L'opionione di Enza Lojacono, docente di Diritto Commerciale della Facoltà di Economia dell'Università di Messina
Le argomentazioni relative al Ponte sullo Stretto sono recentemente tornate di grande attualità dato il forte input che il governo ha deciso di imprimere all'opera.
Da anni mi interesso al problema, e ascolto le varie posizioni sul tema, ho partecipato anche, nel corso degli ultimi 15 – 20 anni, a molti dibattiti anche nella veste di relatrice e mi sono convinta del fatto che ribadire la necessità dell'attuazione dell'opera, specialmente in questo momento di crisi, dopo il terremoto in Abbruzzo e l'alluvione di Messina (che appare quasi come uno stop suggerito dalla natura a questa follia) è una decisione esclusivamente politica, una politica che impone le proprie idee fine a sé stesse, per il gusto di far prevalere posizioni o interessi di parte, non ammettendo alcun contraddittorio e imponendo il Ponte, così come gran parte dei decreti legge “a colpi di fiducia”, evitando perfino i pochi emendamenti che possono rivelarsi migliorativi nell'impianto generale di una normativa.
Pur nella più completa convinzione che il ponte sia un errore, credo che per dimostrarlo si deve affermare con forza esistono alternative più vantaggiose sia per la comunità nazionale che per quella dell’Area dello Stretto. Occorre porsi la domanda: cosa serve, per migliorare le condizioni di mobilità di merci e passeggeri nel Mezzogiorno ed in particolare tra la Calabria e la Sicilia? A tal fine non si dovrebbe prescindere da una valutazione costi e benefici per una obiettiva valutazione sulla opportunità di attuazione di un'opera del genere. Purtroppo tale approccio lo si è sempre evitato con cura, si preferisce la manipolazione mediatica che si pone in stretta connessione con l'attuale maggioranza politica.
Nonostante i risultati di molteplici studi condotti in materia manifestino un’inesistente validità trasportistica del Ponte sullo Stretto di Messina, la decisione di realizzare questa infrastruttura può prescindere dagli esiti dell’analisi costi/benefici e considerare l'attuazione del collegamento stabile come un intervento animato da altre motivazioni, la cui giustificazione rimane di esclusiva competenza politica. In altre parole anche se il Ponte non sta in piedi né dal punto di vista economico, né da quello finanziario, lo si vuole fare! Pertanto occorre inventarsi altre motivazioni.
Le dichiarazioni del tipo: “Dal ponte partirà lo sviluppo che farà da traino a tutto il resto” o che “Verranno da tutto il mondo per vederlo e ciò alimenterà il turismo” o ancora che “I soldi destinati al ponte non sono stornabili ad opere più utili”, appaiono tutte come affermazioni che offendono l'intelligenza dei cittadini e, da parte di chi dovesse affermarle in buona fede, hanno il sapore di una “scommessa”, una sorta di ottimistica previsione che in questo momento l'Italia, e in particolare la Sicilia, non può permettersi.
Ma nel Ponte c'è la logica del “miracolo” (come ha sostenuto Franco La Cecia), un sogno, una chimera, la manifestazione della capacità di pensare in grande. Si farà perchè l'immagine è più importante della materia e non importa che sia inutile e che la vera grande opera di ingegneria sia in realtà proprio lo stretto con la sua naturale bellezza.
Come sostiene in uno studio il prof. Gattuso (docente ingegneria dei trasporti -Università Mediterranea- RC), affermare che il Ponte possa rappresentare un'attrattiva turistica appare un'ipotesi priva di senso: attrarre un turista affinché ammiri un’opera di ingegneria quando attorno gli si presenterebbe uno scenario desolante! Occorrerebbe prima rendere più belle ed accoglienti le città e il panorama dello stretto, dotare il paesaggio di elementi di attrazione dato che non esiste (a causa del sisma del 1908) un patrimonio architettonico – monumentale, dar vita ad un waterfront dignitoso. Cominciando da opere semplici e fattibili in tempi brevi. In alternativa al ponte, quale elemento di attrazione turistica, si potrebbe perfino osare di realizzare una funivia tra le due sponde (proposta avanzata dall'architetto Paolo Malara di RC), con costi abbordabili e di gran lunga inferiori, una teleferica simile a quelle di Rio de Janeiro o Hong Kong.
Comunque la problematica nella sua interezza non è mai stata affrontata dai media, se non in qualche sporadico accenno nel corso della trasmissione “report”, o qualche servizio su “la7”, ma mai in termini esaustivi.
1° - É da notare, preliminarmente, che nel ventennio passato gli investimenti nel settore dei trasporti hanno sempre privilegiato il Nord Italia a scapito del Mezzogiorno. Come sostiene ancora il prof. Gattuso, un dato su tutti: ben 44 Miliardi Euro per 851 km di Alta Velocità, con impianti ed opere connesse. Solo il 7% interessa il Sud (metà della Roma-Napoli). La qualità dei servizi di trasporto nel Mezzogiorno ed in particolare in Calabria e Sicilia è scaduta a livelli da terzo mondo. Basta pensare che la linea ferroviaria ionica (Taranto - Reggio C.) risale al dopo guerra ed in Sicilia molte tratte sono a binario unico con tempi di percorrenza insostenibili. La situazione non appare migliore in altri comparti (difesa dell’ambiente, difesa dalla criminalità, la difesa della salute, e di diritti fondamentali sempre più spesso calpestati).
Le classi dirigenti attuali perseguono una politica anti-meridionalista. Infatti, la Delibera Cipe del 6/3/2009 prevede solo il 20% degli investimenti per il Mezzogiorno, di cui una parte per un’opera che doveva già essere stata terminata da tempo come l’Autostrada A3 e l’altra ancora da progettare: il budget per il ponte (1,7 Miliardi di Euro) che dovrebbe coprire una prima parte del costo dell’opera stimato pari a 6 Miliardi di Euro, e si tratta, comunque, dell’unico nuovo investimento previsto per il Mezzogiorno che corrisponde al 10% del totale delle risorse programmate.
Un ragionamento logico imporrebbe di partire da ben altro per un concreto sviluppo del Mezzogiorno, se si deve costruire un appartamento non si parte dall'acquisto di quadri e tende, bensì dalle fondamenta dell'edificio!
Non può essere più tollerabile privilegiare lo sviluppo del Centro-Nord Italia e proporre ai meridionali un intervento di complicata realizzazione, giusto per buttare fumo negli occhi e nascondere i reali termini della questione meridionale.
2° - Fumo negli occhi è la grande pubblicità data alla posa della prima pietra del ponte il 23 dicembre:
ciò che potrà iniziare tra la fine dell’anno in corso e l’inizio del prossimo sono i lavori per la cosiddetta “variante Cannitello”: un’opera di interramento del tracciato ferroviario calabrese in prossimità di Villa S. Giovanni il cui progetto è stato approvato dal CIPE nel marzo del 2006 (Governo Berlusconi), dissociandolo esplicitamente (per indirizzo dello stesso Ministero delle Infrastrutture) dal progetto del ponte. La “variante Cannitello” costituisce esclusivamente la prima fase di un più ampio progetto di miglioramento ambientale per la costa calabrese, rientrando nel disegno di interramento del tracciato ferroviario definito “Variante finale alla linea storica in località Cannitello”.
La “variante Cannitello” viene approvata solo in quanto propedeutica alla liberazione di un tratto di costa, per il miglioramento della qualità ambientale del territorio. L’iniziativa è “traghettata” dal CIPE ad un progetto di recupero del fronte-mare ed esplicitamente dissociata dal progetto per il ponte. L’intervento viene finanziato con un apposito contributo annuo, ricorrente per 15 anni, di 1,699 milioni di Euro, consentendo così al soggetto proponente (RFI) di trovare sul mercato del credito la finanza necessaria. Il finanziamento, dunque, è anch’esso disgiunto dal ponte.
Si tratta, dunque, di un “cantiere di RFI” la cui approvazione ed il cui finanziamento non hanno nulla a che vedere col ponte. Se così non fosse, peraltro, ciò implicherebbe un de-finanziamento per il ponte ed uno “storno” di fondi da parte del Governo, visto che il finanziamento complessivo di 6,3 miliardi di Euro è stato sempre indicato come relativo alle opere previste nel progetto preliminare (da cui la “variante Cannitello” è esclusa).
Del resto siamo nell'era del fumo mediatico, non a caso le simulazioni del Ponte costruito somigliano ad una copertina di Play boy, tutto è sfumato, soprattutto le cose che potrebbero dare fastidio come le opere a terra, le gigantesche rampe autostradali sostenute da una selva di piloni; rimane solo il Ponte, slanciato, quasi una slhouette invisibile tra una costa e l'altra.
3° - Chi dice “no al ponte” non ha un atteggiamento distruttivo, ma pensa che è su un miglioramento del sistema dei trasporti in generale che si dovrebbe puntare, specialmente nel territorio dell’Area dello Stretto (una stima di larga massima conduce ad un costo complessivo dell’ordine di 3-4 Miliardi €, distribuiti su un arco decennale): opere utili fondamentali per i trasporti nell’Area dello Stretto; riassetto e potenziamento dei servizi di trasporto marittimo; potenziamento del trasporto ferroviario; potenziamento dei porti (turistici e commerciali) e dei servizi connessi; adeguamento e messa in sicurezza della rete viaria primaria; messa in sicurezza, viabilità, aree periferiche, collinari e montane; adeguamento strutturale e funzionale di arterie primarie come SS 106 (ionica della Calabria) e SS 113 (tirrenica della Sicilia); nuovo waterfront per Messina e Reggio Calabria (riassetto lungomari); nuova tangenziale di Reggio Calabria; potenziamento strutture e servizi di trasporto aereo; sistema di nodi di trasporto merci integrato (interporto e autoporti); sistema di trasporti per la protezione civile, con zone di sfollamento e servizi di soccorso; sistema per il monitoraggio e il controllo dei traffici nello Stretto.
Sarebbe poi importantissima l'attivazione di linee relative alla mobilità passeggeri (autobus del mare); l’investimento sarebbe (secondo una stima del prof. Gattuso) dell’ordine di appena 0,1 Miliardi Euro per l’acquisto di mezzi moderni e veloci, l’attrezzatura degli approdi e l’integrazione con i trasporti pubblici urbani, assicurando frequenze di servizio dell’ordine di una nave ogni mezz’ora nelle fasce orarie di punta.
Si potrebbero dismettere le obsolete navi traghetto attualmente in servizio (i cui costi di gestione sono irragionevoli), sostituendole con più efficaci e veloci mezzi navali. Si potrebbe fare ricorso a navi traghetto dell’ultima generazione, opportunamente attrezzate, su cui imbarcare treni passeggeri di lunghezza limitata, in modo da rendere agevole e rapida la manovra di imbarco/sbarco, assicurando continuità vera al trasporto ferroviario su scala interregionale; si potrebbero potenziare i servizi marittimi per il trasferimento di unità di carico merci (container e casse mobili) tra i porti siciliani e i porti calabresi, invero sotto-utilizzati, tranne qualche eccezione. Nell’insieme si tratta di una partita dell’ordine di 1 Miliardo €, con riflessi notevoli anche sul piano dell’occupazione.
4° - Ma veniamo a quello che, probabilmente, è il nocciolo centrale della questione, ovvero il cosiddetto project financing che prevede raccolta di “capitale di debito” conferito dal mercato in ragione di valutazioni relative alla redditività del progetto; in assenza di garanzia formale da parte dello Stato, il rischio graverebbe sui finanziatori.
A tal proposito il prof. Guido Signorino, responsabile del settore economico del “Centro Studi per l'Area dello stretto di Messina -Fortunata Pellizzeri-”, asserisce che non sembra sia questo il caso del progetto del ponte sullo Stretto di Messina. Il piano finanziario originario prevedeva che la metà del costo stimato dell’investimento avrebbe dovuto essere reperito sul mercato dei capitali, tramite emissioni di obbligazioni. Allo stesso tempo, il piano di ammortamento rateizzava in due periodi di concessione il recupero del capitale investito. E il Governo si impegnava, qualora i ricavi della gestione non fossero stati sufficienti, a “riscattare” l’opera alla scadenza della prima concessione (30 anni) per un importo massimo pari alla metà del costo dell’investimento. In altri termini, se i ricavi del ponte non sono sufficienti, lo Stato “restituisce” al concessionario (la Stretto di Messina SpA) il 50% del valore investito: esattamente quanto sottoscritto dai privati. Tanto meno bene vanno i conti di gestione, tanto maggiore è la “restituzione” da parte dello Stato, fino a garantire totalmente l’emissione obbligazionaria. Come si fa a parlare di “rischio” assunto dai privati in ragione delle prospettive di rendimento dell’opera? In realtà il rischio è totalmente a carico dello Stato, mentre i privati sono in tutto garantiti dalla clausola sul “valore di riscatto”. È un project financing “taroccato” e garantito dallo Stato.
Poiché, per quanto detto prima, gli unici fondi virtualmente esistenti per il ponte sono di provenienza governativa, mentre non esiste un centesimo attualmente investito da soggetti privati, la “non stornabilità” delle somme è argomento privo di fondamento. Si tratta semplicemente di valutazioni di priorità e, nell’assenza: a) di disponibilità alternative per la sicurezza idrogeologica, b) di esistente concorrenza privata di fondi per il progetto del ponte, c) perfino del progetto definitivo dell’opera, nulla osterebbe ad una scelta di responsabilità del Governo che destinasse lo stanziamento per il ponte al finanziamento degli interventi di prevenzione e contenimento del rischio sismico e idrogeologico per le città dell’area dello Stretto di Messina.
Inoltre, non è dimostrata allo stato l'esistenza di privati pronti a partecipare all’impresa, (le banche hanno paura e questi sono brutti tempi per la finanza creativa; inoltre le esperienze finanziariamente fallimentari come quella dell’Eurotunnel fra Francia e Gran Bretagna hanno insegnato che a finire come polli spennati sono sempre e solo i cittadini abbindolati da banchieri senza scrupoli). Non è un caso che nell’analisi di fattibilità economico-finanziaria del ponte, ci si limita alla componente economica (ovvero si ragiona come se il costo dell’opera dovesse essere tutto a carico pubblico) e viene nascosta la non sostenibilità finanziaria e l’assenza di investitori privati.
Altro aspetto connesso e molto preoccupante è il calcolo, che non mi risulta effettuato finora, dei costi di gestione una volta realizzato il ponte che non saranno irrisori e destinati certamente ad una crescita esponenziale se affidati a società private.
Da una analisi economica condotta presso il Politecnico di Milano nel 2003, espressa attraverso indicatori classici di valutazione Costi/Benefici, sulla base di previsioni di traffico operate da esperti di settore: “il V.P.N. (Valore Presente Netto) economico del progetto del Ponte è negativo in tutte le prospettive di crescita dell’economia e di andamento della domanda di attraversamento; ciò significa che, a meno di irrealistici scenari di crescita economica, il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina non genera benefici sufficienti per chi lo utilizzerà a fronte delle risorse economiche necessarie per realizzarlo”.
5° – Ancora in base ad una valutazione del prof. Signorino, la costruzione del ponte impatterà sul territorio urbano per circa 15 chilometri, circonvallando a monte un lungo pezzo di città; i lavori inoltre investirebbero la città fin nel cuore del suo centro residenziale, dovendo raccordare i tracciati autostradali e ferroviari con la rampa di accesso al ponte. Sarebbe un’invasione imponente e probabilmente non sostenibile da parte del tessuto urbano messinese. Ma, a differenza di quanto di dichiarato dal Ministro Matteoli (“Se i cantieri fossero stati aperti il territorio sarebbe stato più sicuro e la tragedia di Giampilieri contenuta o evitata”), non interesserebbe tutto il territorio comunale: i luoghi della frana distano oltre 20 chilometri dal cantiere più vicino (via S. Cecilia, nel progetto preliminare) ed oltre 30 chilometri dalla rampa di accesso. Come avrebbe potuto un cantiere distante 25-30 chilometri preservare dalla frana un borgo medievale collinare come Giampilieri Superiore? In realtà i cantieri del ponte potrebbero incrementare il rischio idrogeologico della città, nella misura in cui il progetto preliminare prevede l’attivazione di sei discariche per il materiale di risulta, localizzate in zone vallive di impluvio, a ridosso di aree urbanizzate ed abitate: sei “tappi” che rischiano di saltare addosso alle case sottostanti alla prima copiosa pioggia!
Si pensi che il ponte scaricherà il suo enorme peso (54 tonnellate di acciaio) su due torri (una in Calabria e l'altra a Messina) alte 376 metri collegate da quattro traversi, sprofonderanno nelle acque dello stretto per 50 metri. Per arrivare all'altezza necessaria saranno sovrapposti 22 blocchi composti da pannelli modulari. I cavi saranno la parte più pesante del ponte 32 tonnellate al metro (totale 166.600 t) contro le “sole” 23, 5 tonnellate al metro dell'impalcato. I 4 cavi corrono a coppie di due, sono lunghi 5.300 metri e del diametro di 1,24 metri. Ciascuno è formato da 44.352 fili di acciaio di 5,38 millimetri di diametro.
6° - Il ponte non contribuirà ad unire le città dello Stretto facilitandone le relazioni. Senza considerare l'incidenza delle tariffe di attraversamento che si prevedono superiori a quelle dell'attuale attraversamento coi traghetti, in termini di tempi il vantaggio sarà nullo se non peggiore: dal centro di Reggio al Centro di Messina i tempi di viaggio risulterebbero dell’ordine dei 45 minuti, non dissimili da quelli che potrebbe assicurare un efficiente ed efficace servizio di trasporto pubblico integrato con navi veloci. Andrebbero valorizzati al massimo i collegamenti rapidi via mare, in particolare in merito alla possibilità di un collegamento fra i porti di Reggio e Messina. Il ponte rischia dunque di allontanare Messina e Reggio dai traffici nazionali: il transito attraverso il ponte si tradurrebbe in una specie di mega-tangenziale per correre più velocemente da Napoli a Palermo o a Catania, senza neppure vedere il paesaggio sottostante.
In definitiva il Ponte farebbe risparmiare appena mezz’ora o un’ora ad un automobilista napoletano, romano o milanese su un tempo complessivo di 10-20 ore di viaggio.
7° - Sulla fattibilità del Ponte sullo Stretto sono stati avanzati seri dubbi da parte di ingegneri strutturisti, merita di essere richiamata a tal proposito una dichiarazione pubblica resa dall’Ing. Mario Desideri (autore dello studio statico di tutte le opere di Nervi) nel 2005: “La difficoltà tecnica di progetto e di costruzione di un ponte è essenzialmente commisurata alla sua «luce libera», cioè alla distanza tra i piloni di appoggio. Nel caso dello Stretto di Messina, si è raggiunta la convinzione, pressoché da tutti condivisa, della impossibilità di ricorrere ad un ponte a due o tre campate. Per l’eventuale ponte (almeno per il progetto di cui si discute) la soluzione non potrebbe essere che a campata unica. E dunque una luce libera di 3.300 metri! Ci sarebbe da rimanere senza fiato, quando si confronta questo dato con il valore della luce massima finora raggiunta per un ponte sospeso del tipo viario e ferroviario insieme. Valore che è di 1.100 metri, per il ponte inaugurato circa venti anni fa, presso Seto in Giappone. Il ponte dello Stretto dovrebbe dunque triplicare il valore della luce massima finora raggiunta, contravvenendo superlativamente ad una prassi sempre seguita nella costruzione di importanti strutture. Per minimizzare il rischio dell’ imprevisto, si deve procedere con un aumento graduale delle luci libere, con maggiorazioni percentuali sempre molto contenute nel passaggio da un prototipo al successivo”.
Da sottolineare, inoltre, la recente posizione assunta da parte di uno dei principali estensori dell'attuale progetto (ing. Calzona), che ne propone uno completamente diverso e, a suo dire, più economico (costerebbe meno della metà) e di più agevole attuazione, scrivendo un libro in proposito. Si tratta di un grosso volume che, al di là degli aspetti tecnici non del tutto comprensibili per i non addetti ai lavori, è certamente degno di considerazione. L'ing. Calzona, tra l'altro, sostiene l'esistenza di una faglia nella zona in cui dovrebbe sorgere il pilastro principale dell'opera. I politici, ma soprattutto gli organi di stampa, non hanno dato alcuna rilevanza ad una opinione del genere!
8° - Infine, vorrei sottolineare il disagio (più pesante nella zona di Messina rispetto a quella calabrese) cui sono sottoposte da qualche decennio le centinaia di famiglie residenti nella zona in cui dovrebbero sorgere i pilastri portanti del Ponte che dovrebbero essere espropriate. Mai nessuno ha, finora, fornito notizie certe, al di là delle confuse argomentazioni di stampa, sulla loro sorte (in assenza dell'approvazione di un progetto definitivo). Quello che io non esito a definire “danno esistenziale” sembra non vedere fine. Il territorio nord di Messina, nella zona interessata alla maggiore cantierizzazione del Ponte, è costituita da ville e case che spesso necessiterebbero di manutenzione e che i proprietari esitano ad effettuare per il timore di sostenere spese inutili in vista di un futuro prossimo esproprio. Non è dato sapere nemmeno se saranno tutti espropriati e (peggio) per alcuni potrebbe delinearsi un obbligo di evacuazione per tutta la durata della costruzione! Ma stiamo ai “si dice”, allo stato nessuna comunicazione ufficiale è stata fornita e la zona rischia di scivolare lentamente nel più avvilente degrado: un Motel della zona è stato abbandonato dai proprietari e langue nel più assoluto abbandono ed è spesso rifugio di sbandati e, probabilmente, di delinquenti.
Le considerazioni che precedono, lungi dall'essere esaustive del problema, potrebbero e dovrebbero essere ampliate e approfondite da tanti esperti. Ciò che si può sicuramente asserire, in conclusione, è che assumere una posizione preconcetta sulla fattibilità del ponte sullo stretto non è più ammissibile e i politici dovrebbero, a mio modo di vedere, documentarsi appropriatamente e capire che la “scommessa ponte” non può ridursi alla volontà di una parte politica, e se alla fine si perde questa scommessa saranno lacrime amare, non solo per gli abitanti dell'area dello stretto, ma per tutti gli italiani.
Enza Lojacono
(docente di Diritto Commerciale- Fac. Economia - Univ. di Messina)
Fonte:Tempo Stretto
Le argomentazioni relative al Ponte sullo Stretto sono recentemente tornate di grande attualità dato il forte input che il governo ha deciso di imprimere all'opera.
Da anni mi interesso al problema, e ascolto le varie posizioni sul tema, ho partecipato anche, nel corso degli ultimi 15 – 20 anni, a molti dibattiti anche nella veste di relatrice e mi sono convinta del fatto che ribadire la necessità dell'attuazione dell'opera, specialmente in questo momento di crisi, dopo il terremoto in Abbruzzo e l'alluvione di Messina (che appare quasi come uno stop suggerito dalla natura a questa follia) è una decisione esclusivamente politica, una politica che impone le proprie idee fine a sé stesse, per il gusto di far prevalere posizioni o interessi di parte, non ammettendo alcun contraddittorio e imponendo il Ponte, così come gran parte dei decreti legge “a colpi di fiducia”, evitando perfino i pochi emendamenti che possono rivelarsi migliorativi nell'impianto generale di una normativa.
Pur nella più completa convinzione che il ponte sia un errore, credo che per dimostrarlo si deve affermare con forza esistono alternative più vantaggiose sia per la comunità nazionale che per quella dell’Area dello Stretto. Occorre porsi la domanda: cosa serve, per migliorare le condizioni di mobilità di merci e passeggeri nel Mezzogiorno ed in particolare tra la Calabria e la Sicilia? A tal fine non si dovrebbe prescindere da una valutazione costi e benefici per una obiettiva valutazione sulla opportunità di attuazione di un'opera del genere. Purtroppo tale approccio lo si è sempre evitato con cura, si preferisce la manipolazione mediatica che si pone in stretta connessione con l'attuale maggioranza politica.
Nonostante i risultati di molteplici studi condotti in materia manifestino un’inesistente validità trasportistica del Ponte sullo Stretto di Messina, la decisione di realizzare questa infrastruttura può prescindere dagli esiti dell’analisi costi/benefici e considerare l'attuazione del collegamento stabile come un intervento animato da altre motivazioni, la cui giustificazione rimane di esclusiva competenza politica. In altre parole anche se il Ponte non sta in piedi né dal punto di vista economico, né da quello finanziario, lo si vuole fare! Pertanto occorre inventarsi altre motivazioni.
Le dichiarazioni del tipo: “Dal ponte partirà lo sviluppo che farà da traino a tutto il resto” o che “Verranno da tutto il mondo per vederlo e ciò alimenterà il turismo” o ancora che “I soldi destinati al ponte non sono stornabili ad opere più utili”, appaiono tutte come affermazioni che offendono l'intelligenza dei cittadini e, da parte di chi dovesse affermarle in buona fede, hanno il sapore di una “scommessa”, una sorta di ottimistica previsione che in questo momento l'Italia, e in particolare la Sicilia, non può permettersi.
Ma nel Ponte c'è la logica del “miracolo” (come ha sostenuto Franco La Cecia), un sogno, una chimera, la manifestazione della capacità di pensare in grande. Si farà perchè l'immagine è più importante della materia e non importa che sia inutile e che la vera grande opera di ingegneria sia in realtà proprio lo stretto con la sua naturale bellezza.
Come sostiene in uno studio il prof. Gattuso (docente ingegneria dei trasporti -Università Mediterranea- RC), affermare che il Ponte possa rappresentare un'attrattiva turistica appare un'ipotesi priva di senso: attrarre un turista affinché ammiri un’opera di ingegneria quando attorno gli si presenterebbe uno scenario desolante! Occorrerebbe prima rendere più belle ed accoglienti le città e il panorama dello stretto, dotare il paesaggio di elementi di attrazione dato che non esiste (a causa del sisma del 1908) un patrimonio architettonico – monumentale, dar vita ad un waterfront dignitoso. Cominciando da opere semplici e fattibili in tempi brevi. In alternativa al ponte, quale elemento di attrazione turistica, si potrebbe perfino osare di realizzare una funivia tra le due sponde (proposta avanzata dall'architetto Paolo Malara di RC), con costi abbordabili e di gran lunga inferiori, una teleferica simile a quelle di Rio de Janeiro o Hong Kong.
Comunque la problematica nella sua interezza non è mai stata affrontata dai media, se non in qualche sporadico accenno nel corso della trasmissione “report”, o qualche servizio su “la7”, ma mai in termini esaustivi.
1° - É da notare, preliminarmente, che nel ventennio passato gli investimenti nel settore dei trasporti hanno sempre privilegiato il Nord Italia a scapito del Mezzogiorno. Come sostiene ancora il prof. Gattuso, un dato su tutti: ben 44 Miliardi Euro per 851 km di Alta Velocità, con impianti ed opere connesse. Solo il 7% interessa il Sud (metà della Roma-Napoli). La qualità dei servizi di trasporto nel Mezzogiorno ed in particolare in Calabria e Sicilia è scaduta a livelli da terzo mondo. Basta pensare che la linea ferroviaria ionica (Taranto - Reggio C.) risale al dopo guerra ed in Sicilia molte tratte sono a binario unico con tempi di percorrenza insostenibili. La situazione non appare migliore in altri comparti (difesa dell’ambiente, difesa dalla criminalità, la difesa della salute, e di diritti fondamentali sempre più spesso calpestati).
Le classi dirigenti attuali perseguono una politica anti-meridionalista. Infatti, la Delibera Cipe del 6/3/2009 prevede solo il 20% degli investimenti per il Mezzogiorno, di cui una parte per un’opera che doveva già essere stata terminata da tempo come l’Autostrada A3 e l’altra ancora da progettare: il budget per il ponte (1,7 Miliardi di Euro) che dovrebbe coprire una prima parte del costo dell’opera stimato pari a 6 Miliardi di Euro, e si tratta, comunque, dell’unico nuovo investimento previsto per il Mezzogiorno che corrisponde al 10% del totale delle risorse programmate.
Un ragionamento logico imporrebbe di partire da ben altro per un concreto sviluppo del Mezzogiorno, se si deve costruire un appartamento non si parte dall'acquisto di quadri e tende, bensì dalle fondamenta dell'edificio!
Non può essere più tollerabile privilegiare lo sviluppo del Centro-Nord Italia e proporre ai meridionali un intervento di complicata realizzazione, giusto per buttare fumo negli occhi e nascondere i reali termini della questione meridionale.
2° - Fumo negli occhi è la grande pubblicità data alla posa della prima pietra del ponte il 23 dicembre:
ciò che potrà iniziare tra la fine dell’anno in corso e l’inizio del prossimo sono i lavori per la cosiddetta “variante Cannitello”: un’opera di interramento del tracciato ferroviario calabrese in prossimità di Villa S. Giovanni il cui progetto è stato approvato dal CIPE nel marzo del 2006 (Governo Berlusconi), dissociandolo esplicitamente (per indirizzo dello stesso Ministero delle Infrastrutture) dal progetto del ponte. La “variante Cannitello” costituisce esclusivamente la prima fase di un più ampio progetto di miglioramento ambientale per la costa calabrese, rientrando nel disegno di interramento del tracciato ferroviario definito “Variante finale alla linea storica in località Cannitello”.
La “variante Cannitello” viene approvata solo in quanto propedeutica alla liberazione di un tratto di costa, per il miglioramento della qualità ambientale del territorio. L’iniziativa è “traghettata” dal CIPE ad un progetto di recupero del fronte-mare ed esplicitamente dissociata dal progetto per il ponte. L’intervento viene finanziato con un apposito contributo annuo, ricorrente per 15 anni, di 1,699 milioni di Euro, consentendo così al soggetto proponente (RFI) di trovare sul mercato del credito la finanza necessaria. Il finanziamento, dunque, è anch’esso disgiunto dal ponte.
Si tratta, dunque, di un “cantiere di RFI” la cui approvazione ed il cui finanziamento non hanno nulla a che vedere col ponte. Se così non fosse, peraltro, ciò implicherebbe un de-finanziamento per il ponte ed uno “storno” di fondi da parte del Governo, visto che il finanziamento complessivo di 6,3 miliardi di Euro è stato sempre indicato come relativo alle opere previste nel progetto preliminare (da cui la “variante Cannitello” è esclusa).
Del resto siamo nell'era del fumo mediatico, non a caso le simulazioni del Ponte costruito somigliano ad una copertina di Play boy, tutto è sfumato, soprattutto le cose che potrebbero dare fastidio come le opere a terra, le gigantesche rampe autostradali sostenute da una selva di piloni; rimane solo il Ponte, slanciato, quasi una slhouette invisibile tra una costa e l'altra.
3° - Chi dice “no al ponte” non ha un atteggiamento distruttivo, ma pensa che è su un miglioramento del sistema dei trasporti in generale che si dovrebbe puntare, specialmente nel territorio dell’Area dello Stretto (una stima di larga massima conduce ad un costo complessivo dell’ordine di 3-4 Miliardi €, distribuiti su un arco decennale): opere utili fondamentali per i trasporti nell’Area dello Stretto; riassetto e potenziamento dei servizi di trasporto marittimo; potenziamento del trasporto ferroviario; potenziamento dei porti (turistici e commerciali) e dei servizi connessi; adeguamento e messa in sicurezza della rete viaria primaria; messa in sicurezza, viabilità, aree periferiche, collinari e montane; adeguamento strutturale e funzionale di arterie primarie come SS 106 (ionica della Calabria) e SS 113 (tirrenica della Sicilia); nuovo waterfront per Messina e Reggio Calabria (riassetto lungomari); nuova tangenziale di Reggio Calabria; potenziamento strutture e servizi di trasporto aereo; sistema di nodi di trasporto merci integrato (interporto e autoporti); sistema di trasporti per la protezione civile, con zone di sfollamento e servizi di soccorso; sistema per il monitoraggio e il controllo dei traffici nello Stretto.
Sarebbe poi importantissima l'attivazione di linee relative alla mobilità passeggeri (autobus del mare); l’investimento sarebbe (secondo una stima del prof. Gattuso) dell’ordine di appena 0,1 Miliardi Euro per l’acquisto di mezzi moderni e veloci, l’attrezzatura degli approdi e l’integrazione con i trasporti pubblici urbani, assicurando frequenze di servizio dell’ordine di una nave ogni mezz’ora nelle fasce orarie di punta.
Si potrebbero dismettere le obsolete navi traghetto attualmente in servizio (i cui costi di gestione sono irragionevoli), sostituendole con più efficaci e veloci mezzi navali. Si potrebbe fare ricorso a navi traghetto dell’ultima generazione, opportunamente attrezzate, su cui imbarcare treni passeggeri di lunghezza limitata, in modo da rendere agevole e rapida la manovra di imbarco/sbarco, assicurando continuità vera al trasporto ferroviario su scala interregionale; si potrebbero potenziare i servizi marittimi per il trasferimento di unità di carico merci (container e casse mobili) tra i porti siciliani e i porti calabresi, invero sotto-utilizzati, tranne qualche eccezione. Nell’insieme si tratta di una partita dell’ordine di 1 Miliardo €, con riflessi notevoli anche sul piano dell’occupazione.
4° - Ma veniamo a quello che, probabilmente, è il nocciolo centrale della questione, ovvero il cosiddetto project financing che prevede raccolta di “capitale di debito” conferito dal mercato in ragione di valutazioni relative alla redditività del progetto; in assenza di garanzia formale da parte dello Stato, il rischio graverebbe sui finanziatori.
A tal proposito il prof. Guido Signorino, responsabile del settore economico del “Centro Studi per l'Area dello stretto di Messina -Fortunata Pellizzeri-”, asserisce che non sembra sia questo il caso del progetto del ponte sullo Stretto di Messina. Il piano finanziario originario prevedeva che la metà del costo stimato dell’investimento avrebbe dovuto essere reperito sul mercato dei capitali, tramite emissioni di obbligazioni. Allo stesso tempo, il piano di ammortamento rateizzava in due periodi di concessione il recupero del capitale investito. E il Governo si impegnava, qualora i ricavi della gestione non fossero stati sufficienti, a “riscattare” l’opera alla scadenza della prima concessione (30 anni) per un importo massimo pari alla metà del costo dell’investimento. In altri termini, se i ricavi del ponte non sono sufficienti, lo Stato “restituisce” al concessionario (la Stretto di Messina SpA) il 50% del valore investito: esattamente quanto sottoscritto dai privati. Tanto meno bene vanno i conti di gestione, tanto maggiore è la “restituzione” da parte dello Stato, fino a garantire totalmente l’emissione obbligazionaria. Come si fa a parlare di “rischio” assunto dai privati in ragione delle prospettive di rendimento dell’opera? In realtà il rischio è totalmente a carico dello Stato, mentre i privati sono in tutto garantiti dalla clausola sul “valore di riscatto”. È un project financing “taroccato” e garantito dallo Stato.
Poiché, per quanto detto prima, gli unici fondi virtualmente esistenti per il ponte sono di provenienza governativa, mentre non esiste un centesimo attualmente investito da soggetti privati, la “non stornabilità” delle somme è argomento privo di fondamento. Si tratta semplicemente di valutazioni di priorità e, nell’assenza: a) di disponibilità alternative per la sicurezza idrogeologica, b) di esistente concorrenza privata di fondi per il progetto del ponte, c) perfino del progetto definitivo dell’opera, nulla osterebbe ad una scelta di responsabilità del Governo che destinasse lo stanziamento per il ponte al finanziamento degli interventi di prevenzione e contenimento del rischio sismico e idrogeologico per le città dell’area dello Stretto di Messina.
Inoltre, non è dimostrata allo stato l'esistenza di privati pronti a partecipare all’impresa, (le banche hanno paura e questi sono brutti tempi per la finanza creativa; inoltre le esperienze finanziariamente fallimentari come quella dell’Eurotunnel fra Francia e Gran Bretagna hanno insegnato che a finire come polli spennati sono sempre e solo i cittadini abbindolati da banchieri senza scrupoli). Non è un caso che nell’analisi di fattibilità economico-finanziaria del ponte, ci si limita alla componente economica (ovvero si ragiona come se il costo dell’opera dovesse essere tutto a carico pubblico) e viene nascosta la non sostenibilità finanziaria e l’assenza di investitori privati.
Altro aspetto connesso e molto preoccupante è il calcolo, che non mi risulta effettuato finora, dei costi di gestione una volta realizzato il ponte che non saranno irrisori e destinati certamente ad una crescita esponenziale se affidati a società private.
Da una analisi economica condotta presso il Politecnico di Milano nel 2003, espressa attraverso indicatori classici di valutazione Costi/Benefici, sulla base di previsioni di traffico operate da esperti di settore: “il V.P.N. (Valore Presente Netto) economico del progetto del Ponte è negativo in tutte le prospettive di crescita dell’economia e di andamento della domanda di attraversamento; ciò significa che, a meno di irrealistici scenari di crescita economica, il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina non genera benefici sufficienti per chi lo utilizzerà a fronte delle risorse economiche necessarie per realizzarlo”.
5° – Ancora in base ad una valutazione del prof. Signorino, la costruzione del ponte impatterà sul territorio urbano per circa 15 chilometri, circonvallando a monte un lungo pezzo di città; i lavori inoltre investirebbero la città fin nel cuore del suo centro residenziale, dovendo raccordare i tracciati autostradali e ferroviari con la rampa di accesso al ponte. Sarebbe un’invasione imponente e probabilmente non sostenibile da parte del tessuto urbano messinese. Ma, a differenza di quanto di dichiarato dal Ministro Matteoli (“Se i cantieri fossero stati aperti il territorio sarebbe stato più sicuro e la tragedia di Giampilieri contenuta o evitata”), non interesserebbe tutto il territorio comunale: i luoghi della frana distano oltre 20 chilometri dal cantiere più vicino (via S. Cecilia, nel progetto preliminare) ed oltre 30 chilometri dalla rampa di accesso. Come avrebbe potuto un cantiere distante 25-30 chilometri preservare dalla frana un borgo medievale collinare come Giampilieri Superiore? In realtà i cantieri del ponte potrebbero incrementare il rischio idrogeologico della città, nella misura in cui il progetto preliminare prevede l’attivazione di sei discariche per il materiale di risulta, localizzate in zone vallive di impluvio, a ridosso di aree urbanizzate ed abitate: sei “tappi” che rischiano di saltare addosso alle case sottostanti alla prima copiosa pioggia!
Si pensi che il ponte scaricherà il suo enorme peso (54 tonnellate di acciaio) su due torri (una in Calabria e l'altra a Messina) alte 376 metri collegate da quattro traversi, sprofonderanno nelle acque dello stretto per 50 metri. Per arrivare all'altezza necessaria saranno sovrapposti 22 blocchi composti da pannelli modulari. I cavi saranno la parte più pesante del ponte 32 tonnellate al metro (totale 166.600 t) contro le “sole” 23, 5 tonnellate al metro dell'impalcato. I 4 cavi corrono a coppie di due, sono lunghi 5.300 metri e del diametro di 1,24 metri. Ciascuno è formato da 44.352 fili di acciaio di 5,38 millimetri di diametro.
6° - Il ponte non contribuirà ad unire le città dello Stretto facilitandone le relazioni. Senza considerare l'incidenza delle tariffe di attraversamento che si prevedono superiori a quelle dell'attuale attraversamento coi traghetti, in termini di tempi il vantaggio sarà nullo se non peggiore: dal centro di Reggio al Centro di Messina i tempi di viaggio risulterebbero dell’ordine dei 45 minuti, non dissimili da quelli che potrebbe assicurare un efficiente ed efficace servizio di trasporto pubblico integrato con navi veloci. Andrebbero valorizzati al massimo i collegamenti rapidi via mare, in particolare in merito alla possibilità di un collegamento fra i porti di Reggio e Messina. Il ponte rischia dunque di allontanare Messina e Reggio dai traffici nazionali: il transito attraverso il ponte si tradurrebbe in una specie di mega-tangenziale per correre più velocemente da Napoli a Palermo o a Catania, senza neppure vedere il paesaggio sottostante.
In definitiva il Ponte farebbe risparmiare appena mezz’ora o un’ora ad un automobilista napoletano, romano o milanese su un tempo complessivo di 10-20 ore di viaggio.
7° - Sulla fattibilità del Ponte sullo Stretto sono stati avanzati seri dubbi da parte di ingegneri strutturisti, merita di essere richiamata a tal proposito una dichiarazione pubblica resa dall’Ing. Mario Desideri (autore dello studio statico di tutte le opere di Nervi) nel 2005: “La difficoltà tecnica di progetto e di costruzione di un ponte è essenzialmente commisurata alla sua «luce libera», cioè alla distanza tra i piloni di appoggio. Nel caso dello Stretto di Messina, si è raggiunta la convinzione, pressoché da tutti condivisa, della impossibilità di ricorrere ad un ponte a due o tre campate. Per l’eventuale ponte (almeno per il progetto di cui si discute) la soluzione non potrebbe essere che a campata unica. E dunque una luce libera di 3.300 metri! Ci sarebbe da rimanere senza fiato, quando si confronta questo dato con il valore della luce massima finora raggiunta per un ponte sospeso del tipo viario e ferroviario insieme. Valore che è di 1.100 metri, per il ponte inaugurato circa venti anni fa, presso Seto in Giappone. Il ponte dello Stretto dovrebbe dunque triplicare il valore della luce massima finora raggiunta, contravvenendo superlativamente ad una prassi sempre seguita nella costruzione di importanti strutture. Per minimizzare il rischio dell’ imprevisto, si deve procedere con un aumento graduale delle luci libere, con maggiorazioni percentuali sempre molto contenute nel passaggio da un prototipo al successivo”.
Da sottolineare, inoltre, la recente posizione assunta da parte di uno dei principali estensori dell'attuale progetto (ing. Calzona), che ne propone uno completamente diverso e, a suo dire, più economico (costerebbe meno della metà) e di più agevole attuazione, scrivendo un libro in proposito. Si tratta di un grosso volume che, al di là degli aspetti tecnici non del tutto comprensibili per i non addetti ai lavori, è certamente degno di considerazione. L'ing. Calzona, tra l'altro, sostiene l'esistenza di una faglia nella zona in cui dovrebbe sorgere il pilastro principale dell'opera. I politici, ma soprattutto gli organi di stampa, non hanno dato alcuna rilevanza ad una opinione del genere!
8° - Infine, vorrei sottolineare il disagio (più pesante nella zona di Messina rispetto a quella calabrese) cui sono sottoposte da qualche decennio le centinaia di famiglie residenti nella zona in cui dovrebbero sorgere i pilastri portanti del Ponte che dovrebbero essere espropriate. Mai nessuno ha, finora, fornito notizie certe, al di là delle confuse argomentazioni di stampa, sulla loro sorte (in assenza dell'approvazione di un progetto definitivo). Quello che io non esito a definire “danno esistenziale” sembra non vedere fine. Il territorio nord di Messina, nella zona interessata alla maggiore cantierizzazione del Ponte, è costituita da ville e case che spesso necessiterebbero di manutenzione e che i proprietari esitano ad effettuare per il timore di sostenere spese inutili in vista di un futuro prossimo esproprio. Non è dato sapere nemmeno se saranno tutti espropriati e (peggio) per alcuni potrebbe delinearsi un obbligo di evacuazione per tutta la durata della costruzione! Ma stiamo ai “si dice”, allo stato nessuna comunicazione ufficiale è stata fornita e la zona rischia di scivolare lentamente nel più avvilente degrado: un Motel della zona è stato abbandonato dai proprietari e langue nel più assoluto abbandono ed è spesso rifugio di sbandati e, probabilmente, di delinquenti.
Le considerazioni che precedono, lungi dall'essere esaustive del problema, potrebbero e dovrebbero essere ampliate e approfondite da tanti esperti. Ciò che si può sicuramente asserire, in conclusione, è che assumere una posizione preconcetta sulla fattibilità del ponte sullo stretto non è più ammissibile e i politici dovrebbero, a mio modo di vedere, documentarsi appropriatamente e capire che la “scommessa ponte” non può ridursi alla volontà di una parte politica, e se alla fine si perde questa scommessa saranno lacrime amare, non solo per gli abitanti dell'area dello stretto, ma per tutti gli italiani.
Enza Lojacono
(docente di Diritto Commerciale- Fac. Economia - Univ. di Messina)
Fonte:Tempo Stretto
Segnalazione ASDS
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1 commento:
ben vengano tutte le iniziative che portano innovazione progresso e nuove opportunità all'italia
il ponte sullo stretto può essere una opportunità per molte aziende come la nostra che realizza cilindri di sollevamento per la costruzione di ponti www.fpt.it e per molte altre
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