L’inchiesta giudiziaria sulle toghe Tommasino e Petrucci, la candidatura del pm Nicastro e il silenzio mafioso sulla vicenda del gip Forleo"
Di Carlo Vulpio
Lo scandalo della “cricca” della Protezione civile rivela un Paese marcio “dentro”. A destra, a centro e a sinistra. Sopra e sotto. Di fronte e di profilo.
Al di là dell’accertamento dei reati e di chi li ha commessi (poiché la prima impressione è che dal grano – come cereale e come quattrini – ci sarà da separare un bel po’ di paglia), sono i dettagli non costuituenti reato a fare la differenza in questa storia. E a dirci chi siamo, cosa siamo diventati.
Non parlo di prostitute e di massaggi veri o finti, che fin quando non sono l’oggetto del reato o la merce di scambio per commetterlo, restano comportamenti privati classificabili alle voci “puttanizia e puttanicizia”, buoni soltanto per i sermoni dei moralisti d’accatto.
Parlo, per esempio, di quel “dettaglio” dei dialoghi tra imprenditori, alti funzionari pubblici e docenti universitari, ai quali si promette un lauto incarico o una pingue consulenza poiché raccomanderanno i figlioli degli amici degli amici e li faranno entrare all’università senza le “prove d’ingresso”.
Capite che cosa significa? Marci loro e marci anche i loro figli. Come gran parte del Paese, ormai.
Tutto questo avviene, per pura coincidenza, nel giorno del diciottesimo compleanno di “Mani pulite”. Si dovrebbe diventare maggiorenni a questa età. E infatti appalti e commesse e tutto quanto vengono spartiti come e meglio di prima, tutti insieme nel grande PUP, il Partito Unico del Potere, mentre il popolo bue fa il tifo sugli spalti per una partita truccata.
La ricorrenza di Tangentopoli ’92 ha dato occasione a uno dei protagonisti di allora, il magistrato Gerardo D‘Ambrosio, attualmente senatore del Pd, di affermare che la differenza tra la Tangentopoli di ieri e quella di oggi è “l’indignazione popolare”. Nel 1992 l’indignazione c’era, dice D’Ambrosio, oggi no.
Può darsi che D’Ambrosio abbia ragione. Anzi, ammettiamo pure che abbia ragione. Ma se è così, non sarebbe il caso di chiedersi perché questa indignazione non c’è più? E non sarebbe il caso, per tentare di dare una risposta, di cominciare a essere rigorosi giudici di se stessi e dei propri amici e alleati, invece di puntare il dito sempre contro “gli altri” o di cavarsela con affermazioni di principio generiche e inutili, e quindi dannose?
Se all’indignazione di ieri si è sostituita la delusione di oggi, e anzi l’assuefazione, non sarà, per caso, anche per quel doppiopesismo maledetto che affetta la magistratura, che nella Nuova Tangentopoli di questi ultimi anni si è disvelata come una delle protagoniste negative, al pari della politica e dell’economia?
Scusate l’autocitazione, ma come ho scritto in “Roba Nostra” (Il Saggiatore) due anni fa – in un momento non sospetto, quindi –, una buona parte della magistratura (facciamo la metà?) è sempre meno un potere dello Stato che bilancia gli altri due ed è sempre meno un apparato imparziale di controllo della legalità, ma svolge sempre di più un ruolo di apparato di copertura di mille nefandezze, predilige la doppia corsia della legge applicata ai nemici e interpretata per gli amici e cerca di accucciarsi sotto le ali del potere (qualunque potere) invece di tenerlo a bada per realizzare l’uguaglianza di tutti davanti alla legge.
Siccome però abbiamo detto che l’affermazione di principio non basta, facciamo qualche esempio concreto. Affinché, guardandolo bene in faccia, possiamo riconoscere quel doppiopesismo maledetto che alla fine ci ucciderà tutti, se non lo spazzeremo via in tempo.
Per esempio, Gerardo D’Ambrosio, poteva o no evitare quella coincidenza (solo una coincidenza, per carità) che sul finire dell’estate del 2007 lo portò, lui già senatore Pd, e quindi compagno di partito di D’Alema e Latorre, a farsi una passeggiata al Palazzo di Giustizia di Milano per andare a trovare i suoi ex colleghi che, coincidenza, indagavano proprio su quelle scalate?
D’Ambrosio aveva anche criticato il gip Clementina Forleo per la sua scelta (poi giudicata giusta e legittima) di far trascrivere e depositare quelle intercettazioni telefoniche che tanto preoccupavano l’attuale presidente del Copasir (il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti) D’Alema e il suo scudiero Latorre.
Era proprio necessario che una persona esperta e nota come lui andasse a trovare i pm che in quel momento indagavano su quella vicenda e ci andasse anche a pranzo (ci andò con Fusco, Perrotti, Greco, Orsi e Pedìo), mentre la Forleo veniva mazzolata dal presidente della Repubblica per la sua famosa ordinanza in cui definiva i sei protagonisti (D’Alema, Latorre e Consorte per la sinistra; Cicu, Grillo e Comincioli per la destra) “complici e non semplici tifosi” di quelle scalate illegali?
Forleo poi è stata “depotenziata” e trasferita a Cremona, le è stata tolta la scorta, recentemente è finita anche fuori strada a causa di un incidente molto sospetto causato forse da un sabotaggio alla sua auto parcheggiata nel cortile del tribunale di Cremona, ed è ancora “sub iudice” per motivi “disciplinari”.
Un processo alle streghe in cui si racconta – secondo quanto è agli atti -, che il pm Orsi, fino a quel momento entusiasta per il lavoro svolto, sarebbe rimasto molto male per la decisione presa dopo una riunione in Procura di non iscrivere D’Alema sul registro degli indagati (come invece si poteva fare, e senza alcun bisogno di autorizzazioni a procedere: cfr.Il palazzo di vetro)
Ma chi ne parla? Chi la racconta completa, questa storia? Nessuno. Perché?
La sentite voi una voce, una sola, che si levi su questi argomenti? Magari da quelli del NoBday, da Beppe Grillo, dall’Idv, da Di Pietro, da de Magistris&Alfano, da Gioacchino Genchi, autore di un libro “bomba” in cui, guarda caso, per pura coincidenza intendiamoci, queste cosine sono sparite? Perché?
La sentite voi, una voce, una sola, che si levi da destra o da manca? Dal Pd, dalla Lega Nord, dal Pdl, o dall’Udc e dalla neonata Sel? Provate, ancora una volta, a chiedervi perché.
Ora si parla di questo Giuseppe Tesauro, giudice della Corte Costituzionale, che era in società con personaggi convolti nell’inchiesta sulla Protezione civile. E va bene. Per quanto mi riguarda, un giudice che sia in società anche con un salumiere è da cacciare senza perdere un minuto di tempo.
Ma vogliamo parlare anche delle toghe sporche di quel Triangolo delle Bermuda (Salerno-Potenza-Catanzaro) di cui non parla più nemmeno chi dovrebbe farlo per dovere verso se stesso e verso tutti coloro che per questo stanno ingiustamente pagando un prezzo altissimo, e che su questo e grazie a questo ha costruito la sua resistibile ascesa politica?
Vogliamo per esempio capire come mai nessun giornale, dico nessuno, e nemmeno una tv, dedichi un po’ di spazio a un processo in corso a Potenza (e ad altri simili in altre parti d’Italia) davanti al gup Luigi Barrella, in cui qualche giorno fa si doveva decidere (l’udienza è stata rinviata a maggio causa neve) del rinvio a giudizio per reati gravissimi (corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio, peculato) dell’ex capo dei gip di Taranto, Giuseppe Tommasino e dell’ex capo della procura di Taranto, Aldo Petrucci?
Tommasino è uno che ha fatto anche il commissario nei concorsi per notaio, mentre Petrucci è attualmente capo della Procura minorile di Lecce.
Tommasino e Petrucci, secondo l’accusa dei pm Cristina Correale e Ferdinando Esposito, facevano gioco di squadra per avvisare gli indagati, svolgere indagini in maniera eccessivamente generica affinché venissero archiviate, scambiarsi favori giudiziari illegali.
Vi rendete conto di cosa stiamo parlando?
E tuttavia, il doppiopesismo maledetto prevale sempre. Nella denuncia come nella indignazione. Si denuncia e ci si indigna a giorni alterni e secondo convenienza. E alla fine lo capisce persino questo Paese marcio che l’indignazione invocata da D’Ambrosio non c’è perché non ci può essere, perché da tempo è stata sostituita con l’assuefazione, che in qualche modo è diventata una forma di cura omeopatica per sopravvivere e tirare avanti.
Ma facciamo un altro esempio. Guido Bertolaso si deve dimettere? Va bene. Ma anche no. Se vogliamo essere onesti fino in fondo, o almeno equanimi. Perché se il “criterio giudiziario” dell’avviso di garanzia vale per lui deve valere per tutti: per esempio, deve valere anche per gli indagati candidati alla presidenza delle regioni Campania (De Luca), Calabria (Loiero) e Puglia (Vendola). Ah, già, ma questi sono di centrosinistra…
Per quanto mi riguarda, questo “criterio giudiziario” non dovrebbe valere per nessuno. Aspetterei almeno una sentenza di condanna di primo grado e distinguerei tra i reati. Ma se si invoca il suddetto criterio per qualcuno sì e per qualcun altro no, allora non ci siamo, vuol dire che qualcuno sta imbrogliando. Siamo di nuovo al doppiopesismo maledetto che prima o poi ci ucciderà tutti.
Da ultimo, ma non ultimo, la candidatura alle regionali di Puglia (in questi ultimi tempi il Tacco d’Italia è il centro del mondo…), con l’IdV, del pm Lorenzo Nicastro.
Ma dico: come si fa? Nicastro è una brava persona, ma come può pensare che la sua scelta, oltre alle polemiche, non susciti sospetti pesanti?
Non solo perché Nicastro ha indagato per anni sull’ex “governatore” e attuale ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto (rinviato a giudizio per abuso d’ufficio, corruzione, finanziamento illecito ai partiti, peculato).
Non solo perché Nicastro si candida nello stesso luogo in cui fino a ieri ha svolto la funzione di pm (su questo argomento, torneremo prossimamente).
Ma soprattutto perché Nicastro stava indagando su uno dei filoni più delicati dell’inchiesta sulla Sanità, quello relativo agli accreditamenti delle strutture private. Un filone che – per ammissione dello stesso coordinatore regionale di IdV, il deputato Pierfelice Zazzera (Il regalo di Nichi a Massimo) – vede coinvolta mani e piedi la giunta regionale uscente, la compagine cioè oggetto di indagine di Nicastro e di cui da questo momento Nicastro è alleato.
Ma non è finita. L’indagine di Nicastro è passata nelle mani di Emilio Marzano – l’ex capo della Procura di Bari che ha legato il suo nome alla tragedia dei fratellini di Gravina di Puglia, Francesco e Salvatore Pappalardi -, che ora è un semplice pm, in procinto di andare in pensione (il 5 aprile, subito dopo le elezioni… ma è una coincidenza).
Resta una domanda. Ma Nicastro adesso si dimetterà dalla magistratura? No, perché io me la ricordo bene la risposta di Di Pietro ai giornalisti, il 18 marzo 2009, nella sala stampa della Camera dei Deputati (ero lì, accanto a lui e agli altri candidati “indipendenti”).
“I magistrati che si candidano – disse Antonio Di Pietro – si devono dimettere. Per noi vale questo principio. E noi applichiamo la legge morale per primi a noi stessi”. Bravo. Ma ora a Nicastro chi glielo dice?
Fonte : CarloVulpio.it
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Di Carlo Vulpio
Lo scandalo della “cricca” della Protezione civile rivela un Paese marcio “dentro”. A destra, a centro e a sinistra. Sopra e sotto. Di fronte e di profilo.
Al di là dell’accertamento dei reati e di chi li ha commessi (poiché la prima impressione è che dal grano – come cereale e come quattrini – ci sarà da separare un bel po’ di paglia), sono i dettagli non costuituenti reato a fare la differenza in questa storia. E a dirci chi siamo, cosa siamo diventati.
Non parlo di prostitute e di massaggi veri o finti, che fin quando non sono l’oggetto del reato o la merce di scambio per commetterlo, restano comportamenti privati classificabili alle voci “puttanizia e puttanicizia”, buoni soltanto per i sermoni dei moralisti d’accatto.
Parlo, per esempio, di quel “dettaglio” dei dialoghi tra imprenditori, alti funzionari pubblici e docenti universitari, ai quali si promette un lauto incarico o una pingue consulenza poiché raccomanderanno i figlioli degli amici degli amici e li faranno entrare all’università senza le “prove d’ingresso”.
Capite che cosa significa? Marci loro e marci anche i loro figli. Come gran parte del Paese, ormai.
Tutto questo avviene, per pura coincidenza, nel giorno del diciottesimo compleanno di “Mani pulite”. Si dovrebbe diventare maggiorenni a questa età. E infatti appalti e commesse e tutto quanto vengono spartiti come e meglio di prima, tutti insieme nel grande PUP, il Partito Unico del Potere, mentre il popolo bue fa il tifo sugli spalti per una partita truccata.
La ricorrenza di Tangentopoli ’92 ha dato occasione a uno dei protagonisti di allora, il magistrato Gerardo D‘Ambrosio, attualmente senatore del Pd, di affermare che la differenza tra la Tangentopoli di ieri e quella di oggi è “l’indignazione popolare”. Nel 1992 l’indignazione c’era, dice D’Ambrosio, oggi no.
Può darsi che D’Ambrosio abbia ragione. Anzi, ammettiamo pure che abbia ragione. Ma se è così, non sarebbe il caso di chiedersi perché questa indignazione non c’è più? E non sarebbe il caso, per tentare di dare una risposta, di cominciare a essere rigorosi giudici di se stessi e dei propri amici e alleati, invece di puntare il dito sempre contro “gli altri” o di cavarsela con affermazioni di principio generiche e inutili, e quindi dannose?
Se all’indignazione di ieri si è sostituita la delusione di oggi, e anzi l’assuefazione, non sarà, per caso, anche per quel doppiopesismo maledetto che affetta la magistratura, che nella Nuova Tangentopoli di questi ultimi anni si è disvelata come una delle protagoniste negative, al pari della politica e dell’economia?
Scusate l’autocitazione, ma come ho scritto in “Roba Nostra” (Il Saggiatore) due anni fa – in un momento non sospetto, quindi –, una buona parte della magistratura (facciamo la metà?) è sempre meno un potere dello Stato che bilancia gli altri due ed è sempre meno un apparato imparziale di controllo della legalità, ma svolge sempre di più un ruolo di apparato di copertura di mille nefandezze, predilige la doppia corsia della legge applicata ai nemici e interpretata per gli amici e cerca di accucciarsi sotto le ali del potere (qualunque potere) invece di tenerlo a bada per realizzare l’uguaglianza di tutti davanti alla legge.
Siccome però abbiamo detto che l’affermazione di principio non basta, facciamo qualche esempio concreto. Affinché, guardandolo bene in faccia, possiamo riconoscere quel doppiopesismo maledetto che alla fine ci ucciderà tutti, se non lo spazzeremo via in tempo.
Per esempio, Gerardo D’Ambrosio, poteva o no evitare quella coincidenza (solo una coincidenza, per carità) che sul finire dell’estate del 2007 lo portò, lui già senatore Pd, e quindi compagno di partito di D’Alema e Latorre, a farsi una passeggiata al Palazzo di Giustizia di Milano per andare a trovare i suoi ex colleghi che, coincidenza, indagavano proprio su quelle scalate?
D’Ambrosio aveva anche criticato il gip Clementina Forleo per la sua scelta (poi giudicata giusta e legittima) di far trascrivere e depositare quelle intercettazioni telefoniche che tanto preoccupavano l’attuale presidente del Copasir (il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti) D’Alema e il suo scudiero Latorre.
Era proprio necessario che una persona esperta e nota come lui andasse a trovare i pm che in quel momento indagavano su quella vicenda e ci andasse anche a pranzo (ci andò con Fusco, Perrotti, Greco, Orsi e Pedìo), mentre la Forleo veniva mazzolata dal presidente della Repubblica per la sua famosa ordinanza in cui definiva i sei protagonisti (D’Alema, Latorre e Consorte per la sinistra; Cicu, Grillo e Comincioli per la destra) “complici e non semplici tifosi” di quelle scalate illegali?
Forleo poi è stata “depotenziata” e trasferita a Cremona, le è stata tolta la scorta, recentemente è finita anche fuori strada a causa di un incidente molto sospetto causato forse da un sabotaggio alla sua auto parcheggiata nel cortile del tribunale di Cremona, ed è ancora “sub iudice” per motivi “disciplinari”.
Un processo alle streghe in cui si racconta – secondo quanto è agli atti -, che il pm Orsi, fino a quel momento entusiasta per il lavoro svolto, sarebbe rimasto molto male per la decisione presa dopo una riunione in Procura di non iscrivere D’Alema sul registro degli indagati (come invece si poteva fare, e senza alcun bisogno di autorizzazioni a procedere: cfr.Il palazzo di vetro)
Ma chi ne parla? Chi la racconta completa, questa storia? Nessuno. Perché?
La sentite voi una voce, una sola, che si levi su questi argomenti? Magari da quelli del NoBday, da Beppe Grillo, dall’Idv, da Di Pietro, da de Magistris&Alfano, da Gioacchino Genchi, autore di un libro “bomba” in cui, guarda caso, per pura coincidenza intendiamoci, queste cosine sono sparite? Perché?
La sentite voi, una voce, una sola, che si levi da destra o da manca? Dal Pd, dalla Lega Nord, dal Pdl, o dall’Udc e dalla neonata Sel? Provate, ancora una volta, a chiedervi perché.
Ora si parla di questo Giuseppe Tesauro, giudice della Corte Costituzionale, che era in società con personaggi convolti nell’inchiesta sulla Protezione civile. E va bene. Per quanto mi riguarda, un giudice che sia in società anche con un salumiere è da cacciare senza perdere un minuto di tempo.
Ma vogliamo parlare anche delle toghe sporche di quel Triangolo delle Bermuda (Salerno-Potenza-Catanzaro) di cui non parla più nemmeno chi dovrebbe farlo per dovere verso se stesso e verso tutti coloro che per questo stanno ingiustamente pagando un prezzo altissimo, e che su questo e grazie a questo ha costruito la sua resistibile ascesa politica?
Vogliamo per esempio capire come mai nessun giornale, dico nessuno, e nemmeno una tv, dedichi un po’ di spazio a un processo in corso a Potenza (e ad altri simili in altre parti d’Italia) davanti al gup Luigi Barrella, in cui qualche giorno fa si doveva decidere (l’udienza è stata rinviata a maggio causa neve) del rinvio a giudizio per reati gravissimi (corruzione, rivelazione di segreto d’ufficio, peculato) dell’ex capo dei gip di Taranto, Giuseppe Tommasino e dell’ex capo della procura di Taranto, Aldo Petrucci?
Tommasino è uno che ha fatto anche il commissario nei concorsi per notaio, mentre Petrucci è attualmente capo della Procura minorile di Lecce.
Tommasino e Petrucci, secondo l’accusa dei pm Cristina Correale e Ferdinando Esposito, facevano gioco di squadra per avvisare gli indagati, svolgere indagini in maniera eccessivamente generica affinché venissero archiviate, scambiarsi favori giudiziari illegali.
Vi rendete conto di cosa stiamo parlando?
E tuttavia, il doppiopesismo maledetto prevale sempre. Nella denuncia come nella indignazione. Si denuncia e ci si indigna a giorni alterni e secondo convenienza. E alla fine lo capisce persino questo Paese marcio che l’indignazione invocata da D’Ambrosio non c’è perché non ci può essere, perché da tempo è stata sostituita con l’assuefazione, che in qualche modo è diventata una forma di cura omeopatica per sopravvivere e tirare avanti.
Ma facciamo un altro esempio. Guido Bertolaso si deve dimettere? Va bene. Ma anche no. Se vogliamo essere onesti fino in fondo, o almeno equanimi. Perché se il “criterio giudiziario” dell’avviso di garanzia vale per lui deve valere per tutti: per esempio, deve valere anche per gli indagati candidati alla presidenza delle regioni Campania (De Luca), Calabria (Loiero) e Puglia (Vendola). Ah, già, ma questi sono di centrosinistra…
Per quanto mi riguarda, questo “criterio giudiziario” non dovrebbe valere per nessuno. Aspetterei almeno una sentenza di condanna di primo grado e distinguerei tra i reati. Ma se si invoca il suddetto criterio per qualcuno sì e per qualcun altro no, allora non ci siamo, vuol dire che qualcuno sta imbrogliando. Siamo di nuovo al doppiopesismo maledetto che prima o poi ci ucciderà tutti.
Da ultimo, ma non ultimo, la candidatura alle regionali di Puglia (in questi ultimi tempi il Tacco d’Italia è il centro del mondo…), con l’IdV, del pm Lorenzo Nicastro.
Ma dico: come si fa? Nicastro è una brava persona, ma come può pensare che la sua scelta, oltre alle polemiche, non susciti sospetti pesanti?
Non solo perché Nicastro ha indagato per anni sull’ex “governatore” e attuale ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto (rinviato a giudizio per abuso d’ufficio, corruzione, finanziamento illecito ai partiti, peculato).
Non solo perché Nicastro si candida nello stesso luogo in cui fino a ieri ha svolto la funzione di pm (su questo argomento, torneremo prossimamente).
Ma soprattutto perché Nicastro stava indagando su uno dei filoni più delicati dell’inchiesta sulla Sanità, quello relativo agli accreditamenti delle strutture private. Un filone che – per ammissione dello stesso coordinatore regionale di IdV, il deputato Pierfelice Zazzera (Il regalo di Nichi a Massimo) – vede coinvolta mani e piedi la giunta regionale uscente, la compagine cioè oggetto di indagine di Nicastro e di cui da questo momento Nicastro è alleato.
Ma non è finita. L’indagine di Nicastro è passata nelle mani di Emilio Marzano – l’ex capo della Procura di Bari che ha legato il suo nome alla tragedia dei fratellini di Gravina di Puglia, Francesco e Salvatore Pappalardi -, che ora è un semplice pm, in procinto di andare in pensione (il 5 aprile, subito dopo le elezioni… ma è una coincidenza).
Resta una domanda. Ma Nicastro adesso si dimetterà dalla magistratura? No, perché io me la ricordo bene la risposta di Di Pietro ai giornalisti, il 18 marzo 2009, nella sala stampa della Camera dei Deputati (ero lì, accanto a lui e agli altri candidati “indipendenti”).
“I magistrati che si candidano – disse Antonio Di Pietro – si devono dimettere. Per noi vale questo principio. E noi applichiamo la legge morale per primi a noi stessi”. Bravo. Ma ora a Nicastro chi glielo dice?
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