domenica 14 marzo 2010

Si fa presto a dire troppe cose sul Sud


di Lino Patruno

Si fa presto a dire troppe cose sul Sud, standosene comodamente altrove. Primo esempio, la criminalità. Confindustria mette fuori tutti i suoi iscritti che pagano il pizzo. Bene, applausi, così bisogna fare. Nessuno però chiede o dice se contemporaneamente Confindustria crea una rete a protezione dei suoi iscritti che dicono «no» all’estorsione, tenendo conto che ne è vittima almeno (almeno) un imprenditore su tre. Perché, parliamoci chiaro, chi dice «no» fa benissimo, è un atto di civiltà, altrimenti non sarà più libero. Ma si prende dei rischi, dai quali deve pretendere di essere difeso. È vero che ci sono esempi edificanti di vite votate alla lotta alle mafie. E c’è chi la vita l’ha persa e ora è un simbolo per tutti. Ma è anche vero che nessuno può essere lasciato solo, perché le mafie sarebbero più forti e questo vogliono. Ed è anche vero che nessuno ha l’obbligo di essere un eroe. Perché, quando si finisce all’eroe, significa che la lotta alle mafie è mezza perduta. Si aggiunge, scandalizzandosene: in molte zone del Sud lo Stato non c’è più, lo Stato è la mafia. Che dispensa posti di lavoro, assiste chi ne ha bisogno, risolve i problemi di chi vi ricorre. È anche la mafia che ammazza chi non ci sta, che costringe a servirsi dei suoi supermercati, che impone le condizioni agli altri, che si appropria degli appalti, che a volte ha suoi uomini nei consigli comunali. Insomma che distrugge l’economia e la politica pulite. Automatico che si additi questa come un’altra vergogna del Sud. Automatico che chi ci sta è complice, quindi Sud tutto mafioso.
Ma nessuno che anche qui si chieda cosa ha fatto lo Stato per impedire che ciò avvenisse. Perché la difesa della legalità spetta allo Stato e non ai cittadini, non è fai-da-te. I cittadini devono collaborare denunciando, ma neanche in questo caso devono essere lasciati soli. E difesa della legalità non significa una pattuglia di polizia in più, o un magistrato in più, o la visita di un ministro quando scorre il sangue. Significa fiducia della gente. Significa riempire i quartieri di socialità e sicurezza. E convinzione che rivolgersi allo Stato convenga di più e faccia sentire più tranquilli.
Si fa presto a dire troppe cose sul Sud, standosene comodamente altrove. Secondo esempio, la scuola. Una ricerca della Fondazione Agnelli ha stabilito che, a parità di condizioni, uno studente meridionale ha un livello di istruzione di un anno e mezzo indietro rispetto a uno studente settentrionale. Parità di condizioni vuol dire stesso tipo di scuola e stesso anno di classe. Dovrebbe voler dire anche stesso livello culturale della famiglia, stesso sviluppo della città, stessa dotazione di libri, stessa possibilità di frequentare, stessa capacità degli insegnanti. A parte gli insegnanti, fuori discussione perché ce ne sono moltissimi meridionali anche al Nord, siamo sicuri che tutto il resto sia «a parità di condizioni»? E cosa fa lo Stato per dotare la scuola meridionale di mezzi che le facciano superare l’handicap di partenza?
Si fa presto a dire troppe cose sul Sud, standosene comodamente altrove. Terzo esempio, l’uso delle risorse nazionali. Si è parlato in questi giorni, grazie al libro del sociologo torinese Luca Ricolfi, di «sacco del Nord». Ogni anno lo Stato passerebbe 50 miliardi del Nord al Sud sempre bisognoso di assistenza. Ovvia la reazione: non potete più vivere alle nostre spalle, così se ne va alla malora anche il Nord. Ma nessuno che calcoli quanti di quei miliardi il Nord li ricavi dallo stesso Sud senza che appaia, nessuno che calcoli chi saccheggia chi. Il risparmio del Sud che le banche passano al Nord. Le commesse pubbliche acquisite dalle imprese del Nord al Sud. Le tasse pagate al Nord (dove hanno sede fiscale) dalle imprese settentrionali che fanno profitti al Sud. I prodotti del Nord venduti al Sud. Il lavoro al Nord dei meridionali diplomati o laureati al Sud (che ne ha sostenuto la spesa mentre il profitto se lo prendono al Nord). Gli incentivi che le aziende del Nord incassano venendo al Sud.
Si fa presto a dire troppe cose sul Sud, standosene comodamente altrove. Quarto esempio, lo scarso senso civico del Sud. Ma nessuno che si vada a rileggere la storia di uno Stato che, limitandoci ai soli ultimi 150 anni (l’Unità), verso il Sud è stato più nemico che amico. Essendone ricambiato. Quinto esempio, il divario fra Sud e Nord. Ma nessuno che, per le sole infrastrutture, calcoli che, mentre al Nord irrompe l’alta velocità ferroviaria, al Sud ci sono mille chilometri di ferrovia in meno di prima della seconda guerra mondiale.
Se proprio si vogliono dire cose più sensate sul Sud, si parli del livello delle classi dirigenti (non solo politiche), dei troppi sprechi, dei ritardi della pubblica amministrazione, di troppe mentalità sbagliate. Ma non glielo suggeriamo, altrimenti ne approfittano.

Fonte: LaGazzettadelMezzogiorno
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di Lino Patruno

Si fa presto a dire troppe cose sul Sud, standosene comodamente altrove. Primo esempio, la criminalità. Confindustria mette fuori tutti i suoi iscritti che pagano il pizzo. Bene, applausi, così bisogna fare. Nessuno però chiede o dice se contemporaneamente Confindustria crea una rete a protezione dei suoi iscritti che dicono «no» all’estorsione, tenendo conto che ne è vittima almeno (almeno) un imprenditore su tre. Perché, parliamoci chiaro, chi dice «no» fa benissimo, è un atto di civiltà, altrimenti non sarà più libero. Ma si prende dei rischi, dai quali deve pretendere di essere difeso. È vero che ci sono esempi edificanti di vite votate alla lotta alle mafie. E c’è chi la vita l’ha persa e ora è un simbolo per tutti. Ma è anche vero che nessuno può essere lasciato solo, perché le mafie sarebbero più forti e questo vogliono. Ed è anche vero che nessuno ha l’obbligo di essere un eroe. Perché, quando si finisce all’eroe, significa che la lotta alle mafie è mezza perduta. Si aggiunge, scandalizzandosene: in molte zone del Sud lo Stato non c’è più, lo Stato è la mafia. Che dispensa posti di lavoro, assiste chi ne ha bisogno, risolve i problemi di chi vi ricorre. È anche la mafia che ammazza chi non ci sta, che costringe a servirsi dei suoi supermercati, che impone le condizioni agli altri, che si appropria degli appalti, che a volte ha suoi uomini nei consigli comunali. Insomma che distrugge l’economia e la politica pulite. Automatico che si additi questa come un’altra vergogna del Sud. Automatico che chi ci sta è complice, quindi Sud tutto mafioso.
Ma nessuno che anche qui si chieda cosa ha fatto lo Stato per impedire che ciò avvenisse. Perché la difesa della legalità spetta allo Stato e non ai cittadini, non è fai-da-te. I cittadini devono collaborare denunciando, ma neanche in questo caso devono essere lasciati soli. E difesa della legalità non significa una pattuglia di polizia in più, o un magistrato in più, o la visita di un ministro quando scorre il sangue. Significa fiducia della gente. Significa riempire i quartieri di socialità e sicurezza. E convinzione che rivolgersi allo Stato convenga di più e faccia sentire più tranquilli.
Si fa presto a dire troppe cose sul Sud, standosene comodamente altrove. Secondo esempio, la scuola. Una ricerca della Fondazione Agnelli ha stabilito che, a parità di condizioni, uno studente meridionale ha un livello di istruzione di un anno e mezzo indietro rispetto a uno studente settentrionale. Parità di condizioni vuol dire stesso tipo di scuola e stesso anno di classe. Dovrebbe voler dire anche stesso livello culturale della famiglia, stesso sviluppo della città, stessa dotazione di libri, stessa possibilità di frequentare, stessa capacità degli insegnanti. A parte gli insegnanti, fuori discussione perché ce ne sono moltissimi meridionali anche al Nord, siamo sicuri che tutto il resto sia «a parità di condizioni»? E cosa fa lo Stato per dotare la scuola meridionale di mezzi che le facciano superare l’handicap di partenza?
Si fa presto a dire troppe cose sul Sud, standosene comodamente altrove. Terzo esempio, l’uso delle risorse nazionali. Si è parlato in questi giorni, grazie al libro del sociologo torinese Luca Ricolfi, di «sacco del Nord». Ogni anno lo Stato passerebbe 50 miliardi del Nord al Sud sempre bisognoso di assistenza. Ovvia la reazione: non potete più vivere alle nostre spalle, così se ne va alla malora anche il Nord. Ma nessuno che calcoli quanti di quei miliardi il Nord li ricavi dallo stesso Sud senza che appaia, nessuno che calcoli chi saccheggia chi. Il risparmio del Sud che le banche passano al Nord. Le commesse pubbliche acquisite dalle imprese del Nord al Sud. Le tasse pagate al Nord (dove hanno sede fiscale) dalle imprese settentrionali che fanno profitti al Sud. I prodotti del Nord venduti al Sud. Il lavoro al Nord dei meridionali diplomati o laureati al Sud (che ne ha sostenuto la spesa mentre il profitto se lo prendono al Nord). Gli incentivi che le aziende del Nord incassano venendo al Sud.
Si fa presto a dire troppe cose sul Sud, standosene comodamente altrove. Quarto esempio, lo scarso senso civico del Sud. Ma nessuno che si vada a rileggere la storia di uno Stato che, limitandoci ai soli ultimi 150 anni (l’Unità), verso il Sud è stato più nemico che amico. Essendone ricambiato. Quinto esempio, il divario fra Sud e Nord. Ma nessuno che, per le sole infrastrutture, calcoli che, mentre al Nord irrompe l’alta velocità ferroviaria, al Sud ci sono mille chilometri di ferrovia in meno di prima della seconda guerra mondiale.
Se proprio si vogliono dire cose più sensate sul Sud, si parli del livello delle classi dirigenti (non solo politiche), dei troppi sprechi, dei ritardi della pubblica amministrazione, di troppe mentalità sbagliate. Ma non glielo suggeriamo, altrimenti ne approfittano.

Fonte: LaGazzettadelMezzogiorno
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