domenica 18 aprile 2010

Islanda: il libero mercato ha fallito


di Andrea Perrone

Un rapporto del governo islandese sulla crisi finanziaria del Paese punta il dito contro il libero mercato e i suoi fautori.

Leader politici, banchieri e autorità per l’autoregolamentazione hanno compiuto atti di “estrema negligenza” portando il Paese al crollo finanziario del 2008. Sono le conclusioni di una relazione di 2.300 pagine, predisposta da un’apposita Commissione d’inchiesta del Parlamento islandese (Althingi), che ha criticato aspramente l’operato dell’ex primo ministro Geir Haarde (nella foto), del presidente della Banca centrale David Oddsson (fautore della privatizzazione del settore bancario nel 1990), dei ministri della Finanza e del Commercio, dei governatori della Banca centrale e dei responsabili delle autorità per la regolamentazione.

Un’altra Commissione parlamentare dovrà decidere ora l’azione legale da intraprendere nei confronti dei responsabili del disastro finanziario ed economico islandese. Caustico il giudizio sulla realtà delle cose dell’attuale primo ministro di Reykjavik, Johanna Sigurdardottir, che ha dichiarato: “Le banche private hanno fallito, il sistema di supervisione ha fallito, la politica ha fallito, l’amministrazione ha fallito, i media hanno fallito e l’ideologia di un mercato libero e non regolamentato ha fallito completamente”. La conclusione fondamentale degli estensori del rapporto è che la crescita nel settore bancario - 20 volte rispetto alle dimensioni originali nello spazio di sette anni - ha superato le capacità del Paese di coprire, di regolamentare e di monitorare il settore.
Il documento ha messo in luce che la banca centrale non ha mantenuto delle sufficienti riserve di valuta estera e il fondo di garanzia dei depositi era troppo piccolo per coprire eventuali guasti, per non parlare poi del fallimento di tutte e tre le principali banche islandesi: Glitnir, Landsbanki e Kaupthing. L’autorità di vigilanza finanziaria (FME), ha proseguito il rapporto: “Non ha fatto rispettare le disposizioni di legge che erano a sua disposizione, anche quando ha visto che le leggi venivano trasgredite”.
Gli estensori del rapporto hanno sottolineato che i più grandi azionisti delle banche erano anche i maggiori debitori dei loro istituti di credito, avendo fra l’altro un accesso troppo facile ai prestiti. A conferma di quanto dichiarato è emerso che Glitnir ha regolarmente prestato delle somme alla compagnia di investimento Baugur e le sue partecipazioni in un gruppo di compagnie dell’Alta finanza britannica. Uno dei principali attori della banca è stato anche il proprietario di Baugur. La relazione ha fatto emergere anche delle interessanti notizie sul Regno Unito, cast lungo come un criminale nei suoi tentativi di recuperare il denaro perso nel crollo della ditta Icesave banking online Landsbanki.

Il documento ha precisato infatti che, nel 2008, Landsbanki e il British Financial Services Authority (FSA) hanno tenuto lunghi colloqui sull’opportunità di ristrutturare Icesave come filiale nel Regno Unito piuttosto che come un ramo della società madre.
Se infatti Landsbanki fosse andata avanti con il cambiamento avrebbe lasciato l’Islanda fuori dai guai, visto che i depositi delle assicurazioni britanniche avrebbero potuto evitare il disastro.

La relazione ha rilevato che Landsbanki invece si è mostrata assolutamente riluttante a mettere in atto la ristrutturazione, in quanto avrebbe significato che i fondi dei clienti non sarebbero stati più disponibili per l’utilizzo da parte dello stesso istituto di credito.

La Commissione ha rilevato che i fondi presenti in talune banche sono stati ritirati da alcuni “insider”, pochi giorni prima che gli stessi istituti di credito chiudessero i battenti.

La relazione non ha fatto altro che evidenziare la giustezza delle critiche mosse dai cittadini islandesi, quando hanno chiesto un referendum - regolarmente tenuto nel mese di marzo - per opporsi a qualsiasi rimborso a britannici e olandesi dopo il fallimento di Icesave, sottolineando di non sentirsi responsabili e di non voler pagare gli errori dei banchieri.

Fonte: rinascita.eu
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di Andrea Perrone

Un rapporto del governo islandese sulla crisi finanziaria del Paese punta il dito contro il libero mercato e i suoi fautori.

Leader politici, banchieri e autorità per l’autoregolamentazione hanno compiuto atti di “estrema negligenza” portando il Paese al crollo finanziario del 2008. Sono le conclusioni di una relazione di 2.300 pagine, predisposta da un’apposita Commissione d’inchiesta del Parlamento islandese (Althingi), che ha criticato aspramente l’operato dell’ex primo ministro Geir Haarde (nella foto), del presidente della Banca centrale David Oddsson (fautore della privatizzazione del settore bancario nel 1990), dei ministri della Finanza e del Commercio, dei governatori della Banca centrale e dei responsabili delle autorità per la regolamentazione.

Un’altra Commissione parlamentare dovrà decidere ora l’azione legale da intraprendere nei confronti dei responsabili del disastro finanziario ed economico islandese. Caustico il giudizio sulla realtà delle cose dell’attuale primo ministro di Reykjavik, Johanna Sigurdardottir, che ha dichiarato: “Le banche private hanno fallito, il sistema di supervisione ha fallito, la politica ha fallito, l’amministrazione ha fallito, i media hanno fallito e l’ideologia di un mercato libero e non regolamentato ha fallito completamente”. La conclusione fondamentale degli estensori del rapporto è che la crescita nel settore bancario - 20 volte rispetto alle dimensioni originali nello spazio di sette anni - ha superato le capacità del Paese di coprire, di regolamentare e di monitorare il settore.
Il documento ha messo in luce che la banca centrale non ha mantenuto delle sufficienti riserve di valuta estera e il fondo di garanzia dei depositi era troppo piccolo per coprire eventuali guasti, per non parlare poi del fallimento di tutte e tre le principali banche islandesi: Glitnir, Landsbanki e Kaupthing. L’autorità di vigilanza finanziaria (FME), ha proseguito il rapporto: “Non ha fatto rispettare le disposizioni di legge che erano a sua disposizione, anche quando ha visto che le leggi venivano trasgredite”.
Gli estensori del rapporto hanno sottolineato che i più grandi azionisti delle banche erano anche i maggiori debitori dei loro istituti di credito, avendo fra l’altro un accesso troppo facile ai prestiti. A conferma di quanto dichiarato è emerso che Glitnir ha regolarmente prestato delle somme alla compagnia di investimento Baugur e le sue partecipazioni in un gruppo di compagnie dell’Alta finanza britannica. Uno dei principali attori della banca è stato anche il proprietario di Baugur. La relazione ha fatto emergere anche delle interessanti notizie sul Regno Unito, cast lungo come un criminale nei suoi tentativi di recuperare il denaro perso nel crollo della ditta Icesave banking online Landsbanki.

Il documento ha precisato infatti che, nel 2008, Landsbanki e il British Financial Services Authority (FSA) hanno tenuto lunghi colloqui sull’opportunità di ristrutturare Icesave come filiale nel Regno Unito piuttosto che come un ramo della società madre.
Se infatti Landsbanki fosse andata avanti con il cambiamento avrebbe lasciato l’Islanda fuori dai guai, visto che i depositi delle assicurazioni britanniche avrebbero potuto evitare il disastro.

La relazione ha rilevato che Landsbanki invece si è mostrata assolutamente riluttante a mettere in atto la ristrutturazione, in quanto avrebbe significato che i fondi dei clienti non sarebbero stati più disponibili per l’utilizzo da parte dello stesso istituto di credito.

La Commissione ha rilevato che i fondi presenti in talune banche sono stati ritirati da alcuni “insider”, pochi giorni prima che gli stessi istituti di credito chiudessero i battenti.

La relazione non ha fatto altro che evidenziare la giustezza delle critiche mosse dai cittadini islandesi, quando hanno chiesto un referendum - regolarmente tenuto nel mese di marzo - per opporsi a qualsiasi rimborso a britannici e olandesi dopo il fallimento di Icesave, sottolineando di non sentirsi responsabili e di non voler pagare gli errori dei banchieri.

Fonte: rinascita.eu

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