In questi mesi abbiamo assistito al crollo di un sistema economico troppo incentrato sulla finanza. Anzi, forse è più corretto dire che negli ultimi anni il sistema bancario ha progressivamente abbandonato quella che avrebbe dovuto essere la sua funzione principale: garantire la necessaria liquidità al sistema economico al fine di rendere possibili e agevoli gli scambi. Le banche, infatti, negli ultimi lustri hanno preferito impiegare i capitali nell’acquisto di derivati e prodotti finanziari ad alto rendimento, ma poco sicuri, piuttosto che sostenere imprenditori e artigiani. Questo modo di produrre “ricchezza”, completamente slegato dall’economia reale e fortemente condizionato da una concezione del “valore”esclusivamente basato sulla moneta, sui numeri e non, come dovrebbe essere, sulla qualità e quantità dei beni reali ottenuti, ha finito con il produrre “la bolla speculativa”che ha determinato le conseguenze che conosciamo.
Per fronteggiare la crisi, tra le altre iniziative, i governi e le autorità monetarie hanno favorito la drastica riduzione del tasso ufficiale di sconto (costo del denaro) e, di conseguenza, hanno finito per inondare il sistema economico di liquidità: si stima che la base monetaria attualmente in circolazione sia triplicata rispetto a quella degli anni passati. Lo scopo era quello di sostenere i consumi, la produzione e, quindi, i livelli occupazionali.
Tuttavia, le piccole e medie imprese manifatturiere del nostro Paese, sino al momento, non hanno tratto alcun giovamento da questa politica monetaria espansionistica, anzi continuano a lamentare notevoli difficoltà nell’accesso al credito, al punto che molte aziende sono costrette a ridimensionare l’attività se non addirittura a chiudere. Sembra quasi una beffa: le imprese manifatturiere italiane dopo aver consentito alla nostra economia di limitare i danni nella prima fase della crisi, contribuendo così a salvare lo stesso sistema bancario, sono vittime proprio della politica monetaria posta in essere da quest’ultimo.
Ma perché questa potente iniezione di liquidità non riesce a stimolare adeguatamente i consumi e sostenere la piccola e media impresa? Dove sta andando a finire questa montagna di denaro? Chi decide la sua destinazione?
Sembra che la finanza abbia iniziato a confezionare la prossima “bolla speculativa”: gli investimenti finanziari con rendimenti alti sono ripresi con maggiore intensità. Poco importa se non sono sicuri. Poco importa se si tratta di ricchezza fittizia, puramente monetaria e senza alcun riscontro in termini di benessere reale.
Nel nostro paese, al contrario di quanto è avvenuto negli USA, il management bancario è rimasto al suo posto, nonostante la discutibile gestione del risparmio e gli investimenti in “derivati”, molti dei quali provenivamo proprio d’oltreoceano. Il compito di curare la malattia è stato affidato agli stessi medici che, con interventi terapeutici discutibili, hanno contribuito alla sua diffusione!
Ora, se è vero che consolidate regole di mercato e insuperabili norme di diritto privato impediscono al Governo e alla Banca d’Italia di intervenire direttamente per imporre una discontinuità manageriale negli singoli istituti di credito, è altrettanto vero che nulla impedisce di rivedere, ad esempio, la soglia di garanzia nel rapporto fra patrimonio di base e il totale delle attività a rischio delle banche, al netto degli strumenti finanziari che possono essere emessi da queste ultime.
Attualmente, infatti, l’indice “Core Tier 1”, imposto dalla Banca d’Italia agli istituti di credito, è del 6%. Perché non rivederlo?
Se si elevasse questa soglia di garanzia si otterrebbero due importanti risultati: si frenerebbe la corsa verso gli investimenti speculativi e, contestualmente, si libererebbero risorse preziose da destinare agli artigiani e alle piccole e medie imprese manifatturiere.
Fonte:Agoravox
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