Diciotto anni dopo la strage di Via D’Amelio, la Procura
di Caltanissetta ha riaperto le indagini sui mandanti
occulti anche della strage Falcone. Si ipotizza che
Borsellino sia stato ucciso perché si oppose a una trattativa tra lo Stato e Cosa nostra. E un sacco di gente sembra avere ritrovato la memoria, ricordando episodi e fatti che Mutolo aveva narrato quasi vent’anni fa.
di Caltanissetta ha riaperto le indagini sui mandanti
occulti anche della strage Falcone. Si ipotizza che
Borsellino sia stato ucciso perché si oppose a una trattativa tra lo Stato e Cosa nostra. E un sacco di gente sembra avere ritrovato la memoria, ricordando episodi e fatti che Mutolo aveva narrato quasi vent’anni fa.
Si va alla ricerca di quel “quasi nessuno” che sapeva e che di
fatto fece da trait d’union tra la mafia e lo Stato. Di lui
ha parlato nell’ultimo anno Massimo Ciancimino,
chiamandolo “signor Franco” (o signor Carlo), un uomo
appartenente ai servizi segreti sempre presente
accanto a suo padre quanto l’ingegner Lo Verde, noto al
resto del mondo come Bernardo Provenzano, era libero
di muoversi per la Capitale, andando a casa di
Ciancimino. Si sa però ora, ormai quasi con certezza,
che i boss pentiti non avevano mentito quando non
avevano riconosciuto il “c o l l a b o ra t o re ” V i n c e n zo
Scarantino, il cui racconto aveva portato alla
ricostruzione dell’attentato e del gruppo di fuoco che
costò la vita a Borsellino. La tesi, dopo le dichiarazioni di
un vero killer di Cosa nostra, e cioè Gaspare Spatuzza, è
che qualcuno abbia imboccato Scarantino con una falsa
verità.
di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti
Adesso si ascolta Massimo Ciancimino che però può
rivelare soltanto de relato quel che gli aveva raccontato
in vita suo padre Don Vito e che ha aperto nuovi interrogativi
e nuove piste investigative, anche sulle stragi del ’92. Ed è in
questo contesto che si inseriscono anche le recentissime rivelazioni
del pentito Gaspare Spatuzza che aveva chiamato in causa
Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sostenendo di avere appreso
dai fratelli boss Giuseppe e Filippo Graviano che i due politici
erano i nuovi “re fe re n t i ” di Cosa nostra. Soltanto un sentito
dire. Ma quello che non ha sentito dire, e che ha fatto lui personalmente,
è svelare il drammatico retroscena della strage di via D’Amelio. Verità incontrovertibili,
verificate e riscontrare dai magistrati di Caltanissetta che hanno riaperto l’inchiesta sulla
strage iscrivendo nel registro degli indagati i poliziotti che coordinarono
quell’indagine che portò all’arresto, e al successivo pentimento, di Vincenzo Scarantino.
Un bugiardo e sulle cui bugie i pm di Caltanissetta, e tra questi Anna Maria Palma, attualmente
capo di gabinetto del presidente del Senato, Renato Schifani, chiesero e ottennero la condanna
di molti innocenti. Adesso quel processo è tutto da rifare (...) perché Spatuzza ha raccontato
un’altra verità.
fatto fece da trait d’union tra la mafia e lo Stato. Di lui
ha parlato nell’ultimo anno Massimo Ciancimino,
chiamandolo “signor Franco” (o signor Carlo), un uomo
appartenente ai servizi segreti sempre presente
accanto a suo padre quanto l’ingegner Lo Verde, noto al
resto del mondo come Bernardo Provenzano, era libero
di muoversi per la Capitale, andando a casa di
Ciancimino. Si sa però ora, ormai quasi con certezza,
che i boss pentiti non avevano mentito quando non
avevano riconosciuto il “c o l l a b o ra t o re ” V i n c e n zo
Scarantino, il cui racconto aveva portato alla
ricostruzione dell’attentato e del gruppo di fuoco che
costò la vita a Borsellino. La tesi, dopo le dichiarazioni di
un vero killer di Cosa nostra, e cioè Gaspare Spatuzza, è
che qualcuno abbia imboccato Scarantino con una falsa
verità.
di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti
Adesso si ascolta Massimo Ciancimino che però può
rivelare soltanto de relato quel che gli aveva raccontato
in vita suo padre Don Vito e che ha aperto nuovi interrogativi
e nuove piste investigative, anche sulle stragi del ’92. Ed è in
questo contesto che si inseriscono anche le recentissime rivelazioni
del pentito Gaspare Spatuzza che aveva chiamato in causa
Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri sostenendo di avere appreso
dai fratelli boss Giuseppe e Filippo Graviano che i due politici
erano i nuovi “re fe re n t i ” di Cosa nostra. Soltanto un sentito
dire. Ma quello che non ha sentito dire, e che ha fatto lui personalmente,
è svelare il drammatico retroscena della strage di via D’Amelio. Verità incontrovertibili,
verificate e riscontrare dai magistrati di Caltanissetta che hanno riaperto l’inchiesta sulla
strage iscrivendo nel registro degli indagati i poliziotti che coordinarono
quell’indagine che portò all’arresto, e al successivo pentimento, di Vincenzo Scarantino.
Un bugiardo e sulle cui bugie i pm di Caltanissetta, e tra questi Anna Maria Palma, attualmente
capo di gabinetto del presidente del Senato, Renato Schifani, chiesero e ottennero la condanna
di molti innocenti. Adesso quel processo è tutto da rifare (...) perché Spatuzza ha raccontato
un’altra verità.
I (veri) p ro t a go n i s t i dell’attentato
E CIOÈ che fu lui, e non Vincenzo Scarantino, a rubare e preparare la Fiat 126 che fu utilizzata
per la strage di via D’Amelio. (...) E per la prima volta si scopre che nelle fasi preparatorie
dell’attentato del 19 luglio del ’92 contro il giudice Borsellino era presente anche uno “sconosciu -
to”, lo stesso personaggio, non mafioso e appartenente all’epoca al Sisde, riconosciuto anche da
Massimo Ciancimino. Lo fa la prima volta con i magistrati di Firenze che indagano sulle stragi di Roma, Firenze e Milano del ’93 e racconta anche come e quando Cosa nostra si procurò l’esplosivo per utilizzarlo nelle stragi di Capaci e via D’Amelio. Dice delle verità che rimettono tutto in discussione.
Rivela che l’esplosivo per la strage di via D’Amelio fu addirittura prelevato prima di quella di
Capaci. (...) Non solo Spatuzza ha confermato e raccontato queste cose anche durante i confronti
avuti con i principali “pentiti”della strage Borsellino, primo fra tutti Vincenzo Scarantino. Due si sono messi a piangere e hanno chiesto «perdono» confessando di avere rilasciato false dichiarazioni perché «pressati» dagli investigatori.
Il terzo, il «pentito» Vincenzo Scarantino, le cui affermazioni hanno sostanziato tre processi
e numerose condanne all’er gastolo per la strage di via D’Amelio, ha chiesto la sospensione
del confronto perché davanti alle dichiarazioni di Spatuzza, è entrato in tilt. (...)
Ma ci voleva Spatuzza per smentire le clamorose bugie di Vincenzo Scarantino e i depistaggi
di chi condusse all’epoca quelle indagini? Assolutamente no.
Chi scrive ha assistito ad alcuni confronti durante le fasi dei processi
per la strage di via D’Amelio tra pentiti storici di Cosa nostra e Vincenzo Scarantino.
Tutti lo trattavano a pesci in faccia (...) Ecco il confronto tra Salvatore Cancemi e Vicenzo Scarantino.
Basta leggerlo per capire chi sia Scarantino e chiedersi come sia stato possibile che gli abbianocreduto. L’anno è il 1995 (...) l’incontro avviene all’interno della caserma dei Ros di Roma dov’è presente
anche l’allora maggiore Mauro Obinu.
Il confronto con Cancemi
CANCEMI si rivolge subito a Scarantino e gli dice: “G u a rd a , Guardami! Ti posso dare del tu?
Perché io non ti conosco, non ti ho mai visto…”. Scarantino: “Io lo conosco”. Cancemi:
“Guardi dottor Petralia, io gentilmente vorrei cominciare così, voglio invitare questo signore
che io nella mia vita non l’ho mai visto, questa è la prima volta. Di ricordarsi bene...
Ma tu sei uomo d’onore? Sai che significa, che vuol dire uomo d’onore? Spiega che significa uomo
d’onore. Chi è che t’ha detto questa lezione? Dicci la verità, devi dire la verità (...)»
Scarantino sostiene di conoscere Cancemi e di essere un uomo d’onore riservato
e poi snocciola un’altra serie di storie che non hanno né capo né coda e Cancemi perde la pazienza:
“Ma a questo come gli date ascolto? Nossignori, già sto perdendo la pazienza, ma veramente
date ascolto a questo individuo? (...)”. Scarantino insiste sostenendo di conoscerlo e di averlo visto con i baffi. Cancemi lo smentisce e gli dice che ci sono anche riprese televisive dei carabinieri che lo sbugiardano (...). Cancemi si rivolge ai magistrati: “Attenzione, state attenti è falso, non credete nemmeno a una virgola di quello che vi sta dicendo, perché non so chi è, non lo conosco, io sono convinto, io sono convintissimo… che a questo qua (Scarantino, ndr) queste parole gliele hanno messe in bocca (...)”. Poi Scarantino parla delle riunioni a casa Calascibetta dove c’erano Totò Riina e altri capi mandamenti compreso Cancemi, Di Matteo Giovanni Brusca. Ma Cancemi lo smentisce su tutto il fronte e alla fine conclude così: Io voglio concludere, dottor Petralia, io sono felice, contentissimo di potere dare, come ho dato, alla Giustizia, alla parte onesta dello Stato, quello che ho dato. Voglio continuare sempre a darlo però questo confronto (con Scarantino, ndr) per me è stato offensivo, offensivo”.
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 18/07/2010
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