di Fulvio Lo Cicero
L’Ocse certifica il ristagno italiano, mentre i Paesi sviluppati agganciano la ripresa. Un Governo latitante, senza una politica economica, caratterizzato dal totale immobilismo del ministro Giulio Tremonti
ROMA – Ora che i dati diffusi dall’Ocse (l’Organizzazione internazionale per la Cooperazione economica) mostrano con evidenza come l’Italia risulti, sul piano della crescita economica, il fanalino di coda del mondo sviluppato e dell’Europa in particolare, escludendo Grecia, Spagna e Portogallo, forse qualche riflessione “indipendente” rispetto ai proclami trasmessi dalle televisioni di regime sarà il caso di farla. Certo, non può stupire il fatto che la Germania abbia fatto segnare una crescita del prodotto interno lordo pari al 2,2%, mentre il nostro Paese si blocca sullo 0,4% (che su base annua diventa l’,1,1%). Da quando esiste l’Europa unita, cioè dai Trattati di Roma del marzo 1957, il colosso tedesco ha sempre guidato il carro economico del Vecchio Continente. Ciò che invece deve essere rimarcato – come dimostrazione, segnalata da almeno un anno dagli analisti non implicati nel regime berlusconiano, dell’assenza di una politica economica adeguata – è il ristagno italiano, in presenza peraltro di un’inflazione in netta ripresa, che colloca il Paese dietro anche alla Francia e al Regno Unito.
Italia: una crescita debole, una produttività calante
La media registrata nella crescita della ricchezza prodotta dai 32 Paesi appartenenti all’area Ocse è stata pari, nel secondo trimestre del 2010, allo 0,7%. Quindi lo 0,4% italiano è inferiore a questa media. Su base annua, il nostro Paese ha registrato la media più bassa (+1,1% contro il 3,7% della Germania). Ovviamente, il dinamismo mostrato dall’economia tedesca si è immediatamente riflesso sull’occupazione che, sempre nel secondo trimestre 2010, ha guadagnato 72 mila unità di lavoro, raggiungendo la soglia di 40,3 milioni, una cifra molto vicina al record di 40,7 milioni del 2008, cioè prima dello scoppiare della crisi. Con riferimento al primo trimestre del 2010, l’occupazione italiana continua, invece, a calare (-0,9%, cioè oltre 200 mila unità in meno). Il tasso di occupazione complessivo nel nostro Paese è pari al 56,6%, con una flessione di otto decimi di punto rispetto allo stesso periodo del 2009, così come il numero di persone in cerca di prima occupazione aumenta del 14,7% rispetto ad un anno fa. Numeri che non hanno bisogno di commenti.
La totale assenza di un Governo che diriga la politica economica italiana (basti pensare al fatto che da oltre tre mesi è vacante la carica di ministro delle attività produttive, dopo le dimissioni di Scajola, cioè un ministero centrale nella struttura istituzionale della nostra economia) ha prodotto e continua a produrre il disastro dell’era berlusconiana, incarnata alla perfezione da Giulio Tremonti. I principali indicatori economici italiani mostrano la dimensione di questa disfatta. In Italia, la bassa crescita economica continua a coniugarsi con una produttività del lavoro in caduta libera, connessa a quella che gli economisti denominano “total factor productivity” (cioè il complesso dei fattori che accrescono la produttività a prescindere dal capitale e dal lavoro, quindi si tratta del contesto produttivo e istituzionale di un Paese). Sempre secondo dati di fonte Ocse, fra 2001 e 2008, l’Italia è buon ultima rispetto al resto dei Paesi membri. Se poi si considera il periodo che fa dal 2008 ad oggi, il tasso di produttività globale (quindi, non solamente quella legata al lavoro) ha subito una diminuzione del 3,4%.
Il disastro del Governo Berlusconi-Tremonti
Così come accadde nel periodo successivo al 2001, quando il ministro Giulio Tremonti non seppe fare altro che richiamarsi alla crisi economica causata dall’attentato alle “Twin Towers”, anche quando gli altri Paesi europei l’avevano oramai superata da un pezzo, ancora oggi lui e i corifei a pagamento delle truppe berlusconiane non sanno farfugliare di meglio. Ma la realtà li smentisce clamorosamente. L’Italia sta dimostrando che il fatto di non essere quasi fallita, come la Grecia, non significa altro che essa non è in grado di partecipare da protagonista sulla scena economica internazionale e la sua capacità di creare ricchezza è inferiore di meno della metà rispetto al mondo sviluppato. E la colpa non può più essere attribuita alla crisi mondiale, una volta che questa è trapassata.
L’andamento delle esportazioni
Paradossalmente, la dimostrazione della totale assenza di una politica economica nel nostro Paese è fornito proprio dai dati sulle esportazioni, che il regime berlusconiano ha evidenziato con urla di gioia. Esse sono aumentate del 22,8% rispetto ad un anno fa ma la crescita avviene proprio in un settore dove le decisioni del Governo nazionale non incidono per niente, perché le esportazioni dipendono ovviamente dalla domanda estera (che è in crescita). Inoltre, l’ultimo Rapporto 2009-2010 dell’Istituto per il commercio estero mostra come la gran parte della produzione italiana venduta sui mercati internazionali proviene da piccolissime aziende, con un fatturato da export non superiore ai 750 mila euro. Imprese dove maggiore è la decrescita della competitività internazionale e che sono dunque più soggette ai colpi della concorrenza nel settore dei manufatti a bassa intensità tecnologica. Un tessuto produttivo assai debole, a favore dei quali i vari Governi berlusconiani-tremontiani non hanno saputo fare altro che operazioni di propaganda senza grandi effetti reali (come la semplificazione burocratica per la costituzione di nuove imprese), aumentando invece la pressione tributaria complessiva.
Fonte:Dazebao
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