lunedì 12 luglio 2010

«Io, investigatore scomodo sospeso per aver cercato la verità sui veleni lucani»



Su Facebook è nato il gruppo "Salviamo il tenente Di Bello"


di FABIO AMENDOLARA


POTENZA - Ha scoperto che finti agricoltori lucani intascavano milioni di euro di fondi europei e che nei terreni dell’ex Liquichimica di Tito, alle porte di Potenza, c’erano tonnellate di veleni. Ha segnalato alla Procura potentina l’esistenza di strane società che avevano fiutato l’affare del ponte attrezzato. Ha sequestrato discariche abusive, multato cacciatori di frodo e indagato su un clan della camorra che cercava di mettere le mani su appalti per bonifiche ambientali. Poi, forse, ha messo il naso dove non doveva. E l’hanno sospeso dal posto di lavoro. Da un paio di mesi è senza stipendio. Il tenente della Polizia provinciale di Potenza Giuseppe Di Bello per un po’ non potrà fare l’investigatore scomodo.

Tenente, le hanno dato una punizione per aver rivelato segreti d’ufficio?
Ma quali segreti d’ufficio? L’episodio che mi ha visto interessato deve essere ancora letto nella sua interezza. In sostanza sono stato sospeso per aver garantito trasparenza rispetto alle analisi sulle acque degli invasi lucani.
Quindi non erano dati riservati?
Si trattava di una serie di analisi chimiche dei principali invasi della Basilicata, a cominciare dal Pertusillo, una diga che porta acqua anche alla Puglia e nella quale si è verificata una massiccia moria di pesci. Quando si parla di temi che riguardano la salute dei cittadini tutto deve essere fatto alla luce del sole. Io ho solo applicato ciò che è previsto dall’accordo di Aahrus e dall’articolo 32 della Costituizione. I cittadini hanno il diritto di essere a conoscenza anche solo di ipotesi di rischio ambientale. D’altra parte proprio chi mi ha denunciato, l’ex assessore all’ambiente Vincenzo Santochirico, invitò i lucani a fare autonomamente le analisi delle acque di balneazione per essere sicuri del mare di Basilicata.
Ma quelle analisi le aveva disposte la Procura della Repubblica?
Assolutamente no. Era un’indagine che stavo svolgendo di mia iniziativa, essendo io un ufficiale di polizia giudiziaria. I dati provenivano dalla direzione generale del dipartimento ambiente della Regione Basilicata e contenevano i risultati del monitoraggio, compiuto il 5 e il 18 novembre del 2009, negli invasi di Monte Cotugno, del Pertusillo, del Camastra e e di Savoia di Lucania. Tutti registravano la presenza di colibatteri fecali, sintomo del malfunzionamento di depuratori. La presenza di sostanze chimiche, inoltre, testimoniava che c’era qualcosa che non andava anche sul fronte degli scarichi industriali.
E lei ha deciso di diffondere quei dati.
Il dirigente che mi inviò il fax con i dati mi invitava a fornirne copia ai portatori di interessi diffusi, cioé ai segretari dei partiti e ai presidenti delle associazioni ambientaliste. È proprio ciò che ho fatto. Poi, per controllare se la situazione fosse migliorata rispetto al mese di novembre, durante un mio giorno di ferie ho nominato ausiliaria di polizia giudiziaria una chimica e con la mia auto siamo andati sugli invasi.
Chi ha pagato le nuove analisi?
Le ha pagate l’associazione Coscioni, Nessuno tocchi Caino e i Radicali. Il committente era Maurizio Bolognetti, segretario dei Radicali lucani.
E cosa è emerso?
Che c’erano problemi in tutte le dighe. Per il Pertusillo, in particolare, il campione analizzato superava i limiti posti dal decreto legislativo riguardante la qualità delle acque.
E invece di darle una promozione ha guadagnato una sospensione dal servizio.
Senza stipendio, con due figli e un mutuo da pagare. Ora sono impegnato in una battaglia di civiltà per l’applicazione di diritti riconosciuti a livello europeo. Perché non applicare la convenzione di Aahrus, non garantire il diritto dei cittadini al libero accesso alle informazioni in materia ambientale, comprime i diritti dell’indivi - duo. A tutto ciò si aggiunga che, prendendo in esame tutti i reati ambientali degli ultimi 20 anni, le istituzioni pubbliche lucane non si sono quasi mai costituite parte civile nei procedimenti penali.
È per questo che nasce il Comitato per la difesa della salute e dell’ambiente di cui lei è promotore?
Stiamo raccogliendo firme per la trasparenza sui reati ambientali, perché solo attraverso la conoscenza è possibile garantire il diritto alla salute.




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Su Facebook è nato il gruppo "Salviamo il tenente Di Bello"


di FABIO AMENDOLARA


POTENZA - Ha scoperto che finti agricoltori lucani intascavano milioni di euro di fondi europei e che nei terreni dell’ex Liquichimica di Tito, alle porte di Potenza, c’erano tonnellate di veleni. Ha segnalato alla Procura potentina l’esistenza di strane società che avevano fiutato l’affare del ponte attrezzato. Ha sequestrato discariche abusive, multato cacciatori di frodo e indagato su un clan della camorra che cercava di mettere le mani su appalti per bonifiche ambientali. Poi, forse, ha messo il naso dove non doveva. E l’hanno sospeso dal posto di lavoro. Da un paio di mesi è senza stipendio. Il tenente della Polizia provinciale di Potenza Giuseppe Di Bello per un po’ non potrà fare l’investigatore scomodo.

Tenente, le hanno dato una punizione per aver rivelato segreti d’ufficio?
Ma quali segreti d’ufficio? L’episodio che mi ha visto interessato deve essere ancora letto nella sua interezza. In sostanza sono stato sospeso per aver garantito trasparenza rispetto alle analisi sulle acque degli invasi lucani.
Quindi non erano dati riservati?
Si trattava di una serie di analisi chimiche dei principali invasi della Basilicata, a cominciare dal Pertusillo, una diga che porta acqua anche alla Puglia e nella quale si è verificata una massiccia moria di pesci. Quando si parla di temi che riguardano la salute dei cittadini tutto deve essere fatto alla luce del sole. Io ho solo applicato ciò che è previsto dall’accordo di Aahrus e dall’articolo 32 della Costituizione. I cittadini hanno il diritto di essere a conoscenza anche solo di ipotesi di rischio ambientale. D’altra parte proprio chi mi ha denunciato, l’ex assessore all’ambiente Vincenzo Santochirico, invitò i lucani a fare autonomamente le analisi delle acque di balneazione per essere sicuri del mare di Basilicata.
Ma quelle analisi le aveva disposte la Procura della Repubblica?
Assolutamente no. Era un’indagine che stavo svolgendo di mia iniziativa, essendo io un ufficiale di polizia giudiziaria. I dati provenivano dalla direzione generale del dipartimento ambiente della Regione Basilicata e contenevano i risultati del monitoraggio, compiuto il 5 e il 18 novembre del 2009, negli invasi di Monte Cotugno, del Pertusillo, del Camastra e e di Savoia di Lucania. Tutti registravano la presenza di colibatteri fecali, sintomo del malfunzionamento di depuratori. La presenza di sostanze chimiche, inoltre, testimoniava che c’era qualcosa che non andava anche sul fronte degli scarichi industriali.
E lei ha deciso di diffondere quei dati.
Il dirigente che mi inviò il fax con i dati mi invitava a fornirne copia ai portatori di interessi diffusi, cioé ai segretari dei partiti e ai presidenti delle associazioni ambientaliste. È proprio ciò che ho fatto. Poi, per controllare se la situazione fosse migliorata rispetto al mese di novembre, durante un mio giorno di ferie ho nominato ausiliaria di polizia giudiziaria una chimica e con la mia auto siamo andati sugli invasi.
Chi ha pagato le nuove analisi?
Le ha pagate l’associazione Coscioni, Nessuno tocchi Caino e i Radicali. Il committente era Maurizio Bolognetti, segretario dei Radicali lucani.
E cosa è emerso?
Che c’erano problemi in tutte le dighe. Per il Pertusillo, in particolare, il campione analizzato superava i limiti posti dal decreto legislativo riguardante la qualità delle acque.
E invece di darle una promozione ha guadagnato una sospensione dal servizio.
Senza stipendio, con due figli e un mutuo da pagare. Ora sono impegnato in una battaglia di civiltà per l’applicazione di diritti riconosciuti a livello europeo. Perché non applicare la convenzione di Aahrus, non garantire il diritto dei cittadini al libero accesso alle informazioni in materia ambientale, comprime i diritti dell’indivi - duo. A tutto ciò si aggiunga che, prendendo in esame tutti i reati ambientali degli ultimi 20 anni, le istituzioni pubbliche lucane non si sono quasi mai costituite parte civile nei procedimenti penali.
È per questo che nasce il Comitato per la difesa della salute e dell’ambiente di cui lei è promotore?
Stiamo raccogliendo firme per la trasparenza sui reati ambientali, perché solo attraverso la conoscenza è possibile garantire il diritto alla salute.




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