giovedì 24 dicembre 2009

LA COLONIZZAZIONE PIEMONTESE ED IL TRACOLLO DEL SUD

Di Pino Marino
Fonte: Fb

La storia andrebbe scritta basandosi sui documenti, ma i nostri libri di scuola e la tanta letteratura risorgimentalista, questo non l’hanno fatto e non lo fanno ancora: Raccontano tante balle. Le balle utili a chi invase un pacifico, tranquillo Regno, affacciato sul mare, conquistò, massacrò ed aveva poi bisogno di costruirsi una verginità di fronte alle future generazioni.

Noi tutti ci siamo formati su questi testi. E’ una tecnica antica: ripeti mille volte una bugia e questa diventerà verità: Il Sud è arretrato? Colpa dei Borbone, come se gli ultimi 150 anni non avessero per nulla inciso sulla nostra vita. A Firenze, se qualcosa non va bene, non mi pare se la prendano con il Granduca…
La Reggia di Caserta? Una cattedrale nel deserto. I primati tecnologici del Regno: il telegrafo, i ponti in ferro, le ferrovie? Fandonie raccontate dai nostalgici. Si nostalgici, così vengono definite migliaia di persone che, amando la propria terra, cercano di recuperare l’orgoglio meridionale perduto, raccontando ogni giorno la verità storica, negata, di queste lande bruciate, più che dal sole:dalle camorre, dalle mafie, dalle ‘ndranghete che ci avvelenano, ogni giorno di più l’esistenza.

Povera Patria, canta del suo Sud il grande Battiato ed in un cupo pessimismo recita: “Non cambierà”. Poi però, si rivede la luce, rinasce la speranza:”Si. Cambierà! Vedrai che cambierà!”

Ed il vento sta già cambiando. Non passa giorno che sulla stampa nazionale a Nord come a Sud, si pubblichino sconcertanti e ben documentati articoli che descrivono un Sud molto migliore di quello raccontatoci e di quali atrocità furono commesse dai Piemontesi conquistatori.
Lo stemma Borbonico è un simbolo di “identità storica” della Nazione Meridionale. Qualcuno si è mai scandalizzato per la presenza della bandiera con il leone di S. Marco nell’omonima piazza a Venezia? Eppure è il simbolo dell’antica Repubblica! Se va bene quella…

La verità storica del Sud sta finalmente emergendo, in tutta la sua crudezza.
Nessuno la potrà fermare. Per uno, che ancora si riempie la bocca con “l’eroica impresa dei 1000”, ne spuntano cento che vogliono sapere cosa avvenne. Cosa accadde davvero ai nostri bisnonni.
Il divario Nord-Sud inizia con l’unità d’Italia ed aumenta anno dopo anno fino al dramma attuale. Prima non vi erano grandi differenze nel reddito pro-capite e nel PIL, anzi, la situazione economica del Regno meridionale, nel 1861 anno dell’invasione, era assolutamente favorevole al decollo verso grandi prospettive.

PRIMO CENSIMENTO GENERALE del neonato Regno d’Italia nel 1861 dal testo: “Scienza delle Finanze” di Francesco Saverio Nitti, grande economista e statista, Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d'Italia, dal 23 giugno 1919 al 15 giugno 1920.
edito da PIERRO nel 1903, pag. 292.

MONETE DEGLI ANTICHI STATI ITALIANI AL MOMENTO DELL’ANNESSIONE
(in Lire Italiane del 1861)

Lombardia milioni 8,1

Ducato di Modena milioni 0,4

Parma e Piacenza milioni 1,2

Roma milioni 35,3

Romagna,Marche,Umbria milioni 55,3

Piemonte e Sardegna milioni 27,0

Toscana milioni 85,2

Venezia milioni 12,7

Regno delle Due Sicilie milioni 443,2


Totale milioni 668,4

Da questa tabella si può facilmente evincere come Il Regno Delle Due Sicilie avesse nel 1861, momento dell’annessione, Il 66.3% della ricchezza contro il 33.7% di tutti gli altri stati della penisola messi insieme.
Questo risultato fu raggiunto con la grande politica di investimenti e risanamento voluta da
Ferdinando II.
Il Regno, al momento dell’annessione, era nelle migliori condizioni per decollare. Già era in atto un graduale passaggio dall’ economia rurale a quella industriale. Il paese, primo in Italia, si stava dotando di moderne infrastrutture quali il telegrafo elettrico, le navi a vapore o le ferrovie che, dopo l’inaugurazione del primo tratto Napoli-Portici nel 1839, raggiunsero: nel 1840 Torre del Greco, nel 1842 Castellammare, nel 1844 Nocera, nel 1843 Caserta. Furono previsti biglietti ridotti per i cittadini meno abbienti, vale a dire «alle persone di giacca e coppola, alle donne senza cappello, ai domestici in livrea ed ai soldati e bassi ufficiali del real esercito».

E’ vero che i tempi di realizzazione del programma ferroviario risultarono lunghi ( al 1860 il Piemonte, aveva molti più chilometri di ferrovia realizzata) ma è anche vero che la conformazione geografica del Sud era molto più “complicata” rispetto alle pianure padane (specie per i mezzi dell’epoca). E comunque il Regno era all’avanguardia nella tecnologia ferroviaria, basti pensare che a partire dal 1847 lo stabilimento di Pietrarsa (Na) –la più grande industria metal-meccanica della penisola- fornì al Piemonte 7 locomotive. I nomi erano: Pietrarsa, Corsi, Robertson, Vesuvio, Maria Teresa, Etna e Partenope. [Cfr. Il centenario delle ferrovie italiane 1839-1939 (Pubblicazione celebrativa delle FF.SS), Roma 1940, pp. 106, 137 e 139].
Con l’unità d’Italia, il progetto di re Ferdinando II di realizzare una rete ferroviaria dal Tirreno all’Adriatico fu abbandonato e non venne più realizzato. I governi unitari dei re sabaudi, salutati come “Portatori del modernismo al Sud”, ma anche quelli: Fascisti e Democristiani, mai si interessarono a sviluppare agevoli collegamenti all’interno del Sud, anzi si concentrarono sullo sviluppo delle linee Sud-Nord per agevolare il trasferimento della mano d’opera meridionale al Nord. Ne tuttora se ne interessano Post-comunisti e Berlusconiani se è vero, come è vero, che tali collegamenti non esistono o, dove esistono, sono a dir poco “allucinanti”.

POPOLAZIONE OCCUPATA

Piemonte e Liguria 1.687.430

Lombardia 1.654.574

Parma e Piacenza 263.917

Modena, Reggio e Massa 329.537

Romagna 516.289

Marche 402.057

Umbria 297.464

Toscana 897.164

Sardegna 199.276

Regno delle Due Sicilie 5.000.689


Regno delle Due Sicilie abitanti al 1861 8.000.000
Resto d’Italia abitanti al 1861 17.000.000


Totale occupati Regno Due Sicilie 5.000.689 62.5% della popolazione
Totale occupati resto d’Italia 6.022.536 35.4% della popolazione


NUMERO DEI POVERI (in percentuale alla popolazione)


Piemonte e Liguria, Lombardia, Parma e Piacenza,
Modena, Reggio e Massa, Romagna,Marche,
Umbria, Toscana, Sardegna 1.41%

Regno delle Due Sicilie 1.38%



Benché decisamente sfavorevole alle regioni settentrionali, il numero relativo ai poveri è abbastanza similare tra i due blocchi; tuttavia bisogna considerare che, mentre il dato percentuale per le Due Sicilie è definitivo, al resto d’Italia mancano, rispetto ad oggi, varie regioni (non ancora annesse nel 1861) come il Lazio o il poverissimo triveneto (almeno in quell’epoca) dal quale, causa l’enorme miseria, era già in atto da molti anni una massiccia emigrazione. L’aggiunta di questi ulteriori dati, certamente ritoccherebbe ancora in peggio la percentuale dei poveri relativa al resto d’Italia.


Nel 2007 gli illustri economisti:

Paolo Malanima ( ISSM-CNR ) e Vittorio Daniele (Università “Magna Græcia” )

a conclusione di uno studio approfondito, hanno pubblicato nella
RIVISTA DI POLITICA ECONOMICA MARZO-APRILE 2007:

“Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004)”


Vediamone le tabelle alle pagg. 5 – 6 – 9 – 21 di cui al link:


http://www.rivistapoliticaeconomica.it/2007/mar-apr/Daniele_melanima.pdf



Si potrà notare un sostanziale equilibrio nei salari tra le due aree geografiche. Non certamente lo squilibrio tutto a favore del Nord di cui la storiografia di regime ci ha parlato negli ultimi 150 anni. Gli studiosi al paragrafo 4 - pag. 285 così recitano:

“La nostra ricostruzione induce, dunque, a ritenere che, alla data dell’Unità, non vi fossero differenze tra le due aree del paese. Nell’Italia di allora — un Paese complessivamente arretrato rispetto alle grandi nazioni europee — le differenze locali, dipendenti dalla disponibilità o carenza di risorse immobili, e segnalate dalla relativa concentrazione spaziale di popolazione e attività produttive, appaiono assai più rilevanti di quelle regionali nella geografia nazionale della ricchezza e della povertà.”

Guardiamo ora il PIL pro-capite. E’ qui che si nota come, con l’arrivo dell’Unità d’Italia, le cose cambiano. L’abbattimento delle dogane tra i vari stati della penisola e le promesse Piemontesi a Francia ed Inghilterra, di favorirne le esportazioni, portò ad una forte concorrenza che si rivelò distruttiva per le produzioni meridionali.
Dal 1861 al 1900, il Sud ancora resiste e le due aree sono sostanzialmente alla pari, ma l’abolizione degli “Usi civici” (provvedimento Borbonico grazie al quale i contadini detenevano terreni demaniali) e le leggi sulla requisizione dei beni ecclesiastici (legge 7 luglio 1866 di soppressione degli Ordini e delle Corporazioni religiose e legge 15 agosto 1867 per la liquidazione dell’Asse ecclesiastico) avevano provocato un disastro.
La vendita al miglior offerente di quei terreni, procurò molti quattrini ad un Piemonte fortemente indebitato, ma gettò sul lastrico migliaia e migliaia di famiglie, che da essi traevano sostentamento. Non restò che la via per le Americhe. I “Galantuomini” liberali, che avevano spianato la strada ai nuovi conquistatori, detenendo il potere nei municipi, di quella “Bella Torta”:fecero ingordo banchetto.
Nasce qui il grande latifondo e la “Questione Meridionale”. Prima non ve n’era traccia alcuna.


Andiamo ora a leggere le conclusioni dei due studiosi a pag. 293 al link:


http://www.rivistapoliticaeconomica.it/2007/mar-apr/Daniele_melanima.pdf



…..Il caso dell’Italia è particolarmente interessante sotto questo profilo, dato il rilievo con cui la crescita ineguale si è presentata dall’epoca dell’unità politica del paese. Le presente ricerca e quelle recenti sulla crescita ineguale dell’Italia inducono a ritenere:

— che divari rilevanti fra regioni, in termini di prodotto pro
capite, non esistessero prima dell’Unità;

— che essi si siano manifestati sin dall’avvio della modernizzazione
economica (più o meno fra il 1880 e la Grande Guerra);

— che si siano approfonditi nel ventennio fascista;

— che si siano poi ridotti considerevolmente nei due decenni
fra il 1953 e il 1973; (grazie alla cassa per il mezzogiorno n.d.r.)

— che si siano aggravati di nuovo in seguito alla riduzione
dei tassi di sviluppo dell’economia dai primi anni ’70 in poi.

I dati sono questi: Il tracollo del Sud nasce dopo l’unità d’Italia ed aumenta in maniera esponenziale fino ai giorni nostri, facendo fuggire i ragazzi da questa loro terra. Prendiamone atto una volta per tutte e cominciamo a raccontare ai nostri figli la verità. Dopo avergli fatto studiare tante sciocchezze, gli è proprio dovuta. Ah, a proposito, Francesco II, salutando Napoli, lasciò intatte le casse dello stato. Non portò via neanche un centesimo. Terminò la sua vita ad Arco di Trento, vivendo modestamente…Hanno fatto proprio lo stesso quanti, tra ministri e deputati, si sono succeduti in 150 anni di Italia unita fino ai giorni nostri?
Leggi tutto »
Di Pino Marino
Fonte: Fb

La storia andrebbe scritta basandosi sui documenti, ma i nostri libri di scuola e la tanta letteratura risorgimentalista, questo non l’hanno fatto e non lo fanno ancora: Raccontano tante balle. Le balle utili a chi invase un pacifico, tranquillo Regno, affacciato sul mare, conquistò, massacrò ed aveva poi bisogno di costruirsi una verginità di fronte alle future generazioni.

Noi tutti ci siamo formati su questi testi. E’ una tecnica antica: ripeti mille volte una bugia e questa diventerà verità: Il Sud è arretrato? Colpa dei Borbone, come se gli ultimi 150 anni non avessero per nulla inciso sulla nostra vita. A Firenze, se qualcosa non va bene, non mi pare se la prendano con il Granduca…
La Reggia di Caserta? Una cattedrale nel deserto. I primati tecnologici del Regno: il telegrafo, i ponti in ferro, le ferrovie? Fandonie raccontate dai nostalgici. Si nostalgici, così vengono definite migliaia di persone che, amando la propria terra, cercano di recuperare l’orgoglio meridionale perduto, raccontando ogni giorno la verità storica, negata, di queste lande bruciate, più che dal sole:dalle camorre, dalle mafie, dalle ‘ndranghete che ci avvelenano, ogni giorno di più l’esistenza.

Povera Patria, canta del suo Sud il grande Battiato ed in un cupo pessimismo recita: “Non cambierà”. Poi però, si rivede la luce, rinasce la speranza:”Si. Cambierà! Vedrai che cambierà!”

Ed il vento sta già cambiando. Non passa giorno che sulla stampa nazionale a Nord come a Sud, si pubblichino sconcertanti e ben documentati articoli che descrivono un Sud molto migliore di quello raccontatoci e di quali atrocità furono commesse dai Piemontesi conquistatori.
Lo stemma Borbonico è un simbolo di “identità storica” della Nazione Meridionale. Qualcuno si è mai scandalizzato per la presenza della bandiera con il leone di S. Marco nell’omonima piazza a Venezia? Eppure è il simbolo dell’antica Repubblica! Se va bene quella…

La verità storica del Sud sta finalmente emergendo, in tutta la sua crudezza.
Nessuno la potrà fermare. Per uno, che ancora si riempie la bocca con “l’eroica impresa dei 1000”, ne spuntano cento che vogliono sapere cosa avvenne. Cosa accadde davvero ai nostri bisnonni.
Il divario Nord-Sud inizia con l’unità d’Italia ed aumenta anno dopo anno fino al dramma attuale. Prima non vi erano grandi differenze nel reddito pro-capite e nel PIL, anzi, la situazione economica del Regno meridionale, nel 1861 anno dell’invasione, era assolutamente favorevole al decollo verso grandi prospettive.

PRIMO CENSIMENTO GENERALE del neonato Regno d’Italia nel 1861 dal testo: “Scienza delle Finanze” di Francesco Saverio Nitti, grande economista e statista, Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d'Italia, dal 23 giugno 1919 al 15 giugno 1920.
edito da PIERRO nel 1903, pag. 292.

MONETE DEGLI ANTICHI STATI ITALIANI AL MOMENTO DELL’ANNESSIONE
(in Lire Italiane del 1861)

Lombardia milioni 8,1

Ducato di Modena milioni 0,4

Parma e Piacenza milioni 1,2

Roma milioni 35,3

Romagna,Marche,Umbria milioni 55,3

Piemonte e Sardegna milioni 27,0

Toscana milioni 85,2

Venezia milioni 12,7

Regno delle Due Sicilie milioni 443,2


Totale milioni 668,4

Da questa tabella si può facilmente evincere come Il Regno Delle Due Sicilie avesse nel 1861, momento dell’annessione, Il 66.3% della ricchezza contro il 33.7% di tutti gli altri stati della penisola messi insieme.
Questo risultato fu raggiunto con la grande politica di investimenti e risanamento voluta da
Ferdinando II.
Il Regno, al momento dell’annessione, era nelle migliori condizioni per decollare. Già era in atto un graduale passaggio dall’ economia rurale a quella industriale. Il paese, primo in Italia, si stava dotando di moderne infrastrutture quali il telegrafo elettrico, le navi a vapore o le ferrovie che, dopo l’inaugurazione del primo tratto Napoli-Portici nel 1839, raggiunsero: nel 1840 Torre del Greco, nel 1842 Castellammare, nel 1844 Nocera, nel 1843 Caserta. Furono previsti biglietti ridotti per i cittadini meno abbienti, vale a dire «alle persone di giacca e coppola, alle donne senza cappello, ai domestici in livrea ed ai soldati e bassi ufficiali del real esercito».

E’ vero che i tempi di realizzazione del programma ferroviario risultarono lunghi ( al 1860 il Piemonte, aveva molti più chilometri di ferrovia realizzata) ma è anche vero che la conformazione geografica del Sud era molto più “complicata” rispetto alle pianure padane (specie per i mezzi dell’epoca). E comunque il Regno era all’avanguardia nella tecnologia ferroviaria, basti pensare che a partire dal 1847 lo stabilimento di Pietrarsa (Na) –la più grande industria metal-meccanica della penisola- fornì al Piemonte 7 locomotive. I nomi erano: Pietrarsa, Corsi, Robertson, Vesuvio, Maria Teresa, Etna e Partenope. [Cfr. Il centenario delle ferrovie italiane 1839-1939 (Pubblicazione celebrativa delle FF.SS), Roma 1940, pp. 106, 137 e 139].
Con l’unità d’Italia, il progetto di re Ferdinando II di realizzare una rete ferroviaria dal Tirreno all’Adriatico fu abbandonato e non venne più realizzato. I governi unitari dei re sabaudi, salutati come “Portatori del modernismo al Sud”, ma anche quelli: Fascisti e Democristiani, mai si interessarono a sviluppare agevoli collegamenti all’interno del Sud, anzi si concentrarono sullo sviluppo delle linee Sud-Nord per agevolare il trasferimento della mano d’opera meridionale al Nord. Ne tuttora se ne interessano Post-comunisti e Berlusconiani se è vero, come è vero, che tali collegamenti non esistono o, dove esistono, sono a dir poco “allucinanti”.

POPOLAZIONE OCCUPATA

Piemonte e Liguria 1.687.430

Lombardia 1.654.574

Parma e Piacenza 263.917

Modena, Reggio e Massa 329.537

Romagna 516.289

Marche 402.057

Umbria 297.464

Toscana 897.164

Sardegna 199.276

Regno delle Due Sicilie 5.000.689


Regno delle Due Sicilie abitanti al 1861 8.000.000
Resto d’Italia abitanti al 1861 17.000.000


Totale occupati Regno Due Sicilie 5.000.689 62.5% della popolazione
Totale occupati resto d’Italia 6.022.536 35.4% della popolazione


NUMERO DEI POVERI (in percentuale alla popolazione)


Piemonte e Liguria, Lombardia, Parma e Piacenza,
Modena, Reggio e Massa, Romagna,Marche,
Umbria, Toscana, Sardegna 1.41%

Regno delle Due Sicilie 1.38%



Benché decisamente sfavorevole alle regioni settentrionali, il numero relativo ai poveri è abbastanza similare tra i due blocchi; tuttavia bisogna considerare che, mentre il dato percentuale per le Due Sicilie è definitivo, al resto d’Italia mancano, rispetto ad oggi, varie regioni (non ancora annesse nel 1861) come il Lazio o il poverissimo triveneto (almeno in quell’epoca) dal quale, causa l’enorme miseria, era già in atto da molti anni una massiccia emigrazione. L’aggiunta di questi ulteriori dati, certamente ritoccherebbe ancora in peggio la percentuale dei poveri relativa al resto d’Italia.


Nel 2007 gli illustri economisti:

Paolo Malanima ( ISSM-CNR ) e Vittorio Daniele (Università “Magna Græcia” )

a conclusione di uno studio approfondito, hanno pubblicato nella
RIVISTA DI POLITICA ECONOMICA MARZO-APRILE 2007:

“Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004)”


Vediamone le tabelle alle pagg. 5 – 6 – 9 – 21 di cui al link:


http://www.rivistapoliticaeconomica.it/2007/mar-apr/Daniele_melanima.pdf



Si potrà notare un sostanziale equilibrio nei salari tra le due aree geografiche. Non certamente lo squilibrio tutto a favore del Nord di cui la storiografia di regime ci ha parlato negli ultimi 150 anni. Gli studiosi al paragrafo 4 - pag. 285 così recitano:

“La nostra ricostruzione induce, dunque, a ritenere che, alla data dell’Unità, non vi fossero differenze tra le due aree del paese. Nell’Italia di allora — un Paese complessivamente arretrato rispetto alle grandi nazioni europee — le differenze locali, dipendenti dalla disponibilità o carenza di risorse immobili, e segnalate dalla relativa concentrazione spaziale di popolazione e attività produttive, appaiono assai più rilevanti di quelle regionali nella geografia nazionale della ricchezza e della povertà.”

Guardiamo ora il PIL pro-capite. E’ qui che si nota come, con l’arrivo dell’Unità d’Italia, le cose cambiano. L’abbattimento delle dogane tra i vari stati della penisola e le promesse Piemontesi a Francia ed Inghilterra, di favorirne le esportazioni, portò ad una forte concorrenza che si rivelò distruttiva per le produzioni meridionali.
Dal 1861 al 1900, il Sud ancora resiste e le due aree sono sostanzialmente alla pari, ma l’abolizione degli “Usi civici” (provvedimento Borbonico grazie al quale i contadini detenevano terreni demaniali) e le leggi sulla requisizione dei beni ecclesiastici (legge 7 luglio 1866 di soppressione degli Ordini e delle Corporazioni religiose e legge 15 agosto 1867 per la liquidazione dell’Asse ecclesiastico) avevano provocato un disastro.
La vendita al miglior offerente di quei terreni, procurò molti quattrini ad un Piemonte fortemente indebitato, ma gettò sul lastrico migliaia e migliaia di famiglie, che da essi traevano sostentamento. Non restò che la via per le Americhe. I “Galantuomini” liberali, che avevano spianato la strada ai nuovi conquistatori, detenendo il potere nei municipi, di quella “Bella Torta”:fecero ingordo banchetto.
Nasce qui il grande latifondo e la “Questione Meridionale”. Prima non ve n’era traccia alcuna.


Andiamo ora a leggere le conclusioni dei due studiosi a pag. 293 al link:


http://www.rivistapoliticaeconomica.it/2007/mar-apr/Daniele_melanima.pdf



…..Il caso dell’Italia è particolarmente interessante sotto questo profilo, dato il rilievo con cui la crescita ineguale si è presentata dall’epoca dell’unità politica del paese. Le presente ricerca e quelle recenti sulla crescita ineguale dell’Italia inducono a ritenere:

— che divari rilevanti fra regioni, in termini di prodotto pro
capite, non esistessero prima dell’Unità;

— che essi si siano manifestati sin dall’avvio della modernizzazione
economica (più o meno fra il 1880 e la Grande Guerra);

— che si siano approfonditi nel ventennio fascista;

— che si siano poi ridotti considerevolmente nei due decenni
fra il 1953 e il 1973; (grazie alla cassa per il mezzogiorno n.d.r.)

— che si siano aggravati di nuovo in seguito alla riduzione
dei tassi di sviluppo dell’economia dai primi anni ’70 in poi.

I dati sono questi: Il tracollo del Sud nasce dopo l’unità d’Italia ed aumenta in maniera esponenziale fino ai giorni nostri, facendo fuggire i ragazzi da questa loro terra. Prendiamone atto una volta per tutte e cominciamo a raccontare ai nostri figli la verità. Dopo avergli fatto studiare tante sciocchezze, gli è proprio dovuta. Ah, a proposito, Francesco II, salutando Napoli, lasciò intatte le casse dello stato. Non portò via neanche un centesimo. Terminò la sua vita ad Arco di Trento, vivendo modestamente…Hanno fatto proprio lo stesso quanti, tra ministri e deputati, si sono succeduti in 150 anni di Italia unita fino ai giorni nostri?

Nessun commento:

 
[Privacy]
Design by Free WordPress Themes | Bloggerized by Lasantha - Premium Blogger Themes | Hot Sonakshi Sinha, Car Price in India