Un documento riservato del Cnel: 28 miliardi sottratti al meridione dal governo. Spesi per finanziare di tutto, dal G8 all’aeroporto Dal Molin, dalle new town aquilane al fondo per le piccole imprese
Ventotto miliardi di euro. Basterebbero per realizzare quattro volte il Ponte sullo Stretto. Sono i fondi che il governo ha strappato al Mezzogiorno negli ultimi due anni, utilizzando uno dei più importanti capitoli di spesa pubblica, il Fondo aree sottoutilizzate (Fas). 53,7 miliardi, da spendere entro il 2013, insieme al Fondo sociale europeo, i finanziamenti per recuperare i divario tra le aree ricche e quelle povere della Ue. È l’ultimo treno, dal 2013 l’Europa ridurrà i finanziamenti, per dedicarsi al sostegno dei nuovi membri dell’Est europeo. Di quel denaro ne è rimasto meno della metà. I soldi sono serviti per gli ammortizzatori sociali, per tagliare l’Ici, per finanziare le new town in Abruzzo, per il G8 e per il termovalorizzatore di Acerra, per il credito alle piccole imprese. Quasi 8 miliardi sono stati sottratti dallo Stato per ridurre il debito pubblico. Obiettivi diversi da quelli per cui i fondi erano stati stanziati: recuperare il divario tra le due Italie. Una sottrazione di risorse che la Finanziaria in fase di approvazione non ripiana. Poco importa se i dati sulla recessione dimostrano che la crisi colpisce più duramente il Sud del Nord. Nonostante le polemiche sulla Banca del Sud, le liti nel centrodestra meridionale, gli annunci di un Piano per il Sud, il Mezzogiorno d’Italia è il grande assente della manovra di finanza pubblica.
I dati provengono da una fonte insospettabile: il Cnel, consiglio nazionale dell’Economia e del lavoro, un’istituzione di origine costituzionale, composta da 120 consiglieri: economisti, rappresentanti delle imprese, del lavoro, delle associazioni. Il Cnel, lo scorso 12 novembre ha chiuso un “paper riservato”, curato da Massimo Sabatini e Piervittorio Zeno, che fa il quadro della politica di «programmazione 2007-2013 dei Fondi europei e dei Fondi Fas». Il risultato è un impietoso elenco di occasioni perdute e di tagli indiscriminati.
Il tesoretto
Nel 2007, l’allora governo Prodi vara il Quadro strategico nazionale, un corposo documento che fa il punto su tutte le risorse attivabili nelle politiche di sviluppo regionali, dal 2007 al 2013, e indica gli obiettivi prioritari da raggiungere. Si tratta, complessivamente, di 122 miliardi di euro, di cui poco più di 100 miliardi sono riservati al Mezzogiorno. La novità del piano è quella di unire, in un unico progetto, risorse di diversa origine: 25,6 miliardi provenienti dai fondi strutturali europei (Fse) destinati alle aree depresse del Paese, 27,7 miliardi di “cofinanziamento” nazionale al Fse, e 63 miliardi stanziati dalla legge finanziaria 2007 sotto il capitolo Fondo aree sottoutilizzate, di cui 53,7 destinati al Mezzogiorno. I fondi Fas sono il diretto discendente dell’intervento straordinario nel Sud, dopo la chiusura, nel 1992 della Cassa del Mezzogiorno. Introdotti nel 2002 sono destinati alle “aree depresse” e devono essere spesi per l’85 per cento nel Sud. I fondi, secondo la legge, sono assegnati ai ministeri dell’Economia e delle Attività produttive, vengono stanziati ogni anno in Finanziaria, e vanno spesi con delibere del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica). La novità, contenuta nel Quadro strategico varato dal precedente governo è quella di «condurre a coerenza logica i diversi rivoli dell’intervento pubblico in materia i politica di sviluppo, per la prima volta dalla chiusura dell’intervento straordinario del Mezzogiorno». I fondi, afferma il documento del governo, andranno spesi sulla base di 10 priorità, tra cui l’istruzione, l’innovazione, l’ambiente, le reti, l’attrattività dei sistemi urbani, l’apertura al commercio internazionale, la qualità della vita.
Insomma, ci sono tutte le condizioni per spendere in maniera proficua i fondi, con l’obiettivo di ridurre il divario fra Nord e il Sud del Paese. Evitando gli errori dei 7 anni precedenti (2001-2007), incapaci, sostiene il documento del Cnel, di modificare le “variabili di rottura”, cioè gli obiettivi minimi definiti dal piano di interventi. In un ottica federalista, tra l’altro, il Qsn assegna alle Regioni il compito di gestire il 61 per cento delle risorse, contro il 46 della precedente tranche di fondi strutturali (2000-2006). Ma arriva l’esecutivo Berlusconi, il ministro Tremonti e la Lega di governo. E tutto si ferma.
I tagli
Si inizia col decreto 112, la manovra triennale del governo, approvata nell’estate del 2008. Il provvedimento riduce la spesa dei ministeri di circa 27 miliardi. Di questi, circa un quarto proviene dalla missione Sviluppo e riequilibrio territoriale del ministero dello Sviluppo economico: 1,8 miliardi di tagli nel 2009, 2,2 miliardi nel 2010 e 3,9 miliardi del 2011. Soldi spesi per ripianare il debito pubblico: «Ancora una volta si è previsto di contenere la spesa pubblica attraverso una sensibile riduzione della spesa per investimenti pubblici nel Mezzogiorno, proprio nel momento in cui sarebbe invece stato opportuno un intervento anticiclico di rilancio», accusa il documento del Cnel. Nello stesso decreto vengono anche revocati i fondi precedenti al 2006, non ancora impegnati (circa 3 miliardi). Le risorse “liberate” vengono spese in altri capitoli: 450 milioni sono impegnati per l’emergenza rifiuti di Napoli, 934 milioni per la riqualificazione energetica degli immobili, 1,1 miliardi spariscono per il tagli dell’Ici, per ripianare i buchi di bilancio di Roma e Catania partono 640 milioni. Ancora, 281 milioni vengono spesi per rateizzare le imposte ai cittadini colpiti dal terremoto di Umbria e Abruzzo del 1997, 150 milioni vanno per «veicoli per il soccorso civile», 1,3 miliardi sono impiegati per finanziare il Servizio sanitario nazionale. In totale si tratta di 5,3 miliardi. Spesa corrente, quindi, coperta da fondi straordinari destinati allo sviluppo. In totale, i tagli alla dotazione iniziale dei fondi Fas, ammontano, secondo il Cnel, a 13,2 miliardi.
Ma non è finita. Il governo continua a utilizzare le risorse Fas come si trattasse di un conto corrente. Per legge ordinaria, al di fuori della manovra di bilancio, i fondi vengono tagliati di altri 5,2 miliardi: 900 milioni vanno all’Adeguamento dei prezzi degli appalti pubblici, 390 per la privatizzazione di Tirrenia, Fs recupera 960 milioni per i suoi investimenti, mentre Trenitalia conquista un contratto di servizio con 1,4 miliardi. L’elenco è lungo, 1 miliardo va al Fondo di garanzia per i crediti delle Pmi, 100 milioni ad Alitalia, altrettanto alla previdenza agricola, 400 milioni ai Grandi eventi di Berlusconi (il G8 della Maddalena, mai realizzato, costa da solo oltre 300 milioni). Facciamo i conti, 13 miliardi sottratti ai fondi Fas con la manovra triennale, altri 5 per legge, il totale fa 18 miliardi di euro. Dei 63 miliardi iniziali, dunque, ne restano 45, di cui 27 sono assegnati alle Regioni. Anche se i piani di spesa non sono stati ancora varati dall’esecutivo.
Pozzi senza fondo
Il governo ha ancora in mano circa 18 miliardi. Che vengono divisi in tre fondi, tre diverse casseforti. Dove il governo, per mezzo di delibere del Cipe, riesce a trovare nuove risorse da spendere a piacimento. Il primo viene assegnato al ministero dei Trasporti, e si chiama Fondo per le infrastrutture. Anche qui si raccoglie di tutto, fuorché interventi per colmare il gap infrastrutturale del Sud: 16,5 milioni vanno all’aeroporto Dal Molin, dove gli americani intendono costruire una nuova base militare, 200 milioni all’edilizia carceraria, che certo nulla ha a che vedere con lo sviluppo; 448,5 milioni sfumano poi col terremoto de L’Aquila: serviranno alla ricostruzione dell’università, all’esenzione dei pedaggi autostradali, a interventi per ferrovie e strade nelle zone colpite dal sisma. Dal fondo infrastrutture, dunque, sfumano altri 600 milioni circa. La seconda cassaforte è il Fondo sociale per l’occupazione e la formazione, assegnato al ministero del Lavoro. Vale 4 miliardi, tutti destinati agli ammortizzatori in deroga. Le risorse utili a rilanciare l’economia del Sud, dunque, finiscono per finanziare il welfare messo in tensione dalla crisi. Non solo, dei 4 miliardi, 3 vanno alle Regioni del Nord, dove è maggiore la quantità di ore di cassa integrazione in seguito alla recessione. Solo 1 miliardo viene impegnato per il Sud. Il terzo fondo viene invece gestito direttamente dalla Presidenza del consiglio. Si chiama “Fondo strategico a sostegno dell’economia reale”. Anche in questo caso molto viene speso per misure che nulla hanno a che vedere con la crescita delle zone depresse. Altri 400 milioni vanno al termovalorizzatore di Acerra, 70 vengono spesi per aumentare il turn over nelle università dal 20 al 50 per cento. E 4 miliardi sono «temporaneamente» assegnati all’Abruzzo. In totale fa 28 miliardi di euro. A questo punto, dei fondi Fas nazionali, non resta quasi niente. Ma anche i fondi regionali vengono intaccati. Solo un esempio: i tagli del governo alla scuola, hanno costretto le Regioni a intervenire, con una nuova forma di welfare destinato ai docenti, i cosiddetti Contratti di solidarietà. Solo la Campania ha impiegato per i propri docenti disoccupati ben 20 milioni. Pagati coi fondi strutturali.
Promesse non mantenute
Non solo, il documento del Cnel ricorda che, secondo il quadro strategico del 2007, «la Commissione europea e lo Stato membro verificano ex ante l’addizionalità della spesa dei fondi strutturali». In parole povere, gli Stati membri non possono utilizzare le risorse dei fondi strutturali per tagliare la spesa ordinaria. Per questo i regolamenti comunitari «impongono agli Stati membri di mantenere costante o aumentare la spesa pubblica nazionale sugli stessi temi oggetto di intervento dei fondi strutturali». Nel Qsn del 2007, dunque, il governo si impegnava a fissare la spesa pubblica per il Sud in 20,9 miliardi, contro i 18,6 miliardi degli anni precedenti. Un’altra promessa disattesa.
Fonte:Left avvenimenti
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