lunedì 3 maggio 2010
Prodi, Amato, Ciampi, Draghi: la banda dei quattro
di: Uriel Wolfstep.cc
Per anni chi era euroscettico si è sentito rispondere che se non fossimo entrati nell’euro allora saremmo sicuramente andati in “insolvenza”, in anglo-italiano default. E che, proprio per esservi entrati, non soltanto non si andava in default, ma eventualmente il solo fatto di appartenere all’eurozona ci avrebbe fatto da “paracadute” in caso di crack.
Successe semplicemente che il trio Prodi, Amato, Ciampi, con il mentore Andreatta e con la ruota di scorta Draghi alla direzione del Tesoro e alla gestione della svendita delle aziende strategiche pubbliche, gestivano così male le finanze pubbliche da portare il deficit a livelli mai visti (nemmeno oggi) e a rischiare davvero il default. I nostri eroi decisero allora che per salvare il paese bisognasse entrare nell’eurozona.
Avevano portato al disastro le finanze pubbliche ma perseveravano. E poiché le bugie hanno le gambe corte, oggi le loro ricette si mostrano per ciò erano: balle.
Non é mai esistita alcuna letteratura scientifica che dimostrasse come legarsi ad un valuta forte proteggesse dall’insolvenza i bilanci dello Stato. Il caso argentino, peraltro, sembrava suggerire il contrario, nel senso che la dollarizzazione dell’economia aveva reso più duri gli effetti del crack.
Questa obiezione veniva ogni volta annullata dal solito osceno coretto univoco e unanime: “l’Europa ci salva, l’Europa ci rende stabili, l’Europa ci allunga la vita”.
No, non funziona così. L’Europa di cui cianciavano non era l’Europa vera ma l’eurocrazia nata dall’idea tedesca e francese di crearsi un mercato protetto usando gli strumenti delle quote e dei divieti per uccidere le economie di tutti gli altri paesi. Cosa che é stata fatta con l’Italia, se pensiamo all’acciaio, agli zuccheri, al latte, a tutto quanto.
Ma, si diceva, questi piccoli svantaggi si sarebbero recuperati in termini di mai visti vantaggi dell’unificazione, ovvero in stabilità e sicurezza valutaria.
Balle.
E come tutte le bugie, in poco tempo sono venute a galla. Il default greco di per sé non coinvolge cifre enormi. Se pensate che il comune di Roma ha circa 9 miliardi di euro di debiti, che quello di Milano ne ha circa altrettanti, capite che i 30 miliardi (forse 40) del debito greco non siano poi un dramma così grande come lo si vuol far credere.
Specialmente se lo paragoniamo al debito pubblico italiano: se la famosa potenza stabilizzatrice europea non riesce a tenere a bada un debituccio da amministrazione metropolitana, figuriamoci quanto ha reso stabile il debito italiano, che é “un bel pochino” più grande.
Niente. Se non siamo andati in insolvenza lo dobbiamo al fatto che nei governi che hanno seguito quelli di Prodi, Amato e Ciampi & Co. vi erano persone di qualità superiore.
Di certo non é stata una zona euro incapace di stabilizzare la Grecia a stabilizzare noi. Questa é la prima truffa della banda dei quattro: hanno spacciato la cosiddetta Unione (sic) europea per un ente stabilizzatore che, alla prova dei fatti, non è.
Il Pil della zona euro é di circa 18 trilioni di dollari. Il piano greco é di 30-40 miliardi. Meno del deficit di alcune amministrazioni locali americane. Eppure, la Ue ha fallito completamente: non si nota alcuna azione stabilizzatrice, se promesse Ue di sganciare (parte) dei soldi subito criticate dalla macchinista della locomotiva Frau Merkel.
Così ecco finire nel nulla la prima tra le balle Ue: che entrando nella Ue si sarebbe goduto di un “ombrello”, di una “garanzia” capace di dare fiducia. Non é così.
Ma andiamo oltre, perché adesso i greci si troveranno a subire un danno enorme a causa dell’entrata nell’euro.
Se la Grecia fosse stata un paese normale, avrebbe potuto fare come Dubai. Cioè rinegoziare il proprio debito pubblico, dicendo semplicemente “signori, se fate i bravi vi restituiamo il 10% di quanto avete versato. Siccome ci avete già guadagnato un sacco, state zitti e non scocciate”.
Dopodiché, svalutando la moneta, potevano praticare una politica iperinflazionista che desse respiro alle imprese locali, e che svilisse i debiti fino a farli diventare di entità ridicola.
Ma non si può, perché accettando l’euro si é commesso lo stesso errore dell’Argentina di Menem.
Legarsi ad una moneta forte, cioè, non conviene proprio ai paesi con un forte debito: lo aveva dimostrato l’Argentina con la dollarizzazione. Quando il governo si é trovato a dover svalutare la moneta, ha dovuto creare una nuova valuta. Niente di strano, sin qui: numerosi paesi lo hanno fatto, Francia compresa.
Ma essendo la vecchia valuta legata al dollaro, é successo che la gente si sia precipitata nelle banche a ritirare banconote da tenere sotto il letto. Risultato: il caos. Banche chiuse, eccetera.
Poi la soluzione è venuta con la presidenza Kirchner che ha deciso d’autorità nel 2003 di rinegoziare il debito ma alle condizioni argentine e non a quelle dell’usura delle banche d’affari o della Banca mondiale. La stessa cosa poi decisa dal governo dell’emirato del Dubai e in fase di esecuzione in Islanda.
Se oggi Grecia decidesse di uscire dall’euro accadrebbe quindi lo stesso che è accaduto all’Argentina di Menem.
Immediatamente le persone si precipiterebbero in banca per ritirare tutti i contanti che possono, da tenere sotto il letto. Poiché le banche non hanno tutti quei contanti, inevitabilmente chiuderebbero gli sportelli. E sarebbe la paralisi.
Questo é dovuto proprio all’adesione all’euro: lo spettro della vecchia Argentina aleggia sui paesi dell’euro non perché siano in difficoltà, ma perché - e proprio perché e solo perché - sono entrati nell’euro. Come l’Argentina, Atene ha commesso l’errore di legarsi ad una valuta più forte. Come l’Argentina, Atene si trova oggi nelle condizioni di dover chiudere le banche in caso di svalutazione.
Morale della storia: entrare nell’euro non é una scelta, saggia, non lo era allora, e le bugie di Prodi, Amato e Ciampi – e del mentore Andreatta e della ruota di scorta Draghi - mostrano adesso le gambe corte.
Dall’alto della loro idiota prosopopea costoro ci raccontavano come l’euro avrebbe stabilizzato la fiducia nell’Italia. Ma è un fatto: l’euro non riesce a fare qualcosa neanche per un “caso minimo”, sostenere la Grecia.
Ma non c’é modo di uscire dall’euro? Sì, per i paesi piccoli c’é. Consiste nell’introdurre la doppia circolazione della moneta, facendo in modo che le banche emettano, in liquidità, soltanto la nuova moneta, diciamo la nuova dracma per la Grecia (o la nuova lira per l’Italia).
Contemporaneamente, mano a mano che si ritira il debito in euro, sarà possibile emettere obbligazioni più leggere in nuove dracme.
Ad un certo punto, quando la massa in euro (tra debito e denaro circolante) sarà diventata molto bassa, si potrà svincolare l’economia.
Non esistono molte altre vie di uscita.
E far uscire l’Italia dall’Euro, sarebbe ancora oggi cosa assai saggia: i vantaggi dell’euro come vedete sono nulli. Invece i costi sono tutt’altro che nulli.
Ma quello che conta di più é che per prima cosa dovremo iniziare con una “cura culturale”, cioè mettere le persone di fronte alla pura verità: l’Unione monetaria europea non salva i suoi Paesi membri dal crack.
Non potrebbe salvare certo l’Italia dal default, perché alla prova dei fatti non è oggi nemmeno capace di salvare realtà debitorie molto, molto, ma molto, più piccole.
La bugia della banda dei quattro è stata adesso smascherata.
Ed è sotto gli occhi di tutti: nessun paese è al sicuro dallo stato di insolvenza perché sta nella zona euro, anzi. E nessun paese soffrirebbe meno un default per via dell’euro, è un fatto: le conseguenze si sono amplificate come nel caso argentino, proprio perché ci siamo legati ad un’altra valuta.
Questo deve far capire all’Italia ed agli italiani una cosa semplicissima: uscire dall’euro si può e si deve.
L’euro non solo non ci stabilizza, non solo non ci aiuta, non solo costa, non solo uccide le nostre esportazioni, ma in caso di problemi trasformerebbe un problema gestibile con metodi tradizionali (svalutazione, iperinflazione) in un disastro argentino.
Prima ce ne andiamo, quindi, meglio è.
Nota: tra i tanti errori il primo fu la quotazione dell’euro a 1936.27 lire. Fu lo stesso Amato ad ammettere poi una penalizzazione dell’Italia. E dire che nel 1996 aveva proposto un cambio addirittura maggiore e quindi più profittevole per il marco tedesco. Amato cercò di trattare un cambio alto per facilitare i tedeschi negli acquisti in Italia. Il problema è che non considerò che così facendo stava svalutando la lira rispetto all’euro, rendendoci molto più costosi gli acquisti fuori dall’area dell’euro.
Fonte:Rinascita
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di: Uriel Wolfstep.cc
Per anni chi era euroscettico si è sentito rispondere che se non fossimo entrati nell’euro allora saremmo sicuramente andati in “insolvenza”, in anglo-italiano default. E che, proprio per esservi entrati, non soltanto non si andava in default, ma eventualmente il solo fatto di appartenere all’eurozona ci avrebbe fatto da “paracadute” in caso di crack.
Successe semplicemente che il trio Prodi, Amato, Ciampi, con il mentore Andreatta e con la ruota di scorta Draghi alla direzione del Tesoro e alla gestione della svendita delle aziende strategiche pubbliche, gestivano così male le finanze pubbliche da portare il deficit a livelli mai visti (nemmeno oggi) e a rischiare davvero il default. I nostri eroi decisero allora che per salvare il paese bisognasse entrare nell’eurozona.
Avevano portato al disastro le finanze pubbliche ma perseveravano. E poiché le bugie hanno le gambe corte, oggi le loro ricette si mostrano per ciò erano: balle.
Non é mai esistita alcuna letteratura scientifica che dimostrasse come legarsi ad un valuta forte proteggesse dall’insolvenza i bilanci dello Stato. Il caso argentino, peraltro, sembrava suggerire il contrario, nel senso che la dollarizzazione dell’economia aveva reso più duri gli effetti del crack.
Questa obiezione veniva ogni volta annullata dal solito osceno coretto univoco e unanime: “l’Europa ci salva, l’Europa ci rende stabili, l’Europa ci allunga la vita”.
No, non funziona così. L’Europa di cui cianciavano non era l’Europa vera ma l’eurocrazia nata dall’idea tedesca e francese di crearsi un mercato protetto usando gli strumenti delle quote e dei divieti per uccidere le economie di tutti gli altri paesi. Cosa che é stata fatta con l’Italia, se pensiamo all’acciaio, agli zuccheri, al latte, a tutto quanto.
Ma, si diceva, questi piccoli svantaggi si sarebbero recuperati in termini di mai visti vantaggi dell’unificazione, ovvero in stabilità e sicurezza valutaria.
Balle.
E come tutte le bugie, in poco tempo sono venute a galla. Il default greco di per sé non coinvolge cifre enormi. Se pensate che il comune di Roma ha circa 9 miliardi di euro di debiti, che quello di Milano ne ha circa altrettanti, capite che i 30 miliardi (forse 40) del debito greco non siano poi un dramma così grande come lo si vuol far credere.
Specialmente se lo paragoniamo al debito pubblico italiano: se la famosa potenza stabilizzatrice europea non riesce a tenere a bada un debituccio da amministrazione metropolitana, figuriamoci quanto ha reso stabile il debito italiano, che é “un bel pochino” più grande.
Niente. Se non siamo andati in insolvenza lo dobbiamo al fatto che nei governi che hanno seguito quelli di Prodi, Amato e Ciampi & Co. vi erano persone di qualità superiore.
Di certo non é stata una zona euro incapace di stabilizzare la Grecia a stabilizzare noi. Questa é la prima truffa della banda dei quattro: hanno spacciato la cosiddetta Unione (sic) europea per un ente stabilizzatore che, alla prova dei fatti, non è.
Il Pil della zona euro é di circa 18 trilioni di dollari. Il piano greco é di 30-40 miliardi. Meno del deficit di alcune amministrazioni locali americane. Eppure, la Ue ha fallito completamente: non si nota alcuna azione stabilizzatrice, se promesse Ue di sganciare (parte) dei soldi subito criticate dalla macchinista della locomotiva Frau Merkel.
Così ecco finire nel nulla la prima tra le balle Ue: che entrando nella Ue si sarebbe goduto di un “ombrello”, di una “garanzia” capace di dare fiducia. Non é così.
Ma andiamo oltre, perché adesso i greci si troveranno a subire un danno enorme a causa dell’entrata nell’euro.
Se la Grecia fosse stata un paese normale, avrebbe potuto fare come Dubai. Cioè rinegoziare il proprio debito pubblico, dicendo semplicemente “signori, se fate i bravi vi restituiamo il 10% di quanto avete versato. Siccome ci avete già guadagnato un sacco, state zitti e non scocciate”.
Dopodiché, svalutando la moneta, potevano praticare una politica iperinflazionista che desse respiro alle imprese locali, e che svilisse i debiti fino a farli diventare di entità ridicola.
Ma non si può, perché accettando l’euro si é commesso lo stesso errore dell’Argentina di Menem.
Legarsi ad una moneta forte, cioè, non conviene proprio ai paesi con un forte debito: lo aveva dimostrato l’Argentina con la dollarizzazione. Quando il governo si é trovato a dover svalutare la moneta, ha dovuto creare una nuova valuta. Niente di strano, sin qui: numerosi paesi lo hanno fatto, Francia compresa.
Ma essendo la vecchia valuta legata al dollaro, é successo che la gente si sia precipitata nelle banche a ritirare banconote da tenere sotto il letto. Risultato: il caos. Banche chiuse, eccetera.
Poi la soluzione è venuta con la presidenza Kirchner che ha deciso d’autorità nel 2003 di rinegoziare il debito ma alle condizioni argentine e non a quelle dell’usura delle banche d’affari o della Banca mondiale. La stessa cosa poi decisa dal governo dell’emirato del Dubai e in fase di esecuzione in Islanda.
Se oggi Grecia decidesse di uscire dall’euro accadrebbe quindi lo stesso che è accaduto all’Argentina di Menem.
Immediatamente le persone si precipiterebbero in banca per ritirare tutti i contanti che possono, da tenere sotto il letto. Poiché le banche non hanno tutti quei contanti, inevitabilmente chiuderebbero gli sportelli. E sarebbe la paralisi.
Questo é dovuto proprio all’adesione all’euro: lo spettro della vecchia Argentina aleggia sui paesi dell’euro non perché siano in difficoltà, ma perché - e proprio perché e solo perché - sono entrati nell’euro. Come l’Argentina, Atene ha commesso l’errore di legarsi ad una valuta più forte. Come l’Argentina, Atene si trova oggi nelle condizioni di dover chiudere le banche in caso di svalutazione.
Morale della storia: entrare nell’euro non é una scelta, saggia, non lo era allora, e le bugie di Prodi, Amato e Ciampi – e del mentore Andreatta e della ruota di scorta Draghi - mostrano adesso le gambe corte.
Dall’alto della loro idiota prosopopea costoro ci raccontavano come l’euro avrebbe stabilizzato la fiducia nell’Italia. Ma è un fatto: l’euro non riesce a fare qualcosa neanche per un “caso minimo”, sostenere la Grecia.
Ma non c’é modo di uscire dall’euro? Sì, per i paesi piccoli c’é. Consiste nell’introdurre la doppia circolazione della moneta, facendo in modo che le banche emettano, in liquidità, soltanto la nuova moneta, diciamo la nuova dracma per la Grecia (o la nuova lira per l’Italia).
Contemporaneamente, mano a mano che si ritira il debito in euro, sarà possibile emettere obbligazioni più leggere in nuove dracme.
Ad un certo punto, quando la massa in euro (tra debito e denaro circolante) sarà diventata molto bassa, si potrà svincolare l’economia.
Non esistono molte altre vie di uscita.
E far uscire l’Italia dall’Euro, sarebbe ancora oggi cosa assai saggia: i vantaggi dell’euro come vedete sono nulli. Invece i costi sono tutt’altro che nulli.
Ma quello che conta di più é che per prima cosa dovremo iniziare con una “cura culturale”, cioè mettere le persone di fronte alla pura verità: l’Unione monetaria europea non salva i suoi Paesi membri dal crack.
Non potrebbe salvare certo l’Italia dal default, perché alla prova dei fatti non è oggi nemmeno capace di salvare realtà debitorie molto, molto, ma molto, più piccole.
La bugia della banda dei quattro è stata adesso smascherata.
Ed è sotto gli occhi di tutti: nessun paese è al sicuro dallo stato di insolvenza perché sta nella zona euro, anzi. E nessun paese soffrirebbe meno un default per via dell’euro, è un fatto: le conseguenze si sono amplificate come nel caso argentino, proprio perché ci siamo legati ad un’altra valuta.
Questo deve far capire all’Italia ed agli italiani una cosa semplicissima: uscire dall’euro si può e si deve.
L’euro non solo non ci stabilizza, non solo non ci aiuta, non solo costa, non solo uccide le nostre esportazioni, ma in caso di problemi trasformerebbe un problema gestibile con metodi tradizionali (svalutazione, iperinflazione) in un disastro argentino.
Prima ce ne andiamo, quindi, meglio è.
Nota: tra i tanti errori il primo fu la quotazione dell’euro a 1936.27 lire. Fu lo stesso Amato ad ammettere poi una penalizzazione dell’Italia. E dire che nel 1996 aveva proposto un cambio addirittura maggiore e quindi più profittevole per il marco tedesco. Amato cercò di trattare un cambio alto per facilitare i tedeschi negli acquisti in Italia. Il problema è che non considerò che così facendo stava svalutando la lira rispetto all’euro, rendendoci molto più costosi gli acquisti fuori dall’area dell’euro.
Fonte:Rinascita
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