Castelli, uno competente ma con la lingua biforcuta, torna a minacciare che senza federalismo ci sarà la secessione, se ne vanno dall’Italia alla faccia dell’Unità. Non lo faranno perché non gli conviene, e questo aumenta la loro rabbia. Gli elmi cornuti rischiano di rivoltarsi contro chi li ha eccitati. Sarebbe una scena da fantapolitica un Bossi in fuga bersagliato di monetine.
Ma Bossi è scafato quanto folkloristico. Ha capito che in mezzo a questa crisi, il federalismo avrebbe un costo incompatibile con i sacrific imposti alla gente. Anche se lo fanno passare per il rimedio a tutti i mali. E non parliamo del Sud, dove potrebbe essere sommossa. Però al di là della tempesta attuale, tutti sanno ma nessuno ammette che appunto il federalismo costa, non fosse altro perché, invece di passare dallo Stato alle Regioni, le funzioni e gli addetti raddoppieranno. E aumenteranno le tasse, anzi già Tremonti ha detto ai Comuni di farsene una loro sulla casa. E con quello sfacelo delle Regioni poi. Mentre Berlusconi non può rischiare di perdere i voti del Sud, che bilanciano quelli che la Lega gli toglie al Nord.
In questo ambientino ci mancava il nuovo ministro al federalismo Brancher, forse fatto per metterlo al riparo da un processo. Ma che irrita tanto Bossi da fargli muggire che il federalismo sono lui e Calderoli e non si discute. Tre ministri per un federalismo non ancora nato: primo esempio di quanto costerà. E mentre non ci sarebbero neanche i soldi per emanare i regolamenti. E non solo ora che per evitare la bancarotta Tremonti ci taglia di tutto, tranne i patrimoni di chi evade le tasse e guadagnerebbe meno del suo operaio.
Mentre non c’è categoria che non scioperi. E si evadono le tasse anche perché sono troppo alte, ma sono troppo alte perché si evade. Tanto a pagare per tutti ci sono quei fessi dei lavoratori dipendenti. Il federalismo è un lusso da egoisti del Nord in un’Italia con un debito pubblico e un divario economico in cui solo lo sviluppo del Sud potrà salvare tutti. Un incompleto sviluppo del Sud che è la base e il motore della ricchezza del Nord, ecco perché nessuna fa nulla per rimediare, anzi si fa di tutto per non cambiare. Tranne dire che parassita è il Sud: primo caso mondiale in cui parassita non è chi sfrutta ma chi è sfruttato. È avvenuto grazie a 150 anni di decisioni economiche tutte imposte dal Nord. E con i soldi dati al Sud che sono sempre tornati al Nord. Completato il misfatto, con la complicità di un Sud stavolta sí parassita e infingardo. Bossi dice: su questo nostro privilegio piantiamo un federalismo in cui ciascuno si tiene il suo. Bravo.
Se proprio Bossi non avesse voluto più dare, come sostiene, i suoi soldi al Sud, avrebbe dovuto dire: sviluppiamo il Sud dopo averlo sfruttato da sempre. Ma chi ha un euro lo investe al Sud perché non rende. E non rende perché manca ciò che può farlo rendere, dalle strade veloci che colleghino con l’Europa alla pubblica amministrazione che spia fare un progetto. Ciò che appunto serve al Sud, ma potrebbe farlo diventare un pericoloso concorrente per il Nord.
Allora no, meglio il federalismo, si governino da sé e vadano per la loro strada. Così l’euro sarà sempre investito al Nord. Tanto laggiú ormai dipendono troppo dai nostri prodotti da potervi rinunciare.
I meridionali che subiscono senza muovere un dito dovrebbero sapere tutto ciò. Ma opporre qualcos’altro al federalismo. E non aspettare che comunque arrivino altri soldi come sempre, senza che ci siano mai le condizioni perché davvero si possa fare da soli: partendo però da parità di condizioni, non da 150 anni di forzato ritardo.
Invece niente, o quasi. Meno che mai dai politici, sempre timorosi di parlare di Sud come se fosse una parolaccia. O forse altrettanto interessati a non far muovere nulla per continuare a gestire quattro miserabili denari e incassare voti. Ma i quattro denari sono sempre meno, come i tagli a Regioni e Comuni dimostrano. È il momento di rottura anche di questo truffaldino equilibrio. E quando mancheranno gli asili per i bambini e l’assistenza agli anziani, non è detto che il fuoco del Sud non si accenda. Forse non piú con una di quelle fiammate cenciose alla "boia chi molla", due promesse, qualche mezza assunzione e tutto come prima. Stavolta il fuoco al Sud non sarebbe una bell’aria, altro che dieci milioni di baionette, al Nord.
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