giovedì 22 aprile 2010
Domanda al Mezzogiorno: terroni si nasce o si diventa?
di Lino Patruno
Fossimo stati nel 1861, Pino Aprile sarebbe stato fucilato sul posto come brigante. E senza accusa, senza processo, senza condanna: come almeno altri centomila. E il suo cadavere esposto nudo per togliergli anche il pudore. Perché soltanto un brigante avrebbe potuto scrivere un libro come il suo Terroni (Piemme ed., pp. 305, euro 17,50), per il quale l’aggettivo più blando è: sconvolgente. Sì, sconvolgente. Non meno del sottotitolo: «Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero “meridionali”». Perché diventassero la parte più debole e povera del Paese. E diventassero quello che si sentono di continuo rimproverare da allora a oggi. Ma come, perché non lo erano? È come se per la prima volta scoprissimo come andarono veramente le cose. Al di là della falsa storia scritta dai vincitori. E di quella trionfale e di comodo che hanno insegnato a tutti noi a scuola. Si parla, ovviamente, dell’Unità d’Italia. E di come in quei giorni di 150 anni fa il Mezzogiorno fu messo a ferro e fuoco dalle truppe di occupazione sabaude, contrabbandando quella brutale guerra di conquista come appunto una guerra ai briganti.
«Atterrite queste popolazioni» era l’ordine. Un milione di morti su nove milioni di abitanti del Regno delle Due Sicilie. Interi paesi distrutti, deportazioni di massa, stupri, torture, orribili rappresaglie, saccheggi, stati d’assedio, pulizia etnica, fosse comuni, lager per ben dodici anni: nell’ex Jugoslavia è avvenuto recentemente molto meno. Inutile anche insistere nell’elenco, rimandiamo alla lettura del libro. Questo è però soltanto il versante militare. C’è poi quello della non meno sconvolgente spoliazione economica. Di come si spezzarono le reni al Sud, di come con l’invasione fu scientificamente ridotto in miseria il terzo Stato più industriale di allora dopo Inghilterra e Francia, appunto il Regno delle Due Sicilie. Di come furono svuotate le ricche banche meridionali (a cominciare dal Banco di Napoli), «regge, musei, case private (rubando persino le posate)». Di come furono messe in ginocchio le fabbriche per spostarne le produzioni al Nord, perché la vera Italia di allora era il Sud non il Nord. Di come il Nord diventò Nord grazie a questa colossale rapina. Di come il Sud fu fatto diventare il Sud cui ora rinfacciano il mancato sviluppo. E di come, al di là dei motivi ideali dell’Unità - che neanche il Sud più illuminato negava - per il Regno di Savoia questa unità fosse una questione di vita o di morte per evitare la bancarotta finanziaria: evitata appunto col sacco del Sud. Manco le Americhe depredate di tutto il loro oro e argento dai conquistadores spagnoli.
Ma non ci fu solo la spoliazione coloniale a colpi di cannonate e baionette. Ci fu la contemporanea spoliazione con tutte le leggi economiche adottate da quell’anno in poi dal nuovo Regno, tutte ispirate dagli interessi del Nord e disastrose per il Sud: a cominciare da una feroce tassazione e dal liberismo che dette il colpo di grazia alla pur promettente imprenditoria meridionale. Fino a impoverire talmente il Mezzogiorno da provocare l’immane emigrazione che con i Borbone non c’era mai stata, la dolorosa epopea dei disperati partiti per sempre per sopravvivere. Una tragedia anche sociale che privò il Sud di ogni residua forza, compresa la speranza. Così venti milioni di meridionali si tolsero dalle scatole. Gli italiani del Sud, come dice appunto Aprile, diventarono così meridionali. Ma il pregio del libro, al di là dello squarcio aperto su un’al - tra storia, è nella descrizione di come fu creata anche psicologicamente questa «minorità» del Sud. E non solo con quell’ineffabile lestofante di Lombroso, che dopo un paio di mesi in Calabria proclamò che tutti i meridionali nascevano briganti a causa della forma del loro cranio. Una «minorità» biologica, una razza non meno inferiore di quella di cui poi parlò il nazismo. Cui poi si aggiunse la «minorità» climatica, il Sud è inferiore perché fa più caldo e i suoi abitanti languono al sole invece di lavor are. Il Nord aggressore, commenta amaramente Aprile, non solo ora gode del vantaggio ereditato da chi venne a sterminare il Sud. Ma con una operazione di «lobotomia culturale», è accaduto ai meridionali ciò che sarebbe accaduto agli ebrei dell’Olocausto, con molti scampati che hanno cominciato a chiedersi se il male che li aveva colpiti non fosse in qualche modo meritato. La perdita di dignità che il Sud violentato ha subìto si è trasformato in vergogna, il Sud si è sentito colpevole del male che gli è stato fatto. E il Nord ha ora l’improntitudine di ergersi a giudice nei suoi confronti. Questo, sottolinea Aprile, significa essere privati della memoria. Cui questo libro tenta di rimediare.
La verità è che sparuti studiosi ci avevano già provato senza fortuna, ma chi volete che stesse a sentire questo Sud piagnone. Né la storiografia ufficiale, quella in gran parte di sinistra con la sacralità dell’Italia unita (come se qualcuno la volesse mettere in discussione) ha fatto sempre finta di niente. Gli archivi del resto restano ancora di difficile accesso tanto è spaventoso ciò che nascondono. Sbarrati addirittura quelli militari con le loro pagine di disonore. E comunque, anche le sconvolte e sconvolgenti rivelazioni di Aprile non possono passare ancora una volta inosservate. Per il Sud, che riacquisisca coscienza di ciò che è avvenuto e, più che vergogna, ne abbia indignazione e rivolta per chi lo accusa. Agendo «di conseguenza». Cosa vuol dire? Un «revanscismo uguale e opposto al razzismo nordista»? Una «comune crescita di consapevolezza»? Un «nuovo meridionalismo non solo meridionale»? Aprile teme che il peggio prevalga, anche se spera il contrario. Che cioè continui a far comodo mantenere Sud il Sud al servizio dello sviluppo del Nord. Centocinquant’anni dopo, sarebbe l’ennesi - ma campana a morte del destino di essere terroni.
Fonte:Gazzetta del Mezzogiorno
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di Lino Patruno
Fossimo stati nel 1861, Pino Aprile sarebbe stato fucilato sul posto come brigante. E senza accusa, senza processo, senza condanna: come almeno altri centomila. E il suo cadavere esposto nudo per togliergli anche il pudore. Perché soltanto un brigante avrebbe potuto scrivere un libro come il suo Terroni (Piemme ed., pp. 305, euro 17,50), per il quale l’aggettivo più blando è: sconvolgente. Sì, sconvolgente. Non meno del sottotitolo: «Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero “meridionali”». Perché diventassero la parte più debole e povera del Paese. E diventassero quello che si sentono di continuo rimproverare da allora a oggi. Ma come, perché non lo erano? È come se per la prima volta scoprissimo come andarono veramente le cose. Al di là della falsa storia scritta dai vincitori. E di quella trionfale e di comodo che hanno insegnato a tutti noi a scuola. Si parla, ovviamente, dell’Unità d’Italia. E di come in quei giorni di 150 anni fa il Mezzogiorno fu messo a ferro e fuoco dalle truppe di occupazione sabaude, contrabbandando quella brutale guerra di conquista come appunto una guerra ai briganti.
«Atterrite queste popolazioni» era l’ordine. Un milione di morti su nove milioni di abitanti del Regno delle Due Sicilie. Interi paesi distrutti, deportazioni di massa, stupri, torture, orribili rappresaglie, saccheggi, stati d’assedio, pulizia etnica, fosse comuni, lager per ben dodici anni: nell’ex Jugoslavia è avvenuto recentemente molto meno. Inutile anche insistere nell’elenco, rimandiamo alla lettura del libro. Questo è però soltanto il versante militare. C’è poi quello della non meno sconvolgente spoliazione economica. Di come si spezzarono le reni al Sud, di come con l’invasione fu scientificamente ridotto in miseria il terzo Stato più industriale di allora dopo Inghilterra e Francia, appunto il Regno delle Due Sicilie. Di come furono svuotate le ricche banche meridionali (a cominciare dal Banco di Napoli), «regge, musei, case private (rubando persino le posate)». Di come furono messe in ginocchio le fabbriche per spostarne le produzioni al Nord, perché la vera Italia di allora era il Sud non il Nord. Di come il Nord diventò Nord grazie a questa colossale rapina. Di come il Sud fu fatto diventare il Sud cui ora rinfacciano il mancato sviluppo. E di come, al di là dei motivi ideali dell’Unità - che neanche il Sud più illuminato negava - per il Regno di Savoia questa unità fosse una questione di vita o di morte per evitare la bancarotta finanziaria: evitata appunto col sacco del Sud. Manco le Americhe depredate di tutto il loro oro e argento dai conquistadores spagnoli.
Ma non ci fu solo la spoliazione coloniale a colpi di cannonate e baionette. Ci fu la contemporanea spoliazione con tutte le leggi economiche adottate da quell’anno in poi dal nuovo Regno, tutte ispirate dagli interessi del Nord e disastrose per il Sud: a cominciare da una feroce tassazione e dal liberismo che dette il colpo di grazia alla pur promettente imprenditoria meridionale. Fino a impoverire talmente il Mezzogiorno da provocare l’immane emigrazione che con i Borbone non c’era mai stata, la dolorosa epopea dei disperati partiti per sempre per sopravvivere. Una tragedia anche sociale che privò il Sud di ogni residua forza, compresa la speranza. Così venti milioni di meridionali si tolsero dalle scatole. Gli italiani del Sud, come dice appunto Aprile, diventarono così meridionali. Ma il pregio del libro, al di là dello squarcio aperto su un’al - tra storia, è nella descrizione di come fu creata anche psicologicamente questa «minorità» del Sud. E non solo con quell’ineffabile lestofante di Lombroso, che dopo un paio di mesi in Calabria proclamò che tutti i meridionali nascevano briganti a causa della forma del loro cranio. Una «minorità» biologica, una razza non meno inferiore di quella di cui poi parlò il nazismo. Cui poi si aggiunse la «minorità» climatica, il Sud è inferiore perché fa più caldo e i suoi abitanti languono al sole invece di lavor are. Il Nord aggressore, commenta amaramente Aprile, non solo ora gode del vantaggio ereditato da chi venne a sterminare il Sud. Ma con una operazione di «lobotomia culturale», è accaduto ai meridionali ciò che sarebbe accaduto agli ebrei dell’Olocausto, con molti scampati che hanno cominciato a chiedersi se il male che li aveva colpiti non fosse in qualche modo meritato. La perdita di dignità che il Sud violentato ha subìto si è trasformato in vergogna, il Sud si è sentito colpevole del male che gli è stato fatto. E il Nord ha ora l’improntitudine di ergersi a giudice nei suoi confronti. Questo, sottolinea Aprile, significa essere privati della memoria. Cui questo libro tenta di rimediare.
La verità è che sparuti studiosi ci avevano già provato senza fortuna, ma chi volete che stesse a sentire questo Sud piagnone. Né la storiografia ufficiale, quella in gran parte di sinistra con la sacralità dell’Italia unita (come se qualcuno la volesse mettere in discussione) ha fatto sempre finta di niente. Gli archivi del resto restano ancora di difficile accesso tanto è spaventoso ciò che nascondono. Sbarrati addirittura quelli militari con le loro pagine di disonore. E comunque, anche le sconvolte e sconvolgenti rivelazioni di Aprile non possono passare ancora una volta inosservate. Per il Sud, che riacquisisca coscienza di ciò che è avvenuto e, più che vergogna, ne abbia indignazione e rivolta per chi lo accusa. Agendo «di conseguenza». Cosa vuol dire? Un «revanscismo uguale e opposto al razzismo nordista»? Una «comune crescita di consapevolezza»? Un «nuovo meridionalismo non solo meridionale»? Aprile teme che il peggio prevalga, anche se spera il contrario. Che cioè continui a far comodo mantenere Sud il Sud al servizio dello sviluppo del Nord. Centocinquant’anni dopo, sarebbe l’ennesi - ma campana a morte del destino di essere terroni.
Fonte:Gazzetta del Mezzogiorno
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