Un pamphlet anti risorgimento
“I savoia peggio dei briganti, hanno saccheggiato il Sud”.
di Bruno Ventavoli
Il mandato era quello di distruggere tutto. Una rappresaglia in piena regola per vendicare quaranta soldati uccisi in una pasticciata azione guerrigliera. Gli incaricati eseguirono il compito con efficienza, lasciarono in piedi solo tre case, uccisero uomini e donne(non si sa bene quanti), stuprarono nei modi più sadici. Non sono i Balcani né l’Africa delle pulizie etniche. E’ l’italia del 1861. I soldati cattivi erano i bersaglieri della patria appena unita(piemontesi). Le vittime, gli abitanti di Pontelandolfo (Benevento), i neoitaliani(Napolitani) che avevano dato man forte a un manipolo di briganti. La cronaca del massacro si può rileggere in Terroni di Pino Aprile(Piemme, pp308, euro17,50), giornalista e studioso che ha cercato di spiegare “tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero meridionali “. Ovvero un indignato pamphlet, nell’anno delle pigre celebrazioni per l’unità, sulle cose malfatte in centocinquant’anni.
La lotta al brigantaggio pullula di mattatoi simili. Per sconfiggere quei ribelli al risorgimento, un po’ mascalzoni e un po’ romantici lealisti dei Borbone, i piemontesi impiegarono più di dieci anni. E non risparmiarono mezzi militari né trovate crudeli, mentre i giornali spalleggiavano la campagna contro il “terrorismo”, invocando punizioni esemplari, come sempre accade quando le guerre si dicono “giuste”. Decine di paesi distrutti, prigione senza processo, soldati consumati dal freddo nelle carceri del nord, esecuzioni, delazioni, terrore quotidiano. Per par condicio c’è da dire che le masnade dei briganti facevano altrettanto. E’ una pagina poco edificante dell’unità d’italia, ma ampiamente studiata dagli storici, e acquisita dalla comunicazione di massa. Vancini raccontò al cinema il massacro di Bronte, gli Stormy Six cantarono in musica l’eccidio di Pontelandolfo. “Ma se mettiamo tutti i fatti insieme” dice Aprile, “ciò che colpisce è l’entità della violenza. Il nord visto da Sud è Caino. Arrivarono i sedicenti fratelli e compirono, a scopo di rapina, il massacro più imponente mai subito da queste regioni. Non è un caso che i musei del risorgimento siano quasi tutti al centro o al nord”.
Venivano in mente anche progetti bislacchi per risolvere la questione meridionale. S’almanaccò di deportare i meridionali in qualche landa sperduta del globo. Un’ideona di stato, mica un torneo di Risiko. Un ministro degli esteri consultò per anni i colleghi stranieri per ottenere luoghi consoni, tipo Patagonia, Borneo o eritrea. Alla fine, ovviamente, non se ne fece nulla. Solo agli inglesi, che avevano mandato avanzi di galera in Australia, riuscivano esperimenti del genere.
A giudicare dalle campagne militari non si può dire che i piemontesi siano partiti col piede giusto. E dall’altra parte, tra gli ex sudditi borbonici, nessuna colpa? “Certo che ce ne sono state”, dice Aprile. “Ma il problema è che il Sud ha perso le sue istituzioni, le sue industrie, la ricchezza, di colpo. E il vuoto è stato colmato da una classe dirigente di mediocri, profittatori, voltagabbana, mafiosi, spesso complici dei nuovi padroni. Il Meridione è stato spremuto di tasse, pagava di più un sasso di Matera che una villa a Como. Ha perso la propria gente. Migliaia sono emigrati, lasciando per tre-quattro generazioni una società senza padri. E poi il danno più grave: c’è stata una lobotomia culturale, il Sud è stato privato della memoria e della consapevolezza di sé”.
Da La stampa di giovedì 11 marzo pp 32
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