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A un secolo e mezzo di distanza si prendono ancora per veri molti stereotipi che hanno alimentato il contrasto Nord-Sud
Di Giordano Bruno Guerri
Sono straordinarie le storie di singoli briganti e brigantesse, di battaglie e agguati, astuzie e vita quotidiana di un mondo che sembra antico e siamo invece noi, appena un secolo e mezzo fa. Il «brigantaggio» - sostenuto dai Borboni in esilio, dal clero, da veri briganti e dalla popolazione civile - fu una rivolta di massa, sociale e politica. Era la prima, dura prova dello Stato unitario, sulla quale si giocava la sua credibilità internazionale; e lo Stato, nel periodo 1861-1864, impiegò quasi metà dell’esercito per vincere la ribellione. Il 15 agosto 1863 fu approvata la legge Pica, che estendeva la repressione alla popolazione civile, ovvero a chiunque fornisse ai «briganti» viveri, informazioni «ed aiuti in ogni maniera». Con questo strumento operarono i nomi più illustri dell’esercito, Alfonso La Marmora, Enrico Cialdini, Enrico Morozzo della Rocca, Giacomo Medici, Raffaele Cadorna. Intere regioni furono sottoposte a un regime di occupazione, ebbero villaggi incendiati, coltivazioni distrutte e lutti - decine di migliaia, non si sa quanti - dovuti ai «piemontesi». La popolazione considerava i briganti eroi coraggiosi contro un invasore. Ancora ottanta anni dopo Carlo Levi, in Cristo si è fermato a Eboli, scrisse: «Non c’è famiglia che non abbia parteggiato, allora, per i briganti o contro i briganti; che non abbia avuto qualcuno, con loro, alla macchia, che non ne abbia ospitato o nascosto, o che non abbia avuto qualche parente massacrato o qualche raccolto incendiato da loro. A quel tempo risalgono gli odi che dividono il paese tramandati per le generazioni, e sempre attuali». Non è possibile capire il successivo rapporto Nord-Sud, fino ai nostri giorni, se non si tiene conto di quegli eventi. L’Italia settentrionale assistette inorridita alla guerra, per quanto si cercasse di nasconderne la gravità, e cominciò a chiedersi se annettere «quei selvaggi» era stato un bene. Il banditismo venne stroncato senza che peraltro venisse risolto il problema della criminalità, né tanto meno quello della sopravvivenza quotidiana dei più poveri. Alla fine del 1865, la lotta al «brigantaggio» era ormai vinta, anche se durerà almeno fino all’annessione dello Stato della Chiesa, che appoggiava in ogni modo i «briganti». Il governo centrale si era imposto, l’Unità era salva grazie all’esercito, ma a caro prezzo. È una vicenda che né al liberalismo e né al fascismo conveniva illuminare, e una sorta di autocensura patriottica ha impedito di farlo negli ultimi sessant’anni, continuando a perpetuare l’enfasi da Cuore sulla quale sono cresciuti decine di milioni di italiani. La «lotta al brigantaggio» non fu lo scontro di pochi criminali, o ribelli: erano italiani che non avevano avuto diritto di voto nei plebisciti per l’annessione al Regno del Piemonte, ma avevano il diritto, umanamente se non legalmente, di rifiutarla. Ancora più drammatici furono i riflessi sulla popolazione meridionale: «Mi avete voluto a tutti i costi? Bene, adesso mantenetemi». Anche l’attuale reazione leghista, in fondo, senza rendersene conto, deriva da quell’antico episodio della nostra storia. Sul mercato non esiste, e non è mai esistita, una storia del brigantaggio fatta da uno storico autorevole e pubblicata da una grande casa editrice. Esistono soltanto centinaia di - preziose - storie locali pubblicate da piccoli editori. Beninteso, un simile volume non dovrà essere aprioristicamente denigratorio. Arriverà, inevitabilmente, alla conclusione che l’Unità è stata indispensabile, quindi preziosa, per il formarsi di un popolo italiano, e anche per lo sviluppo e l’economia dell’intero Paese. Ma nessun popolo - come nessun individuo - può davvero prendersi in giro, fingendo di avere avuto una storia diversa da quella che ha avuto.
Fonte:Il Giornale
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G. B. Guerri, come tutti quelli che si sono succeduti in questi 150 anni, nell'affrontare la questione meridionale, alla fine del suo articolo -per certi versi condivisibile mentre per altri lontanissimo dai numeri reali e dalla soluzione finale- chiude largomento salvando, comunque, quello che c'è...l'unità.
RispondiEliminaCome tutti quelli che si sono sciacquati la bocca nell'analizzare la questione meridionale, azzerando ogni torto subito,ogni rapiana subita come se tutte le pene imposteci da 150 anni fossero cosa minore di fronte al "grande" obiettivo dell'unità, giunge alla conclusione che l'unità andava fatta ed ora c'è.
Tanti,troppi, si sono autonominati "paladini" della "questione meridionale" però, nel momento delle supreme decisioni,delle indicazioni risolutive vere, hanno sempre considerato prevalente l'unità sulla condizione del Sud.
Tutti i "santoni" del meridionalismo, da Fortunato a Salvemini, arrivati al dunque, sottolineavano puntualmente che oramai l'unità è fatta e bisogna tenersela e conservarla come bene primario.
Classico comportamento rinunciatario che svuota ogni loro discorso, ogni studio, ogni analisi perchè non addiviene alla vera soluzione del problema...la riconquista dell'INDIPENDENZA DELLE DUE SICILIE, "bestemmia" dalla quale ognuno prende le distanze, ma una vera soluzione di tutte le problematiche del Sud, dalla mafia al lavoro, ai servizi, alle infrastrutture...al progresso di questi 20.000.000 di anime condannate puntualmente alla sopravvivenza.
Non è scritto da nessuna parte che l'italietta risorgimentale debba continuare ad esistere a danno delle Due Sicilie.
Il Sud risorge solo se si riappropropria del suo futuro, della libertà di FARE, INTRAPRENDERE, COSTRUIRE senza avere fra i piedi industriali padani, banchieri padani, politici padani e "pompieri" corrotti e prezzolati, buonisti tricolorati, lacchè e servi sciocchi del Nord che il solo compito di imbrigliare le coscienze del Sud, in nome e per conto dei loro padroni padani.
Una COLONIA per essere funzionale al colonizzatore, non deve poter intraprendere, deve essere sfruttata e deve consumare esclusivamente quello che viene prodotto dal colonizzatore (mercato chiuso). Il resto sono solo discorsi vacui che non portano a nulla se non portano all'INDIPENDENZA. ...E questo, nello scritto di G.B. GUERRI, no è riportato ma è ribadito solo il principio che l'unità oramai c'è ed è meglio tenersela...meglio per il Nord e solo per il Nord, aggingo io!
personalmente odio la canzone "...chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato...". E' l'inno che i meridionalisti di "spessore" hanno sempre intonato in tutti questi anni e continuano a farlo.
G. B. Guerri, come tutti quelli che si sono succeduti in questi 150 anni, nell'affrontare la questione meridionale, alla fine del suo articolo -per certi versi condivisibile mentre per altri lontanissimo dai numeri reali e dalla soluzione finale- chiude largomento salvando, comunque, quello che c'è...l'unità.
RispondiEliminaCome tutti quelli che si sono sciacquati la bocca nell'analizzare la questione meridionale, azzerando ogni torto subito,ogni rapiana subita come se tutte le pene imposteci da 150 anni fossero cosa minore di fronte al "grande" obiettivo dell'unità, giunge alla conclusione che l'unità andava fatta ed ora c'è.
Tanti,troppi, si sono autonominati "paladini" della "questione meridionale" però, nel momento delle supreme decisioni,delle indicazioni risolutive vere, hanno sempre considerato prevalente l'unità sulla condizione del Sud.
Tutti i "santoni" del meridionalismo, da Fortunato a Salvemini, arrivati al dunque, sottolineavano puntualmente che oramai l'unità è fatta e bisogna tenersela e conservarla come bene primario.
Classico comportamento rinunciatario che svuota ogni loro discorso, ogni studio, ogni analisi perchè non addiviene alla vera soluzione del problema...la riconquista dell'INDIPENDENZA DELLE DUE SICILIE, "bestemmia" dalla quale ognuno prende le distanze, ma una vera soluzione di tutte le problematiche del Sud, dalla mafia al lavoro, ai servizi, alle infrastrutture...al progresso di questi 20.000.000 di anime condannate puntualmente alla sopravvivenza.
Non è scritto da nessuna parte che l'italietta risorgimentale debba continuare ad esistere a danno delle Due Sicilie.
Il Sud risorge solo se si riappropropria del suo futuro, della libertà di FARE, INTRAPRENDERE, COSTRUIRE senza avere fra i piedi industriali padani, banchieri padani, politici padani e "pompieri" corrotti e prezzolati, buonisti tricolorati, lacchè e servi sciocchi del Nord che il solo compito di imbrigliare le coscienze del Sud, in nome e per conto dei loro padroni padani.
Una COLONIA per essere funzionale al colonizzatore, non deve poter intraprendere, deve essere sfruttata e deve consumare esclusivamente quello che viene prodotto dal colonizzatore (mercato chiuso). Il resto sono solo discorsi vacui che non portano a nulla se non portano all'INDIPENDENZA. ...E questo, nello scritto di G.B. GUERRI, no è riportato ma è ribadito solo il principio che l'unità oramai c'è ed è meglio tenersela...meglio per il Nord e solo per il Nord, aggingo io!
personalmente odio la canzone "...chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato...". E' l'inno che i meridionalisti di "spessore" hanno sempre intonato in tutti questi anni e continuano a farlo.