Di Nicola Zitara
E' dal 1750 che in Europa la popolazione contadina diminuisce a favore dell'Industria e dei Servizi. A questo movimento ha contribuito il progresso tecnologico, che ha determinato il passaggio dalla organizzazione feudale, noncurante rispetto al tema della produttività del lavoro, al sistema della proprietà borghese caratterizzata da una forte esosità verso il contadino.
Sul finire del regno borbonico, a distanza di cento anni, cioè verso il 1860, le statistiche registravano una componente contadina del 48 per cento sulla popolazione attiva. Ottanta anni dopo, al tempo del fascismo, i contadini erano circa il 40 per cento degli italiani. La 'grande trasformazione' si ebbe negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo XX, con lo sviluppo del settore Industria, della Scuola di massa e del Sistema sanitario. Sette milioni (e forse più) di contadini meridionali presero il treno per cerare un lavoro in Germania, in Svizzera, nel Norditalia. L'emigrazione ebbe la funzione di una valvola di sfogo delle tensioni sociali, salvando il sistema capitalistico mediante un sostegno al reddito familiare. E dove l'emigrazione non apparve bastevole, s'intervenne con l'assistenzialismo, il clientelismo, la dilatazione del Pubblico Impiego, ingolfando così i servizi fino a renderli scarsamente 'servizievoli' (Scuola, Sanità, Comuni, Regioni etc.). Ovviamente le eccedenze di popolazione attiva non si sono formate più in campagna, ma in città, dove si è nato un nuovo esercito di riserva del lavoro salariato e impiegatizio che, nel Suditalia, raggiunge tra il 30 e il 40 per cento di ben due generazioni, quelle dei nati negli anni '60/'70 e quella dei nati negli anni '80/'90.
Appassita l'agricoltura, bloccata l'industria fordista della catena di montaggio, ridimensionata la spesa pubblica a favore dello Stato Sociale, tramontato l'artigianato dei servizi, favorita una specie di corporazione illiberista, o il monopolio di stampo quasi mafioso, nei servizi di aggiustaggio, i giovani meridionali si sono riversati nelle università, in tal modo allungando gli anni della formazione. Oggi questi giovani sono una marea montante, ma manca la risacca di un intervento statale. I giovani che mi vedo attorno sono un mare di speranze frustrate, di speranze inquinate dalla coscienza dell'inutile attesa. Gli anni passano, ma non si leva un solo filo di vento a muovere le onde. La stessa identità personale vacilla, si corrode, crolla in molti casi. Il mondo (e non il sistema) diventa un nemico. Ma l'Italia politica, la greppia politico-parlamentare romana, locale provinciale, il grande padronato bancario e industriale restano sordi al grido disperato, muto, indifferente alla disperazione giovanile che incalza per le vie delle grandi città, dei paesi, dei borghi. Il capitalismo ha le sue regole: impiega gli uomini che gli servono: gli individui e i gruppi nazionali più pieghevoli, più malleabili, quelli disposti ad accettare paghe basse , al lavoro senza orario, le persone costrette ad avere disprezzo per la propria salute, quelle che hanno preventivamente rinunciato a rivendicazioni politiche e sindacali, gli extracomunitari che sono preferiti e accolti. Quel che i capitalisti invocano dai governi è l'abbassamento della curva dei salari attraverso la presenza di morti di fame.
Nell'industria norditaliana la componente extracomunitaria è rilevante. Siamo oltre i due milioni di persone, quanto sarebbe stato sufficiente a dare un'alternativa alla disoccupazione meridionale. Si è preferito dare spazio alla componente più debole dell'esercito industriale di riserva, e non certo in omaggio a un principio di umanità, come ben evidenziano le condizioni disumane in cui vivono gli extracomunitari non ingaggiati al lavoro, ma per ottenere bassi salari e innalzare il grado di sfruttamento del lavoro dipendente. Due milioni di salvataggi non incidono il problema della fame e della disperazione del Sud del mondo, che riguarda tre o quattro miliardi di esseri umani. Più generoso sarebbe stato aprire la frontiere ai prodotti agricoli e dell'allevamento africani e latino americani.
Comunque, extracomunitari o meno, c'è uno Stato italiano, e questo Stato deve affrontare i problemi del Mezzogiorno, illusoriamente posto nel grembo di una società nazionale su cui lo Stato esercita la sua sovranità. Le famiglie hanno investito e investono enormi risorse su questi loro figli, estromessi dalla vita sociale. Si tratta di cifre da capogiro, che vanno dai 150 mila euro ai 400 mila euro pro capite. Moltiplicando per due o tre milioni di disoccupati si arriva alle migliaia di miliardi che il Sud butta nel cesso nazionale a ogni generazione. Ma le cifre sono un'escogitazione statistica. Quel che conta è l'esistenza morale di questi giovani. O il sistema affronta il problema, o crolla..
Fonte:Eleaml
.
.
mercoledì 30 dicembre 2009
Il capitalismo si sta giocando i giovani meridionali
Di Nicola Zitara
E' dal 1750 che in Europa la popolazione contadina diminuisce a favore dell'Industria e dei Servizi. A questo movimento ha contribuito il progresso tecnologico, che ha determinato il passaggio dalla organizzazione feudale, noncurante rispetto al tema della produttività del lavoro, al sistema della proprietà borghese caratterizzata da una forte esosità verso il contadino.
Sul finire del regno borbonico, a distanza di cento anni, cioè verso il 1860, le statistiche registravano una componente contadina del 48 per cento sulla popolazione attiva. Ottanta anni dopo, al tempo del fascismo, i contadini erano circa il 40 per cento degli italiani. La 'grande trasformazione' si ebbe negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo XX, con lo sviluppo del settore Industria, della Scuola di massa e del Sistema sanitario. Sette milioni (e forse più) di contadini meridionali presero il treno per cerare un lavoro in Germania, in Svizzera, nel Norditalia. L'emigrazione ebbe la funzione di una valvola di sfogo delle tensioni sociali, salvando il sistema capitalistico mediante un sostegno al reddito familiare. E dove l'emigrazione non apparve bastevole, s'intervenne con l'assistenzialismo, il clientelismo, la dilatazione del Pubblico Impiego, ingolfando così i servizi fino a renderli scarsamente 'servizievoli' (Scuola, Sanità, Comuni, Regioni etc.). Ovviamente le eccedenze di popolazione attiva non si sono formate più in campagna, ma in città, dove si è nato un nuovo esercito di riserva del lavoro salariato e impiegatizio che, nel Suditalia, raggiunge tra il 30 e il 40 per cento di ben due generazioni, quelle dei nati negli anni '60/'70 e quella dei nati negli anni '80/'90.
Appassita l'agricoltura, bloccata l'industria fordista della catena di montaggio, ridimensionata la spesa pubblica a favore dello Stato Sociale, tramontato l'artigianato dei servizi, favorita una specie di corporazione illiberista, o il monopolio di stampo quasi mafioso, nei servizi di aggiustaggio, i giovani meridionali si sono riversati nelle università, in tal modo allungando gli anni della formazione. Oggi questi giovani sono una marea montante, ma manca la risacca di un intervento statale. I giovani che mi vedo attorno sono un mare di speranze frustrate, di speranze inquinate dalla coscienza dell'inutile attesa. Gli anni passano, ma non si leva un solo filo di vento a muovere le onde. La stessa identità personale vacilla, si corrode, crolla in molti casi. Il mondo (e non il sistema) diventa un nemico. Ma l'Italia politica, la greppia politico-parlamentare romana, locale provinciale, il grande padronato bancario e industriale restano sordi al grido disperato, muto, indifferente alla disperazione giovanile che incalza per le vie delle grandi città, dei paesi, dei borghi. Il capitalismo ha le sue regole: impiega gli uomini che gli servono: gli individui e i gruppi nazionali più pieghevoli, più malleabili, quelli disposti ad accettare paghe basse , al lavoro senza orario, le persone costrette ad avere disprezzo per la propria salute, quelle che hanno preventivamente rinunciato a rivendicazioni politiche e sindacali, gli extracomunitari che sono preferiti e accolti. Quel che i capitalisti invocano dai governi è l'abbassamento della curva dei salari attraverso la presenza di morti di fame.
Nell'industria norditaliana la componente extracomunitaria è rilevante. Siamo oltre i due milioni di persone, quanto sarebbe stato sufficiente a dare un'alternativa alla disoccupazione meridionale. Si è preferito dare spazio alla componente più debole dell'esercito industriale di riserva, e non certo in omaggio a un principio di umanità, come ben evidenziano le condizioni disumane in cui vivono gli extracomunitari non ingaggiati al lavoro, ma per ottenere bassi salari e innalzare il grado di sfruttamento del lavoro dipendente. Due milioni di salvataggi non incidono il problema della fame e della disperazione del Sud del mondo, che riguarda tre o quattro miliardi di esseri umani. Più generoso sarebbe stato aprire la frontiere ai prodotti agricoli e dell'allevamento africani e latino americani.
Comunque, extracomunitari o meno, c'è uno Stato italiano, e questo Stato deve affrontare i problemi del Mezzogiorno, illusoriamente posto nel grembo di una società nazionale su cui lo Stato esercita la sua sovranità. Le famiglie hanno investito e investono enormi risorse su questi loro figli, estromessi dalla vita sociale. Si tratta di cifre da capogiro, che vanno dai 150 mila euro ai 400 mila euro pro capite. Moltiplicando per due o tre milioni di disoccupati si arriva alle migliaia di miliardi che il Sud butta nel cesso nazionale a ogni generazione. Ma le cifre sono un'escogitazione statistica. Quel che conta è l'esistenza morale di questi giovani. O il sistema affronta il problema, o crolla..
Fonte:Eleaml
.
.
Leggi tutto »
E' dal 1750 che in Europa la popolazione contadina diminuisce a favore dell'Industria e dei Servizi. A questo movimento ha contribuito il progresso tecnologico, che ha determinato il passaggio dalla organizzazione feudale, noncurante rispetto al tema della produttività del lavoro, al sistema della proprietà borghese caratterizzata da una forte esosità verso il contadino.
Sul finire del regno borbonico, a distanza di cento anni, cioè verso il 1860, le statistiche registravano una componente contadina del 48 per cento sulla popolazione attiva. Ottanta anni dopo, al tempo del fascismo, i contadini erano circa il 40 per cento degli italiani. La 'grande trasformazione' si ebbe negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo XX, con lo sviluppo del settore Industria, della Scuola di massa e del Sistema sanitario. Sette milioni (e forse più) di contadini meridionali presero il treno per cerare un lavoro in Germania, in Svizzera, nel Norditalia. L'emigrazione ebbe la funzione di una valvola di sfogo delle tensioni sociali, salvando il sistema capitalistico mediante un sostegno al reddito familiare. E dove l'emigrazione non apparve bastevole, s'intervenne con l'assistenzialismo, il clientelismo, la dilatazione del Pubblico Impiego, ingolfando così i servizi fino a renderli scarsamente 'servizievoli' (Scuola, Sanità, Comuni, Regioni etc.). Ovviamente le eccedenze di popolazione attiva non si sono formate più in campagna, ma in città, dove si è nato un nuovo esercito di riserva del lavoro salariato e impiegatizio che, nel Suditalia, raggiunge tra il 30 e il 40 per cento di ben due generazioni, quelle dei nati negli anni '60/'70 e quella dei nati negli anni '80/'90.
Appassita l'agricoltura, bloccata l'industria fordista della catena di montaggio, ridimensionata la spesa pubblica a favore dello Stato Sociale, tramontato l'artigianato dei servizi, favorita una specie di corporazione illiberista, o il monopolio di stampo quasi mafioso, nei servizi di aggiustaggio, i giovani meridionali si sono riversati nelle università, in tal modo allungando gli anni della formazione. Oggi questi giovani sono una marea montante, ma manca la risacca di un intervento statale. I giovani che mi vedo attorno sono un mare di speranze frustrate, di speranze inquinate dalla coscienza dell'inutile attesa. Gli anni passano, ma non si leva un solo filo di vento a muovere le onde. La stessa identità personale vacilla, si corrode, crolla in molti casi. Il mondo (e non il sistema) diventa un nemico. Ma l'Italia politica, la greppia politico-parlamentare romana, locale provinciale, il grande padronato bancario e industriale restano sordi al grido disperato, muto, indifferente alla disperazione giovanile che incalza per le vie delle grandi città, dei paesi, dei borghi. Il capitalismo ha le sue regole: impiega gli uomini che gli servono: gli individui e i gruppi nazionali più pieghevoli, più malleabili, quelli disposti ad accettare paghe basse , al lavoro senza orario, le persone costrette ad avere disprezzo per la propria salute, quelle che hanno preventivamente rinunciato a rivendicazioni politiche e sindacali, gli extracomunitari che sono preferiti e accolti. Quel che i capitalisti invocano dai governi è l'abbassamento della curva dei salari attraverso la presenza di morti di fame.
Nell'industria norditaliana la componente extracomunitaria è rilevante. Siamo oltre i due milioni di persone, quanto sarebbe stato sufficiente a dare un'alternativa alla disoccupazione meridionale. Si è preferito dare spazio alla componente più debole dell'esercito industriale di riserva, e non certo in omaggio a un principio di umanità, come ben evidenziano le condizioni disumane in cui vivono gli extracomunitari non ingaggiati al lavoro, ma per ottenere bassi salari e innalzare il grado di sfruttamento del lavoro dipendente. Due milioni di salvataggi non incidono il problema della fame e della disperazione del Sud del mondo, che riguarda tre o quattro miliardi di esseri umani. Più generoso sarebbe stato aprire la frontiere ai prodotti agricoli e dell'allevamento africani e latino americani.
Comunque, extracomunitari o meno, c'è uno Stato italiano, e questo Stato deve affrontare i problemi del Mezzogiorno, illusoriamente posto nel grembo di una società nazionale su cui lo Stato esercita la sua sovranità. Le famiglie hanno investito e investono enormi risorse su questi loro figli, estromessi dalla vita sociale. Si tratta di cifre da capogiro, che vanno dai 150 mila euro ai 400 mila euro pro capite. Moltiplicando per due o tre milioni di disoccupati si arriva alle migliaia di miliardi che il Sud butta nel cesso nazionale a ogni generazione. Ma le cifre sono un'escogitazione statistica. Quel che conta è l'esistenza morale di questi giovani. O il sistema affronta il problema, o crolla..
Fonte:Eleaml
.
.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento