Secondo la rilevazione INVALSI sugli apprendimenti nella Scuola elementare, il Sud è da serie B. Non è vero, ma si vuole giocare a tutti i costi a mettere il Sud contro il Nord.
Di Ciro Raia
Penso che quanti abbiano letto l’allarmante e provocatorio titolo, in prima pagina, de "La Repubblica" del 2 febbraio scorso – Scuola, i bambini del Sud in serie B- si siano chiesti, come me, quale maledizione accompagni il popolo meridionale. Non so quanti abbiano pensato di essere di fronte ad una notizia manipolata. Non è questione di campanilismo ma solo di correttezza dell’informazione. Quanto annunciato, infatti, dall’infausta titolazione (ma anche dal contenuto dell’articolo di pagina 23 del quotidiano citato), non rende ragione alla verità dei fatti e, inoltre, rischia di consegnare all’immaginario collettivo la visione di una realtà artefatta.
Ritengo, perciò, doveroso dover fare alcune considerazioni sulla questione in quanto "persona informata dei fatti", per la mia antica militanza di docente nella scuola di base, per la mia trentennale attività di formatore, per i miei quattordici anni passati (non a rigirare le dita!) all’Irre della Campania, per la mia ultima esperienza di dirigente maturata metà a Napoli e metà (sarà un caso?) a Bologna.
Non è vero che alle elementari c’è un’Italia a due velocità e che gli studenti del Sud imparano meno rispetto ai coetanei del Nord. È vero che è di moda, negli ultimi tempi, ridurre ogni cosa a test. E il test, come si sa, richiede necessariamente delle risposte, che costituiscono il fine ultimo di teorie pedagogiche, le quali, però, tentano ad escludere la capacità di saper fare le domande. La rilevazione degli apprendimenti nella scuola primaria, resa nota dall’ INVALSI (Istituto Nazionale per la VALutazione del Sistema di Istruzione e di Formazione) e relativa all’a. s. 2008/2009, richiede qualche piccolo commento.
La prova standardizzata degli apprendimenti in Italiano e in Matematica, sostenuta nel maggio 2009, dagli alunni delle seconde e delle quinte classi delle elementari, ha riguardato "solo" il 68% circa del totale delle scuole elementari. In ognuna delle scuole individuata, la prova è stata sostenuta "solo" da un campione di alunni pari al 31% della popolazione scolastica!
Se nelle seconde classi si è verificato, in italiano, una rilevazione di dati più negativi per gli alunni del sud (61,6%) rispetto a quelli del centro (66,3%) e del nord (67,3%), non altrettanto è avvenuto per la rilevazione dei dati riguardanti la matematica. In quest’ultima materia, infatti, sono state registrate delle eccellenze tra gli allievi meridionali (10,6%) non riscontrabili tra gli allievi del centro (7,5%) e del nord (7,0%).
Nelle quinte classi, invece, il gap tra gli alunni delle diverse aree geografiche nelle prove di italiano risulta assottigliarsi, mentre in quelle di matematica, quasi, si ribalta a vantaggio degli allievi delle classi del centro e del nord. Delle due, l’una: o le eccellenze in matematica (come, d’altra parte, il recupero in italiano) presuppongono il possesso di capacità logiche o le stesse capacità logiche non sono opportunamente considerate nel processo insegnamento-apprendimento. E qui subentra il discorso valutativo. Nella scuola di base (elementare e media) quale valutazione si vuole perseguire? Recenti riforme hanno reintrodotto il voto ed eliminato il giudizio: scelte politiche più che pedagogiche, scelte restauratrici più che innovatrici.
Il voto, infatti, espresso secondo una scala di valori abbastanza individuale (basta fare riferimento agli insegnanti di "manica stretta" [quando lo vedi un sette?] e a quelli di "manica larga" [ci sarà mai un quattro?] o ai principi che ciascuno ha ereditato dai propri modelli) se snellisce le operazioni degli scrutini (intendo il tempo passato a scrivere), non rende ragione del perché e del come sia avvenuto o non avvenuto l’apprendimento. Il voto tiene conto solo dell’alunno; il giudizio anche dell’ambiente e dei soggetti impegnati nel processo di insegnamento-apprendimento. Ovviamente, la scuola (di base) del voto ragiona su risposte (chiuse, aperte, a quiz, a numeri, a lettere, intelligenza prescrittiva); quella del giudizio ha bisogno del ragionamento (capacità, nessi, intelligenza creativa).
Le prove dell’INVALSI appartengono alla valutazione col voto e il ricorso alla prova standardizzata ne è la conferma. Una prova standardizzata, infatti, annulla tutte le teorie e le pratiche basate sul concetto della programmazione, sul raggiungimento degli obiettivi nelle aree cognitive e non, sulla modifica costante dei comportamenti. La prova standardizzata è un sinonimo di "a domanda risponde"; la prova differenziata, al contrario, riconosce e valuta "a partire dalle situazioni di ciascuno". E, a volerla proprio dire tutta, la prova standardizzata è fuorviante nella scuola di base, perché introduce un concetto più vicino alla scienza della misurazione (docimologia) che non a quella della valutazione.
Il 31% della popolazione scolastica sottoposta a prova INVALSI (il test) include anche gli alunni di cittadinanza diversa da quella italiana. Secondo il rapporto di restituzione dell’Istituto Nazionale di Valutazione, i dati sugli apprendimenti degli alunni stranieri sono in controtendenza rispetto a quelli fatti registrare dagli alunni italiani: più negativi al nord, meno negativi al sud. E questo solo perché, secondo l’INVALSI, gli stranieri sarebbero più numerosi al nord che non al sud! Può essere una spiegazione? Al sud ci sono moltissimi evasori scolastici sia italiani che stranieri di prima e di seconda generazione. Dunque, neanche questi ultimi dati possono essere attendibili, sia per la sottovalutazione del fenomeno "stranieri", sia per il perfido principio di voler giocare, a tutti i costi, il nord contro il sud!
Il ragionamento sottile, rispetto alla qualità dell’insegnamento oltre la linea gotica, è più o meno questo: nonostante molti stranieri (con gravi difficoltà linguistiche, che esistono dovunque!) i risultati dell’apprendimento degli alunni del nord sono migliori! Non così al sud, dove il numero degli stranieri è inferiore (sic) e la qualità degli apprendimenti è migliore! Si è in presenza di un ossimoro logico, più consono ad una mentalità padana che a una corretta visione di un "problema-scuola".
La mia attività di dirigente a Bologna mi suggerisce, poi, alcune considerazioni. Quando, due anni fa, ebbi l’incarico nella città felsinea, nonostante alcune pregresse esperienze maturate nel campo dell’insegnamento e della formazione, mi sentivo quasi inadeguato a sostenere l’impatto con una realtà, da tempo, individuata come una punta di un iceberg dell’avanguardia pedagogico-didattica. A due anni di distanza, mi sento tranquillamente di poter affermare che non è proprio così e che le eccellenze bolognesi sono in numero, più o meno pari, alle eccellenze napoletane, palermitane, milanesi o cagliaritane.
Come lo sono le punte negative esistenti in tutti i luoghi della penisola. Ciò che, secondo me, fa la differenza del "nostro" sud col centro-nord (un certo centro-nord!) è la presenza (puntuale, talora quasi "asfissiante") delle istituzioni ed il senso dello Stato, che da esse ne deriva. In tale contesto, la scuola, nel suo insieme, se ne avvantaggia, perché gode di maggiori opportunità, perché i servizi funzionano, perché respira l’aria della concertazione.
È chiaro che, in questa ottica, non sono "i bambini del Sud, in serie B"; sono, al contrario, la politica ed i politici del Sud di serie B! Sono quella politica e quei politici, che, per anni, per esempio, hanno consentito che molti appartamenti privati, adibiti a locali scolastici, fossero presi in fitto e pagati profumatamente; sono quella politica e quei politici che hanno fatto in modo che le risorse assegnate (fondi, strutture, strumenti) alle scuole meridionali fossero dissipate per il sistema clientelare che le governava (appartenenza politica o sindacale); sono quella politica e quei politici, che in combutta anche con la malavita organizzata, hanno fatto in modo che quest’ultima entrasse sin’anche nella gestione dei concorsi, nell’assegnazione delle cattedre, degli LSU, dei PON, dei POR.
È questo che determina un’Italia a due velocità! È la scuola intenzionalmente rinsecchita delle sue potenzialità e delle sue risorse; è l’istituzione volontariamente tradotta in una insolita dimensione di azienda, in cui gli alunni sono considerati alla stregua di materiali inerti: i buoni da una parte, quelli di risulta dall’altra.
La differenza della scuola, perciò, non la fanno solo il tempo pieno né solo i molteplici stimoli presenti in talune realtà. La differenza la fanno gli uomini politici, che si candidano a tradurre i tanti progetti in reali processi, con tangibili risultati (prodotti) di cambiamento.
E, quindi, non si può ragionare di nessuna "ricerca shock dell’Invalsi", che fa presagire un futuro da serie B ai bambini del sud. Sarebbe stato, forse, più corretto parlare di una ricerca funzionale ad una idea di scuola, che è prigioniera della logica dello spoil system, dei funzionari incapaci, dei politici miopi. Che, a ben considerare, sono gli unici a rischiare di giocare non nella serie cadetta ma in prima divisione.
Penso che quanti abbiano letto l’allarmante e provocatorio titolo, in prima pagina, de "La Repubblica" del 2 febbraio scorso – Scuola, i bambini del Sud in serie B- si siano chiesti, come me, quale maledizione accompagni il popolo meridionale. Non so quanti abbiano pensato di essere di fronte ad una notizia manipolata. Non è questione di campanilismo ma solo di correttezza dell’informazione. Quanto annunciato, infatti, dall’infausta titolazione (ma anche dal contenuto dell’articolo di pagina 23 del quotidiano citato), non rende ragione alla verità dei fatti e, inoltre, rischia di consegnare all’immaginario collettivo la visione di una realtà artefatta.
Ritengo, perciò, doveroso dover fare alcune considerazioni sulla questione in quanto "persona informata dei fatti", per la mia antica militanza di docente nella scuola di base, per la mia trentennale attività di formatore, per i miei quattordici anni passati (non a rigirare le dita!) all’Irre della Campania, per la mia ultima esperienza di dirigente maturata metà a Napoli e metà (sarà un caso?) a Bologna.
Non è vero che alle elementari c’è un’Italia a due velocità e che gli studenti del Sud imparano meno rispetto ai coetanei del Nord. È vero che è di moda, negli ultimi tempi, ridurre ogni cosa a test. E il test, come si sa, richiede necessariamente delle risposte, che costituiscono il fine ultimo di teorie pedagogiche, le quali, però, tentano ad escludere la capacità di saper fare le domande. La rilevazione degli apprendimenti nella scuola primaria, resa nota dall’ INVALSI (Istituto Nazionale per la VALutazione del Sistema di Istruzione e di Formazione) e relativa all’a. s. 2008/2009, richiede qualche piccolo commento.
La prova standardizzata degli apprendimenti in Italiano e in Matematica, sostenuta nel maggio 2009, dagli alunni delle seconde e delle quinte classi delle elementari, ha riguardato "solo" il 68% circa del totale delle scuole elementari. In ognuna delle scuole individuata, la prova è stata sostenuta "solo" da un campione di alunni pari al 31% della popolazione scolastica!
Se nelle seconde classi si è verificato, in italiano, una rilevazione di dati più negativi per gli alunni del sud (61,6%) rispetto a quelli del centro (66,3%) e del nord (67,3%), non altrettanto è avvenuto per la rilevazione dei dati riguardanti la matematica. In quest’ultima materia, infatti, sono state registrate delle eccellenze tra gli allievi meridionali (10,6%) non riscontrabili tra gli allievi del centro (7,5%) e del nord (7,0%).
Nelle quinte classi, invece, il gap tra gli alunni delle diverse aree geografiche nelle prove di italiano risulta assottigliarsi, mentre in quelle di matematica, quasi, si ribalta a vantaggio degli allievi delle classi del centro e del nord. Delle due, l’una: o le eccellenze in matematica (come, d’altra parte, il recupero in italiano) presuppongono il possesso di capacità logiche o le stesse capacità logiche non sono opportunamente considerate nel processo insegnamento-apprendimento. E qui subentra il discorso valutativo. Nella scuola di base (elementare e media) quale valutazione si vuole perseguire? Recenti riforme hanno reintrodotto il voto ed eliminato il giudizio: scelte politiche più che pedagogiche, scelte restauratrici più che innovatrici.
Il voto, infatti, espresso secondo una scala di valori abbastanza individuale (basta fare riferimento agli insegnanti di "manica stretta" [quando lo vedi un sette?] e a quelli di "manica larga" [ci sarà mai un quattro?] o ai principi che ciascuno ha ereditato dai propri modelli) se snellisce le operazioni degli scrutini (intendo il tempo passato a scrivere), non rende ragione del perché e del come sia avvenuto o non avvenuto l’apprendimento. Il voto tiene conto solo dell’alunno; il giudizio anche dell’ambiente e dei soggetti impegnati nel processo di insegnamento-apprendimento. Ovviamente, la scuola (di base) del voto ragiona su risposte (chiuse, aperte, a quiz, a numeri, a lettere, intelligenza prescrittiva); quella del giudizio ha bisogno del ragionamento (capacità, nessi, intelligenza creativa).
Le prove dell’INVALSI appartengono alla valutazione col voto e il ricorso alla prova standardizzata ne è la conferma. Una prova standardizzata, infatti, annulla tutte le teorie e le pratiche basate sul concetto della programmazione, sul raggiungimento degli obiettivi nelle aree cognitive e non, sulla modifica costante dei comportamenti. La prova standardizzata è un sinonimo di "a domanda risponde"; la prova differenziata, al contrario, riconosce e valuta "a partire dalle situazioni di ciascuno". E, a volerla proprio dire tutta, la prova standardizzata è fuorviante nella scuola di base, perché introduce un concetto più vicino alla scienza della misurazione (docimologia) che non a quella della valutazione.
Il 31% della popolazione scolastica sottoposta a prova INVALSI (il test) include anche gli alunni di cittadinanza diversa da quella italiana. Secondo il rapporto di restituzione dell’Istituto Nazionale di Valutazione, i dati sugli apprendimenti degli alunni stranieri sono in controtendenza rispetto a quelli fatti registrare dagli alunni italiani: più negativi al nord, meno negativi al sud. E questo solo perché, secondo l’INVALSI, gli stranieri sarebbero più numerosi al nord che non al sud! Può essere una spiegazione? Al sud ci sono moltissimi evasori scolastici sia italiani che stranieri di prima e di seconda generazione. Dunque, neanche questi ultimi dati possono essere attendibili, sia per la sottovalutazione del fenomeno "stranieri", sia per il perfido principio di voler giocare, a tutti i costi, il nord contro il sud!
Il ragionamento sottile, rispetto alla qualità dell’insegnamento oltre la linea gotica, è più o meno questo: nonostante molti stranieri (con gravi difficoltà linguistiche, che esistono dovunque!) i risultati dell’apprendimento degli alunni del nord sono migliori! Non così al sud, dove il numero degli stranieri è inferiore (sic) e la qualità degli apprendimenti è migliore! Si è in presenza di un ossimoro logico, più consono ad una mentalità padana che a una corretta visione di un "problema-scuola".
La mia attività di dirigente a Bologna mi suggerisce, poi, alcune considerazioni. Quando, due anni fa, ebbi l’incarico nella città felsinea, nonostante alcune pregresse esperienze maturate nel campo dell’insegnamento e della formazione, mi sentivo quasi inadeguato a sostenere l’impatto con una realtà, da tempo, individuata come una punta di un iceberg dell’avanguardia pedagogico-didattica. A due anni di distanza, mi sento tranquillamente di poter affermare che non è proprio così e che le eccellenze bolognesi sono in numero, più o meno pari, alle eccellenze napoletane, palermitane, milanesi o cagliaritane.
Come lo sono le punte negative esistenti in tutti i luoghi della penisola. Ciò che, secondo me, fa la differenza del "nostro" sud col centro-nord (un certo centro-nord!) è la presenza (puntuale, talora quasi "asfissiante") delle istituzioni ed il senso dello Stato, che da esse ne deriva. In tale contesto, la scuola, nel suo insieme, se ne avvantaggia, perché gode di maggiori opportunità, perché i servizi funzionano, perché respira l’aria della concertazione.
È chiaro che, in questa ottica, non sono "i bambini del Sud, in serie B"; sono, al contrario, la politica ed i politici del Sud di serie B! Sono quella politica e quei politici, che, per anni, per esempio, hanno consentito che molti appartamenti privati, adibiti a locali scolastici, fossero presi in fitto e pagati profumatamente; sono quella politica e quei politici che hanno fatto in modo che le risorse assegnate (fondi, strutture, strumenti) alle scuole meridionali fossero dissipate per il sistema clientelare che le governava (appartenenza politica o sindacale); sono quella politica e quei politici, che in combutta anche con la malavita organizzata, hanno fatto in modo che quest’ultima entrasse sin’anche nella gestione dei concorsi, nell’assegnazione delle cattedre, degli LSU, dei PON, dei POR.
È questo che determina un’Italia a due velocità! È la scuola intenzionalmente rinsecchita delle sue potenzialità e delle sue risorse; è l’istituzione volontariamente tradotta in una insolita dimensione di azienda, in cui gli alunni sono considerati alla stregua di materiali inerti: i buoni da una parte, quelli di risulta dall’altra.
La differenza della scuola, perciò, non la fanno solo il tempo pieno né solo i molteplici stimoli presenti in talune realtà. La differenza la fanno gli uomini politici, che si candidano a tradurre i tanti progetti in reali processi, con tangibili risultati (prodotti) di cambiamento.
E, quindi, non si può ragionare di nessuna "ricerca shock dell’Invalsi", che fa presagire un futuro da serie B ai bambini del sud. Sarebbe stato, forse, più corretto parlare di una ricerca funzionale ad una idea di scuola, che è prigioniera della logica dello spoil system, dei funzionari incapaci, dei politici miopi. Che, a ben considerare, sono gli unici a rischiare di giocare non nella serie cadetta ma in prima divisione.
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