al Governatore, vi erano altre personalità del Regime fascista coloniale che si opponevano all'atteggiamento del governo centrale verso i meticci e alla loro posizione giuridica che non era chiara né in armonia con la giustizia italiana, tra cui Alberto Pollera, già funzionario coloniale ai cui figli era negato il diritto di diventare italiani, che si appellò al Duce sostenedo che bisognava punire i genitori e non i figli. Prima del 1936, ai bambini nati da padri italiani e donne somale era estesa la cittadinanza italiana se il padre li avesse riconosciuti come figli; ciò valeva anche per quei bambini i cui tratti fisici indicavano che uno dei genitori era bianco. La nuova legge n° 1019 del 1/06/1936 mancava di un riferimento ad essi ed era interpretata nel senso di estinguere il privilegio per la Somalia e Eritrea. La legge del 13/05/1940 (n.882) dichiarò esplicitamente che tutti i mulatti dovevano essere considerati sudditi: essi assumevano lo status del genitore indigeno e non potevano essere riconosciuti dal genitore italiano e portarne il cognome. Quella legge tuttavia disponeva che gli 800 meticci che avevano acquistato la cittadinanza prima del 1936 fossero riconosciuti come italiani.
Molti italo-somali, già cittadini italiani, in quel periodo furono messi da parte e sottoposti a discriminazione a causa delle nuove leggi razziali, sebbene ci fosse nell'impero italiano una distinzione tra somali, etiopi ed eritrei. I somali, infatti, erano “cittadini Somali" al pari degli "eritrei", non sudditi coloniali come invece gli etiopi.
Nel libro “Il colonialismo italiano in Etiopia 1936-1940” di Alberto Sbacchi, nel capitolo IV - RAZZISMO DI STILE ITALIANO da pag. 217 a 241, edito da Mursia, e a pag. 236 si riporta il risentimento di un Mussolini irato che diceva a Ciano: “Guarda che con questa storia dei meticci avete proprio stufato! Bisogna sterminarli tutti!
Per i maschi meticci l'intenzione era quella di mandarli nelle zone malsane, a fare gli agricoltori, quasi con la speranza che si ammalassero e morissero, mentre le femmine venivano istruite circa il cucito e l’economia domestica affinché potessero diventare, una volta giunte in Italia, brave cameriere e domestiche nelle case dei gerarchi. Fortunatamente così non è andata....
Ma è proprio con la nascita della Repubblica Italiana e il subentro dell’AFIS[3] (con la risoluzione del 21.11.1949 l'ONU dava all'Italia un mandato decennale, un’associazione fiduciaria, che accompagnasse la Somalia fino all’indipendenza) – che in Somalia vi fu il vero boom delle nascite di italo/somali.
Molti italiani inviati in Somalia in quel periodo e con precisi compiti erano persone in maggioranza sposate e con la loro vita in Italia, eppure hanno avuto altri figli con donne somale. E pensare che con l’AFIS l’Italia si era proposta di riparare ai danni compiuti durante il fascismo in Somalia, mentre di fatto in Somalia, si continuavano ad applicare le leggi razziali del periodo fascista, pur essendo l'Italia all'epoca già diventata Repubblica.
Tant'è vero che, al momento della nascita dei bambini con padre italiano, le madri dichiaravano la parternità e così veniva segnalata l'appartenenza del neonato alla cosiddetta “etnia euro-africana”, come era definita in quel periodo; essi venivano registrati in un registro a parte. Ritrovare questi documenti è particolarmente difficile ora perché la Somalia è stata letteralmente distrutta, soprattutto nella parte più rilevante delle trascrizioni anagrafiche.
Questo perché la maggior parte delle registrazioni delle nascite di questi bambini veniva segnalata alla chiesa cattolica presente in Somalia. La nostra registrazione di nascita sta lì. Nei collegi[4] dove venivano tenuti questi bambini italo-somali avveniva un fatto particolare (soprattutto nel collegio di Brava): di volta in volta venivano affisse le comunicazioni dell'avvenuto cambiamento “ufficiale” dei cognomi di alcuni bambini.
D.: E questo perché?
R.: Perché evidentemente erano figli di padri sposati e quant’altro. Prima di arrivare a Mogadiscio, il bambino doveva abituarsi al nuovo cognome.
D.: A chi apparteneva questo secondo cognome?
R.: Era inventato. Totalmente.
D.: E del padre naturale, se mai se ne avesse avuto traccia, cosa accadeva?
R.: Per molti ragazzi che, fortunatamente, fino ad allora avevano traccia del padre naturale subentrava una rottura definitiva. Questi ragazzi non venivano considerati né cittadini somali né cittadini italiani: di fatto erano "apolidi”. E molti sono rimasti apolidi: venivano portati in Italia con i lasciapassare e rinchiusi in collegi con le sbarre alle finestre. Possiamo civilmente considerarla deportazione? Non era una deportazione. Ma quasi... Un bimbo di pochi anni strappato al suo genitore naturale per chiuderlo in un collegio è abberante.
D.: Quando avveniva il cambio anagrafico?
R.: Come detto, nei collegi venivano affissi ogni tanto gli elenchi di tutti coloro che, non avendo ricevuto il riconoscimento della paternità, automaticamente subivano il cambiamento del cognome. Ma c’era di peggio. Per coloro i quali vi era un riconoscimento da parte del padre italiano, scattava la “cancellazione” del nome materno: il bambino diventava quindi figlio del Sig. Tizio, ma di “madre ignota”. O avevi un padre ... o avevi una madre si riferivano alla leggi precedenti del fascismo. Impossibile la registrazione ufficiale di entrambi. Questo fino agli anni sessanta.
D.: Quale percentuale di quei bambini compone oggi l’Associazione?
R.: Direi un 60%. La maggior parte dei nostri associati è nata tra il 1948 e il 1960, quindi assolutamente dopo le famose leggi razziali. Il numero di italo-somali inizia a diminuire con gli anni sessanta e con l’indipendenza della Somalia. Per riassumere: il grande numero di nascite “miste” coincide proprio con l’arco di tempo che va dalla Repubblica italiana all’indipendenza somala[5].
Per iniziare a parlare di cittadinanza italiana (per la maggior parte dei ragazzi) dobbiamo riferirci alla visita di Aldo Moro a Mogadiscio (non ricordo se allora fosse Presidente del Consiglio o Ministro degli Esteri), prima della rivoluzione che ci fu in Somalia nel 1969.
D.: Che richieste avanzate allo stato italiano?
R.: Durante gli incontri avuti con il Ministero degli Esteri abbiamo chiesto di riconoscere la nostra storia e la nostra situazione ed approntare una sorta di risarcimento, che, badate bene, non è monetizzabile. Noi non chiediamo risarcimento in denaro. Abbiamo chiesto di istituire un ente morale gestito dagli italo-somali che sia presente a Mogadiscio, per rappresentare la storia e la specificità degli italo-somali che sono la più piccola Comunità presente oggi in Italia.
Sebbene la maggior parte di noi sia perfettamente integrata, ha una famiglia e un lavoro regolare, vi sono alcuni che ancora vivono lo choc e il trauma psicologico subiti nell’infanzia: nei collegi si era comunque “figli del peccato” e la vita non era facile... Quando poi questi stessi giovani uscivano dai collegi - dove vi ricordo che l’educazione era assolutamente e rigorosamente cattolica e in lingua italiana - incontravano coetanei e compaesani che, ovviamente, parlavano il somalo e convivevano senza limitazione con la cultura materna. Questi ragazzi che vivevano nei collegi erano spaesati e confusi nella loro terra natia. Molti italo-somali non sapevano parlare la loro lingua materna. La cultura originale non esisteva più: era stata completamente sradicata, rimossa e cancellata. Erano stati educati oramai a sentirsi “figli di italiani” e diversi. Quando poi arrivavano in Italia, subivano la discriminazione di essere considerati “neri”, africani. Scoprivano che non erano neanche italiani.
In Somalia erano bianchi; in Italia sono neri.
D.: Avete mai fatto un censimento interno attraverso i documenti e la storia di ognuno?
R.: Stiamo cercando di raccogliere la documentazione. Ma non tutti hanno una documentazione completa.
D.: State studiando azioni sia a livello nazionale che internazionale. Come vi muoverete?
R.: L’ultima volta che siamo andati al Ministero degli Esteri ci hanno detto: “se volete proprio creare un caso, ponetelo in termini politici. Andate da uno sponsor del parlamento italiano, presentate la questione e ponete la questione in termini politici”.
Ovviamente, per noi il problema della cittadinanza non si pone: noi siamo tutti cittadini italiani. Ecco perché siamo stati rimandati al Ministero degli Interni...
Il fatto che inizialmente il nostro interlocutore fosse il Ministero degli Esteri dipendeva dall’esperienza precedente di un’altra associazione denominata APIS - Associazione Profughi Italo-Somali – che era un’altra organizzazione, diversa dalla nostra. Si trattava di una associazione formata, a suo tempo, con scopi risarcitori nei confronti dello stato italiano che nel 1990 aveva evacuato dalla Somalia, a causa della guerra civile, tutti gli italiani che quindi avevano lasciato casa, lavoro e i loro averi. Dopo oltre dieci anni l’APIS ancora aspetta una concreta risposta risarcitoria dallo Stato italiano…
Il nostro avvocato, un italo-somalo che vive e lavora a Londra, sta studiando cause internazionali collegate al cosiddetto “meticciato”, soprattutto nei rapporti con le legislazioni inglesi e francesi di nota tradizione coloniale. Egli intende approntare una buona base giuridica per poter successivamente avanzare una solida azione legale, soprattutto tenendo presente e conto degli ultimi sviluppi avvenuti alla Conferenza sul razzismo di Durban.
D.: Prevedete di avanzare un’azione legale allo stato italiano?
R.: Abbiamo pensato che se l’Italia non provvederà da un punto di vista legislativo alla nostra questione, è praticamente inutile sottoporre un’azione legale. Non abbiamo con l’Italia nessuna chance giuridica. Non essendoci nessun provvedimento legislativo sul meticciato di conseguenza il problema per l'Italia non esiste. Il nostro caso va portato davanti al Tribunale Internazionale per poi passare alla Corte Europea. Con le sentenze esecutive di questi tribunali potremo rivolgerci poi ai tribunali italiani.
A onor del vero abbiamo un’interrogazione parlamentare in corso risalente alla precedente legislatura, indirizzata al Ministero degli Esteri retto dal ministro Dini, che non ha avuto seguito. L’interrogazione era stata presentata dall’on. Landi di Chiavenna di An che ora la ripresenterà. Speriamo... ora al governo c'è il centrodestra.
D.: Per quanto riguarda il discorso religioso, c’è qualcuno di voi che è tornato alla fede musulmana?
R.: A Genova ci sono stati un paio di casi: in generale si contano - come vede - sulle dita di una mano. Siamo comunque tutti cattolici.
D.: Foste battezzati tutti da bambini?
R.: Era il primo passo che si faceva.
D.: Che rapporti avete oggi con la Somalia?
R.: La maggior parte di noi non parla somalo. Forse qualcuno lo capisce, ma non lo parla. Siamo sradicati. Qualcuno mantiene ancora rapporti di parentela materna.
D.: Esiste in Somalia una comunità di italo-somali?
R.: No. Oggi no. Dal 1990 non esiste più.
D.: E le autorità somale? L’Ambasciata in Italia?
R.: Bisogna dire che sono undici anni che non esiste la Somalia. L'ambasciata somala è solo un punto di ritrovo per i somali; non vi è ambasciatore, non vi è uno stato democratico somalo. E’ rimasto il vecchio ambasciatore che si fregia di questo titolo ma non lo è più.
Il fatto è che se dobbiamo chiedere un documento o un certificato andiamo nei rispettivi comuni di residenza, come tutti i cittadini italiani.
Ben 153 metri lineari di documenti dell’AFIS sono negli archivi del Ministero degli Esteri. A noi interessa individuare i documenti che attestano l'accordo e le intese tra il Vicariato e il governo italiano. Altrimenti non si spiega perché siano stati tolti tanti figli alle proprie madri sotto la giustificazione, spesso falsa, che queste madri fossero indigenti. Su dieci nati nove passavano per il collegio... mi sembra un po’ squilibrato il rapporto... C’è qualcosa di strano che mi sfugge...
D.: Il Vicariato in Somalia ora non c’è più...
R.: La sede del Vicariato è stata bombardata e rasa al suolo con le due chiese esistenti a Mogadiscio all'inizio della guerra civile. Sono rimaste poche suore che operano come volontarie. La Somalia è oggi “terra di nessuno”.
D.: Il processo di sradicamento culturale è stato totale? Nei collegi dove andavate voi c’erano bambini che fossero figli esclusivamente di somali?
R.: C’erano ma non erano più somali: erano stati cattolicizzati anche loro. Nel collegio di Baidoa anche ai bambini esclusivamente somali veniva dato un un nome cattolico. Da Baidoa passavano poi a Mogadiscio: era un processo inverso. Essendo somali, loro si trovavano – se possibile - in una posizione peggiore rispetto alla nostra: erano neri, somali e non parlavano più la loro lingua e non professavano più la loro religione. Ce ne stanno molti di questi casi, ma non sono venuti in Italia. Sono rimasti in Somalia.
D.: Per tirare le somme, oggi voi che siete cittadini italiani siete più trascurati dallo stato rispetto, ad esempio, agli immigrati?
R.: Noi siamo “extracomunitari con passaporto italiano”.
D.: Avete scritto lettere a sindaci ed assessori?
R.: Abbiamo scritto ai diversi sindaci che si sono avvicendati a Roma, così come a molti assessori, chiedendo anche una sede ufficiale.
D.: Avete inoltrato una stessa lettera anche all’attuale sindaco?
R.: No. Ci abbiamo rinunciato. Pare che la Regione Lazio sia stata un po’ più attenta rispetto al Comune. Il presidente Storace ci ha fatto ricevere dal capo del gabinetto, un generale in pensione, che ci ha chiesto perché insistiamo tanto con una localizzazione della questione. Abbiamo risposto che vogliamo, non solo ragionare in termini europei, ma anche conquistare il riconoscimento di una storia contemporanea della Repubblica italiana che nessuno vuole ammettere. Al di là di aspetti storiografici, culturali e di ricordi che stanno a cuore più alla nostra Comunità che al resto del paese qualcuno potrebbe obiettare: ma questi italo/somali cosa vogliono? In Italia c'è una moltitudine di matrimoni misti e non si creano problemi ne risarcimenti morali etc etc. Vero! La società italiana odierna ha superato tante volte molti di questi aspetti, ma… sono matrimoni voluti e non imposti con l'inganno, la sopraffazione, il colonialismo. Questa è la differenza sostanziale della storia degli italo/somali, italo/eritrei e italo/etiopi.
La Costituzione repubblicana della Somalia si rifaceva ai Regi Decreti dello stato italiano. In essa vi erano delle postille che escludevano gli italo-somali da ogni ruolo amministrativo di un futuro governo somalo. Motivarono ciò sottolineando che noi italo-somali eravamo più colti ed istruiti rispetto ai somali che erano in via di formazione: ciò non era assolutamente vero perché io personalmente ricordo miei coetanei studenti che successivamente entrarono nella diplomazia e nei ruoli dirigenziali della Somalia e vi assicuro che non erano né meno dotati né meno abili. Se fossi rimasto in Somalia e avessi voluto partecipare alla vita pubblica somala sappiate che ciò non sarebbe stato possibile né fattibile: vi era un invisibile veto. In passato, prima della guerra civile, chiedemmo di prevedere nella nuova costituzione somala la doppia cittadinanza per gli italo/somali.
Di noi non si parla e quando se ne dovrebbe parlare succedono fatti o avvenimenti più grandi e l’attenzione viene rivolta sempre altrove, come successe con la famosa missione IBIS[6], la morte della povera Ilaria Alpi, Ben Laden e la Barakaat oggi e così via…
Gli italo/somali sono una realtà, e direi il frutto proibito, della lunga relazione coloniale dell'Italia e della Somalia. Gli italiani non conoscono la nostra situazione.
Molti non sanno neanche che la Somalia è stata una colonia italiana... Ci si chiede e si chiede - a 50 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, dopo aver riconosciuto gli errori razziali commessi contro gli ebrei italiani, 40 anni dopo l'AFIS - che paura possa avere uno Stato democratico e forte come l'Italia repubblicana di oggi a riconoscere i propri errori e a riconoscere senza preclusioni il male che è stato fatto agli italo/somali, la più piccola minoranza dello stato italiano.
BF
[1] La definizione di minoranza forse più nota è quella elaborata nel 1977 da Francesco Capotorti: “Con il termine minoranza viene designato un gruppo che è numericamente inferiore al resto della popolazione di uno stato, in una posizione non dominante, i cui membri, essendo cittadini dello stato, possiedono caratteristiche etniche, religiose o linguistiche che differiscono da quelle del resto della popolazione e mostrano, quanto meno implicitamente, un senso di solidarietà inteso a preservare la loro cultura, le tradizioni religiose o la lingua”.
[2] Il sito ufficiale dell’ANCIS è visitabile all’indirizzo web:http://web.tiscali.it/somalia/ancis/
[3] Sull’AFIS i riporta così come dal sito ufficialehttp://web.tiscali.it/somalia/ancis/afis.htm: “ C'è un lato oscuro della recente storia italiana post bellica. Esattamente, ci riferiamo alla Amministrazione Fiduciaria affidata all'Italia dalle Nazioni Unite nel 1950 e proseguita fino alla indipendenza della Somalia, sia britannica il 26 giugno 1960, che italiana al 1 luglio 1960. Questa documentazione recente è tutt'ora sotto chiave e chiusa al pubblico presso il Ministero degli Affari Esteri italiano. Tale documentazione è un insieme di atti che andrà letto, capito e interpretato in maniera scientifica, seria, attenta e scrupolosa. In questi atti, sicuramente, c'è una fetta importante che riguarda la Comunità Italo/Somala e ci riproponiamo di poter accedere a questa documentazione e di monitorizzarla in tutti i dettagli”.
[4] I collegi erano essenzialmente tre: Ionte, dove stavano i bambini più piccoli, da tre mesi a tre anni; Braava, per i bambini fino alla quinta elementare; Mogadiscio, per le scuole medie e il Liceo.
[5] La Somalia diventa indipendente e nasce come Stato sovrano il 1° luglio 1960. Cessa in quel momento l’amministrazione fiduciaria italiana.
[6] Sulla missione italiana denominata “IBIS” si rimanda, tra i tanti, all’articolo “Somalia. Le nuove foto della vergogna” di M. Gregoretti, pubblicato da Panorama il 13 giugno 1997 e consultabile online al sito:
http://www22.mondadori.com/panorama/numeri/pan2497/mag/inc_2497_1.html.
Nello stesso sito ufficiale dell’ANCIS è consultabile un amaro articolo di commento alle decisioni della Corte d’Appello di Firenze relative agli illeciti compiuti dai militari italiani dal titolo “Tutti assolti, anche l’unico soldato inquisito nella missione IBIS. Nessun colpevole tra i militari italiani dell’operazione: la giustizia e i diritti umani irrisi e calpestati da una “forza di pace” in casa propria”:http://web.tiscali.it/somalia/ancis/app-att.htm
Fonte:Diritto e diritti
.
1 commento:
Al seguente link potrete visionare il servizio sulla conferenza tenuta dal primo ministro somalo Mohamed Abdullahi Mohamed alla facoltà di Lettere di Roma Tre.
http://www.uniroma.tv/?id_video=18006
Ufficio Stampa uniroma.tv
info@uniroma.tv
http://www.uniroma.tv
Posta un commento