sabato 6 febbraio 2010
La secessione dal Nord la faccia pure il Sud
di Lino Patruno
La storia sta così: che a furia di sentirci minacciare da Bossi la secessione, di andarsene per conto suo, di un’Italia da spaccare in due, diciamo che la secessione la vuole il Sud. È il Sud che vuole andarsene per conto suo, è il Sud che vuole staccarsi dal Nord. Non per riesumare un nuovo Regno delle due Sicilie, non per rispolverare Franceschielli e Borbone, ma per dimostrare come, senza il Sud, il Nord non va da nessuna parte. La questione è che il divario ostinato e inossidabile fra le due parti del Paese, quello indifferente a ogni presunto sforzo e a ogni sedicente politica per ridurlo se non eliminarlo, insomma il cosiddetto «dualismo», al di là dell’ipocrisia e della retorica conviene purtroppo, oltre che al Nord, anche al peggiore Sud. Per questo non si è mai riusciti a cancellarlo, per questo il Nord abbaia con la secessione ma non la farà mai. Per questo la può fare il Sud. Che comunque non starebbe peggio, anzi. Prima di rischiare la camicia di forza per manifesto delirio, è bene spiegare. Il divario significa anzitutto questo: che finché c’è, finché passato il Rubicone si entrerà in un’altra Italia, continueranno ad arrivare al Sud i soliti tanti soldi i quali poi, non meno del solito, andranno soprattutto al Nord. Ciò che è avvenuto per quasi tutta la Cassa per il Mezzogiorno, ciò che avviene ancora, ciò che avverrà ancora. Soldi che il Nord continuerebbe a cumulare con quelli che gli arrivano per conto suo. E che, al tempo della Cassa e dopo, sono stati comunque molti di più di quelli, pur così strombazzati e vituperati, passati al Sud. E vogliamo che Bossi abbai alla sua Padania, minacci di andarsene e se ne vada davvero? Fosse fesso.
Lasciamo anche stare la verità, lampante come il sole, che il Sud è un mercato cui nessuno rinuncerebbe neanche sotto tortura. Di tanto in tanto, quando la Lega la fa proprio fuori del vaso, qualcuno al Sud se ne ricorda e sbraita di non comprare più prodotti del Nord, ultimo il proposto sciopero del parmigiano reggiano che ha fatto venire un coccolone al ministro dell’agricoltura, il leghista Zaia.
Ma non è questione di formaggi. Il piatto forte è la spesa dello Stato al Sud. Quella spesa attesa spasmodicamente sia dalle grandi aziende settentrionali senza concorrenza al Sud dove le aziende sono tutte nane, sia dall’apparato politico-burocratico del Sud ancora in grado di farla arrivare, come in un indegno passato, più dove serve ad ottenere voti che dove servirebbe a creare sviluppo. In poche parole la continua riedizione di quel patto scellerato fra i poteri forti economici del Nord e i politici collaborazionisti del Sud.
Per questo in Italia tutti condannano lo statalismo, tutti si riempiono la bocca di concorrenza e di mercato, e tutti fanno il contrario. A cominciare, sia chiaro, dalla Lega Nord, che pure contro Roma Ladrona ne ha dette di cotte e di crude. E che, siccome è ingorda, quando ha cominciato a vedere che non le bastavano mai, ha imposto il federalismo fiscale, meno Stato e ciascuno si tenga il suo. Senza che però il Nord rinunci allo statalismo delle casse integrazioni, delle provvidenze alle aziende, delle ristrutturazioni pagate anche con i soldi del Sud: soldi che però non entrano mai in nessuna contabilità.
Ha ben confutato domenica scorsa Giuseppe De Tomaso la tesi del libro «Il sacco del Nord» di Luca Ricolfi, secondo cui ogni anno cinquanta miliardi di euro del Nord sono dirottati al Sud. Tesi scorretta se non si calcola anche quanto di quei presunti 50 miliardi ritorni al Nord come spesa dei consumatori del Sud. E quanto contemporaneamente lo Stato passi al Nord anche grazie alle tasse pagate dal Sud. Senza contare la spesa di aziende di interesse pubblico come Ferrovie, Anas, Autostrade, Enel, che non si sa com’è ma hanno sempre un debole per il Nord. E senza contare i ricchi incentivi per le aziende del Nord che producono al Sud. E le tasse che le aziende del Nord scese al Sud pagano invece al Nord dove hanno la sede legale. Insomma senza contare troppe cose.
Perciò il paradosso dello statalismo all’italiana è che fa crescere di più chi è già cresciuto, non il contrario. Perché senza divario la partita di giro si interrompe. Ecco perché il divario deve rimanere. Ecco perché i politici meridionali non si battono come dovrebbero, per non perdere la gestione clientelare di quei trenta denari. Ecco perché, se continua così, la secessione la dovrebbe fare il Sud. Che continuerebbe anche a ricevere i fondi europei (sciaguratamente un po’ sprecandoli, e non solo quelli europei). Ma siccome la secessione la devono fare i politici, non la faranno. Complici in questo del Nord. E alle spalle di tanto Sud ignaro e di buona volontà che meriterebbe almeno più rispetto.
Fonte:Gazzetta del Mezzogiorno del 5/02/2010
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di Lino Patruno
La storia sta così: che a furia di sentirci minacciare da Bossi la secessione, di andarsene per conto suo, di un’Italia da spaccare in due, diciamo che la secessione la vuole il Sud. È il Sud che vuole andarsene per conto suo, è il Sud che vuole staccarsi dal Nord. Non per riesumare un nuovo Regno delle due Sicilie, non per rispolverare Franceschielli e Borbone, ma per dimostrare come, senza il Sud, il Nord non va da nessuna parte. La questione è che il divario ostinato e inossidabile fra le due parti del Paese, quello indifferente a ogni presunto sforzo e a ogni sedicente politica per ridurlo se non eliminarlo, insomma il cosiddetto «dualismo», al di là dell’ipocrisia e della retorica conviene purtroppo, oltre che al Nord, anche al peggiore Sud. Per questo non si è mai riusciti a cancellarlo, per questo il Nord abbaia con la secessione ma non la farà mai. Per questo la può fare il Sud. Che comunque non starebbe peggio, anzi. Prima di rischiare la camicia di forza per manifesto delirio, è bene spiegare. Il divario significa anzitutto questo: che finché c’è, finché passato il Rubicone si entrerà in un’altra Italia, continueranno ad arrivare al Sud i soliti tanti soldi i quali poi, non meno del solito, andranno soprattutto al Nord. Ciò che è avvenuto per quasi tutta la Cassa per il Mezzogiorno, ciò che avviene ancora, ciò che avverrà ancora. Soldi che il Nord continuerebbe a cumulare con quelli che gli arrivano per conto suo. E che, al tempo della Cassa e dopo, sono stati comunque molti di più di quelli, pur così strombazzati e vituperati, passati al Sud. E vogliamo che Bossi abbai alla sua Padania, minacci di andarsene e se ne vada davvero? Fosse fesso.
Lasciamo anche stare la verità, lampante come il sole, che il Sud è un mercato cui nessuno rinuncerebbe neanche sotto tortura. Di tanto in tanto, quando la Lega la fa proprio fuori del vaso, qualcuno al Sud se ne ricorda e sbraita di non comprare più prodotti del Nord, ultimo il proposto sciopero del parmigiano reggiano che ha fatto venire un coccolone al ministro dell’agricoltura, il leghista Zaia.
Ma non è questione di formaggi. Il piatto forte è la spesa dello Stato al Sud. Quella spesa attesa spasmodicamente sia dalle grandi aziende settentrionali senza concorrenza al Sud dove le aziende sono tutte nane, sia dall’apparato politico-burocratico del Sud ancora in grado di farla arrivare, come in un indegno passato, più dove serve ad ottenere voti che dove servirebbe a creare sviluppo. In poche parole la continua riedizione di quel patto scellerato fra i poteri forti economici del Nord e i politici collaborazionisti del Sud.
Per questo in Italia tutti condannano lo statalismo, tutti si riempiono la bocca di concorrenza e di mercato, e tutti fanno il contrario. A cominciare, sia chiaro, dalla Lega Nord, che pure contro Roma Ladrona ne ha dette di cotte e di crude. E che, siccome è ingorda, quando ha cominciato a vedere che non le bastavano mai, ha imposto il federalismo fiscale, meno Stato e ciascuno si tenga il suo. Senza che però il Nord rinunci allo statalismo delle casse integrazioni, delle provvidenze alle aziende, delle ristrutturazioni pagate anche con i soldi del Sud: soldi che però non entrano mai in nessuna contabilità.
Ha ben confutato domenica scorsa Giuseppe De Tomaso la tesi del libro «Il sacco del Nord» di Luca Ricolfi, secondo cui ogni anno cinquanta miliardi di euro del Nord sono dirottati al Sud. Tesi scorretta se non si calcola anche quanto di quei presunti 50 miliardi ritorni al Nord come spesa dei consumatori del Sud. E quanto contemporaneamente lo Stato passi al Nord anche grazie alle tasse pagate dal Sud. Senza contare la spesa di aziende di interesse pubblico come Ferrovie, Anas, Autostrade, Enel, che non si sa com’è ma hanno sempre un debole per il Nord. E senza contare i ricchi incentivi per le aziende del Nord che producono al Sud. E le tasse che le aziende del Nord scese al Sud pagano invece al Nord dove hanno la sede legale. Insomma senza contare troppe cose.
Perciò il paradosso dello statalismo all’italiana è che fa crescere di più chi è già cresciuto, non il contrario. Perché senza divario la partita di giro si interrompe. Ecco perché il divario deve rimanere. Ecco perché i politici meridionali non si battono come dovrebbero, per non perdere la gestione clientelare di quei trenta denari. Ecco perché, se continua così, la secessione la dovrebbe fare il Sud. Che continuerebbe anche a ricevere i fondi europei (sciaguratamente un po’ sprecandoli, e non solo quelli europei). Ma siccome la secessione la devono fare i politici, non la faranno. Complici in questo del Nord. E alle spalle di tanto Sud ignaro e di buona volontà che meriterebbe almeno più rispetto.
Fonte:Gazzetta del Mezzogiorno del 5/02/2010
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4 commenti:
Lino Patruno parla apertamente e senza mezzi termini di SECESSIONE del Sud, impedita da, parole sue, COLLABORAZIONISTI meridionali al servizio dei poteri del Nord.
Quei collaborazionisti che vogliono "cambiare tutto perchè tutto rimanga uguale". ...Finalmente mi sento meno solo, senza essere più l'unico "pazzo del villaggio".
Di tanto ne prendano atto gli immobilisti, i rinunciatari e quanti si prefiggono un percorso indolore che, per essere raggiunto, ha bisogno di due secoli di tempo.
Chi possiede i mercati, pur di non perderli, è disposto a difenderli anche a costo di stermini di massa.
Pensate veramente che il Nord possa permettersi di perdere un mercato di 20.000.000 di consumatori senza prima averlo difeso con le unghie e con i denti e utilizzando qualsiasi mezzo, lecito o illecito, pacifico o violento?
La perdita di 20.000.000 di consumatori, farebbe sprofondare il sistema produttivo padano in una crisi dalla quale non ne uscirebbe più e determinerebbe il crollo sociale e di una economia che per vivere e fare affari ha bisogno della colonia Sud e dei suoi 20.000.000 di consumatori;
Chi pensa che il Nord possa lasciare decidere autonomamente e pacificamente il Sud sul suo destino, è fuori dalla grazia di dio;
chi pensa che il Nord possa rinunciare al mercato protetto del Sud decretando la sua autodistruzione economica, non si rende conto della realtà;
chi pensa che la libertà di un popolo si conquisti con referendum e riforme, è un sognatore...l'istituto referendario è buono solo quando si deve decire dove collocare la fontana del villaggio...prova ne è il NUCLEARE e i vari referendum sul finanziamento pubblico ai partiti;
chi crede nel riformismo, basti dire che da un trentennio sono nate solo controriforme, annullando conquiste che costarono lacrime e sangue alla gente;
chi crede nel "federalismo", quale soluzione a tutti i mali, deve prendere atto che le leggi contro la nuclearizzazione, varate da PUGLIA,BASILICATA e CAMPANIA, nate dal principio del federalismo e dell'autonomia dei territori, sono state impugnate dallo Stato italiano perchè non funzionali agli interessi del Nord, evidenziando che il Sud deve esistere solo in funzione del Nord e dei suoi interessi, producendo energia da inviare al sistema industriale e civile della parte forte,la PADANIA, facendo ricadere sulla genete del Sud i rischi e i costi (in termini di degrado del territorio, mancato sviluppo, pericolo ambientale e salute pubblica) dell'intera operazione, conferendo i soli benefici ai padroni del Nord, accollando al Sud i soli rischi e costi che nel tempo deriveranno.
Perchè il Nord continui nella sua corsa verso lo sviluppo, ha necessariamente bisogno di un Sud assistito, incapace di sviluppare un proprio sistema produttivo, per evitare un dualismo concorrenziale fra Nord e Sud, ed ha bisogno, soprattutto, dei 20.000.000 di consumatori incapaci di produrre, ai quali dare impiego pubblico e assistenzialismo, per produrre redditi da consumare in prodotti padani, rimandando al Nord quanto avuto, con i dovuti interessi, perchè il Nord continui a sviluppare industria, finanza, scuole, ospedali, ferrovie ad alta velocità, metropolitane, servizi sociali avanzati, mentre il Sud...solo e sempre COLONIA.
...E c'è chi ancora si illude di sedersi ad un tavolo e fare richiesta di libertà, come se si trattasse di un permesso per cure parentali o per acquistare un biglietto ferroviario.
ma ricolfi non parla di crociata del nord contro il sud, ma di problematiche trasversali all'Italia intera. Esistono regioni virtuose al sud, come regioni "viziose" al nord. Si tratta di capire come poi operano le amministrazioni locali, premiare quelle più rispettose e cercare di rendere più consapevoli quelle mal gestite.
Nella mappa in cui anche la Sardegna viene riportata tra le regioni del sud in caso di secessione.
Voglio ricordare che la Sardegna per cultura,storia e posizione geografica NON E' ITALIA.Quindi non rinuncerà mai alle sue aspirazioni di indipendenza aderendo ad una nuova entità geopolitica.
La secessione del sud si rende necessaria per i buoni interessi del sud e non per dimostrare al nord,noi del sud non abbiamo niente da dimostrare a questo nord e non portiamo rancore a nessuno per i nostri gap,tralatro tutti derivanti dalla unificazione di 150 anni fa.
Prima sedotti e poi abbandonati,hanno fatto la loro fortuna con la pelle dei meridionali emigrati al nord e quando non sono serviti piu' ci hanno buttato come scarpe vecchie sostituendoci con gli extracomunitari ma come ci stanno insegnando i popoli del nord africa,"è finita la zezzenella",il sud è giovane,ben informato dai mezzi di comunicazione moderni,ben istruito ma sopratutto sono giovani che non hanno remore a sacrificarsi al lavoro con grande volonta ad emergere a costo anche di partire dalla loro terra e affetti,ma non basta,noi e il nostro sud avevamo una nazione forte di 850 anni di storia,una nostra bandiera,religione,lingua e per fortuna tradizioni con usi e costumi,pertanto è piu' facile che il sud vada per la sua strada che il nord,visto che qualcuno dovrà anche pagare le loro pensioni ad una popolazione vecchia che ha pensato solo di arricchirsi e non a fare figli.
Che Dio ci assisti e ci renda liberi presto,vivo solo per questo.
Auguri a tutti noi.
Gennaro Pica
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