lunedì 29 marzo 2010
Sud, armiamoci e partiamo
di Lino Patruno
Istruzioni per l’uso ai colleghi terroni. Cari terroni, visto che in questi ultimi tempi si è ripreso a parlare di Sud, ne sentiremo di tutte, e ovviamente quasi tutte negative per noi. Dobbiamo avere sempre una risposta. Ricordando un punto di partenza, l’Unità d’Italia del 1861, della quale l’anno prossimo saranno i 150 anni.
Andava fatta per non restare la serie B del mondo, e il Sud doveva esserci. È stato il nostro più grande successo negli ultimi 500 anni.
Ma al Sud c’era, piacesse o no, un altro Stato, col quale normalmente si fanno discorsi del genere: troviamo un accordo, stipuliamo un trattato di adesione, creiamo una confederazione, se arriviamo a una fusione brindiamo alla grande.
Invece il Sud fu conquistato con una guerra. E dopo trattato a ferro e fuoco con la scusa dei briganti. Ci spezzarono le reni, ci rapinarono di tutto a cominciare dai nostri risparmi al Banco di Napoli.
Ci bloccarono la nascente industria per far sviluppare la loro, si comprarono i proprietari terrieri parassiti tradendo la promessa delle terre ai contadini, ci dettero in Parlamento una rappresentanza ridicola tanto per salvare la faccia, ci descrissero come selvaggi da piegare con la punta delle baionette. È vero che salendo dalla Sicilia verso Napoli i Mille di Garibaldi diventarono centomila. Ed è vero che, al plebiscito, il «sì» al Nuovo Stato fu quasi unanime. Ma a Unità conseguita tradirono tutto.
Il Sud, cari terroni, dal 1861 invece di stare meglio è stato molto peggio. E da allora ha cominciato a crescere quel divario col Nord che ora ci rinfacciano dimenticando la storia. Perché, ricordiamolo sempre, la storia vera non la vuole raccontare nessuno: può sembrare reazionario e magari di destra, da nostalgici e borbonici, per carità. E la congiura del silenzio non fa aprire neanche gli archivi, meno che mai quelli militari, si dovesse scoprire che al Sud ci fu un mezzo genocidio.
Soprattutto da allora non c’è stata decisione economica che non servisse gli interessi del Nord a danno al Sud, come si fa con i colonizzati. Finché, quando a cavallo del 1880 il ritorno al protezionismo e la rottura commerciale con la Francia seminò la miseria nell’agricoltura meridionale, cominciò quella Grande Emigrazione per le Americhe che lasciò al Sud solo vecchi e vedove.
Vi dicono anche e vi diranno, cari terroni, che nonostante tutti i soldi che ci hanno dato, non abbiamo fatto un passo in avanti. Rispondiamogli che è stata una pentola bucata: ci versavano acqua per noi che però si perdeva perché si continuava a fare tutto il resto a favore del Nord. Ci davano una lira, ce ne toglievano tre. Ci dicono e ci diranno che li abbiamo utilizzati male, e in parte è vero: ma come utilizzarli è sempre stato deciso d’accordo coi governi. E in ogni caso gran parte dei soldi al Sud sono tornati al Nord: con l’acquisto dei suoi prodotti, con i lavori che veniva a fare al Sud, con i sussidi alle sue fabbriche che scendevano.
Perciò, quando oggi ci rimproverano di vivere alle loro spalle, replichiamo che da 150 anni avviene il contrario. E che se non siamo ancora sviluppati come atteso, sono loro a doversi giustificare, non noi. Certo, noi abbiamo i nostri difetti: il vizio dell’assistenza, l’incapacità di unirci, lo scarso rispetto delle regole, la rassegnazione del «Franza o Spagna purché se magna», la mancanza di dirigenti all’altezza. Ma non è possibile che nel resto d’Italia non si mettano neanche le dita nel naso. Soprattutto noi non ci rendiamo conto che non c’è elezione nazionale che non si vinca al Sud. E non lo facciamo pesare per arrivare a una svolta.
Ora, compaesani terroni, ci diranno che è il solito vittimismo piagnone. Siamo anzitutto vittime della nostra incapacità di farci valere. Siccome però lunedì sapremo chi governerà la Puglia, affidiamo al futuro governatore poche e sentite raccomandazioni.
Pretendiamo che si facciano quelle opere che rendano conveniente investire al Sud: un’incompiuta di 150 anni. Ma visto che gli incentivi alle imprese non hanno funzionato perché non serve dare un po’ a tutti, pretendiamo che tutto il Sud diventi un’area senza tasse per i profitti delle aziende, come concesso all’Irlanda e ad altri in Europa. E il governo vada a chiederlo una volta per tutte a Bruxelles non con la consueta aria da gita aziendale, se davvero ha a cuore il Sud, l’unico che può far crescere il resto del Paese. Anzi armiamoci e andiamoci pure noi. Anche se il Nord può vedersi sfuggire qualche investimento. E qualcuno, partendo magari proprio dalla Puglia, si preoccupi di mettere insieme questo Sud perché solo così, come Bossi insegna, non ci si fa ridere in faccia.
Insomma, di sicuro qualche disturbo infantile deve avere quel sociologo inglese secondo il quale noi terroni siamo minorati mentali perché più vicini all’Africa. Ma se non i minorati, non è bello neanche fare sempre i fessi.
Fonte:Gazzetta del Mezzogiorno del 27/03/2010
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di Lino Patruno
Istruzioni per l’uso ai colleghi terroni. Cari terroni, visto che in questi ultimi tempi si è ripreso a parlare di Sud, ne sentiremo di tutte, e ovviamente quasi tutte negative per noi. Dobbiamo avere sempre una risposta. Ricordando un punto di partenza, l’Unità d’Italia del 1861, della quale l’anno prossimo saranno i 150 anni.
Andava fatta per non restare la serie B del mondo, e il Sud doveva esserci. È stato il nostro più grande successo negli ultimi 500 anni.
Ma al Sud c’era, piacesse o no, un altro Stato, col quale normalmente si fanno discorsi del genere: troviamo un accordo, stipuliamo un trattato di adesione, creiamo una confederazione, se arriviamo a una fusione brindiamo alla grande.
Invece il Sud fu conquistato con una guerra. E dopo trattato a ferro e fuoco con la scusa dei briganti. Ci spezzarono le reni, ci rapinarono di tutto a cominciare dai nostri risparmi al Banco di Napoli.
Ci bloccarono la nascente industria per far sviluppare la loro, si comprarono i proprietari terrieri parassiti tradendo la promessa delle terre ai contadini, ci dettero in Parlamento una rappresentanza ridicola tanto per salvare la faccia, ci descrissero come selvaggi da piegare con la punta delle baionette. È vero che salendo dalla Sicilia verso Napoli i Mille di Garibaldi diventarono centomila. Ed è vero che, al plebiscito, il «sì» al Nuovo Stato fu quasi unanime. Ma a Unità conseguita tradirono tutto.
Il Sud, cari terroni, dal 1861 invece di stare meglio è stato molto peggio. E da allora ha cominciato a crescere quel divario col Nord che ora ci rinfacciano dimenticando la storia. Perché, ricordiamolo sempre, la storia vera non la vuole raccontare nessuno: può sembrare reazionario e magari di destra, da nostalgici e borbonici, per carità. E la congiura del silenzio non fa aprire neanche gli archivi, meno che mai quelli militari, si dovesse scoprire che al Sud ci fu un mezzo genocidio.
Soprattutto da allora non c’è stata decisione economica che non servisse gli interessi del Nord a danno al Sud, come si fa con i colonizzati. Finché, quando a cavallo del 1880 il ritorno al protezionismo e la rottura commerciale con la Francia seminò la miseria nell’agricoltura meridionale, cominciò quella Grande Emigrazione per le Americhe che lasciò al Sud solo vecchi e vedove.
Vi dicono anche e vi diranno, cari terroni, che nonostante tutti i soldi che ci hanno dato, non abbiamo fatto un passo in avanti. Rispondiamogli che è stata una pentola bucata: ci versavano acqua per noi che però si perdeva perché si continuava a fare tutto il resto a favore del Nord. Ci davano una lira, ce ne toglievano tre. Ci dicono e ci diranno che li abbiamo utilizzati male, e in parte è vero: ma come utilizzarli è sempre stato deciso d’accordo coi governi. E in ogni caso gran parte dei soldi al Sud sono tornati al Nord: con l’acquisto dei suoi prodotti, con i lavori che veniva a fare al Sud, con i sussidi alle sue fabbriche che scendevano.
Perciò, quando oggi ci rimproverano di vivere alle loro spalle, replichiamo che da 150 anni avviene il contrario. E che se non siamo ancora sviluppati come atteso, sono loro a doversi giustificare, non noi. Certo, noi abbiamo i nostri difetti: il vizio dell’assistenza, l’incapacità di unirci, lo scarso rispetto delle regole, la rassegnazione del «Franza o Spagna purché se magna», la mancanza di dirigenti all’altezza. Ma non è possibile che nel resto d’Italia non si mettano neanche le dita nel naso. Soprattutto noi non ci rendiamo conto che non c’è elezione nazionale che non si vinca al Sud. E non lo facciamo pesare per arrivare a una svolta.
Ora, compaesani terroni, ci diranno che è il solito vittimismo piagnone. Siamo anzitutto vittime della nostra incapacità di farci valere. Siccome però lunedì sapremo chi governerà la Puglia, affidiamo al futuro governatore poche e sentite raccomandazioni.
Pretendiamo che si facciano quelle opere che rendano conveniente investire al Sud: un’incompiuta di 150 anni. Ma visto che gli incentivi alle imprese non hanno funzionato perché non serve dare un po’ a tutti, pretendiamo che tutto il Sud diventi un’area senza tasse per i profitti delle aziende, come concesso all’Irlanda e ad altri in Europa. E il governo vada a chiederlo una volta per tutte a Bruxelles non con la consueta aria da gita aziendale, se davvero ha a cuore il Sud, l’unico che può far crescere il resto del Paese. Anzi armiamoci e andiamoci pure noi. Anche se il Nord può vedersi sfuggire qualche investimento. E qualcuno, partendo magari proprio dalla Puglia, si preoccupi di mettere insieme questo Sud perché solo così, come Bossi insegna, non ci si fa ridere in faccia.
Insomma, di sicuro qualche disturbo infantile deve avere quel sociologo inglese secondo il quale noi terroni siamo minorati mentali perché più vicini all’Africa. Ma se non i minorati, non è bello neanche fare sempre i fessi.
Fonte:Gazzetta del Mezzogiorno del 27/03/2010
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