lunedì 14 dicembre 2009
Anema barocca - Non solo mostre Sei esposizioni, 700 oggetti E un tour nei borghi in cerca di «miseria e nobiltà» Napoli si riprende i suoi splendori
«Permette? Veniamo da Trento, siamo qui da tre giorni. Quando siamo partiti, i parenti in coro: state attenti a Napoli. E invece è meravigliosa. Siamo anche andati al rione Sanità. Macché scippi, abbiamo trovato chiese e palazzi antichi da lasciare senza fiato». La turista lo dice d'impeto a Rossana Muzii, la direttrice del Museo di San Martino, che era una certosa, su al Vomero, e che adesso racconta la storia della città con dipinti, porcellane, arredi, mantelli di re.
Già, il rione Sanità. Vicoli e scugnizzi come ai Quartieri Spagnoli, dove l'altro ieri hanno ritrovato l'albero di Natale gigante che avevano rubato alla Galleria Umberto I.
Poche ore dopo che gli operai del Comune avevano finito di appenderci sopra le lucine e i fili d'oro. Napoli fulgida e sciatta, delinquente e raffinata. Napoli, miseria e nobiltà, luce e ombra, mare e collina, vitale e moribonda.
La città degli opposti. Barocca. Non soltanto perché c'è arte del Seicento a ogni cantone, in ogni chiesa, e nei centri minori della regione, dalla reggia di Caserta alla Certosa di Padula. Ma perché il barocco è la quintessenza dell'«inconciliabile che si concilia, come in questa città: natura e artificio, concavo e convesso, realtà e fantasia», dice Nicola Spinosa, per 25 anni volitivo, appassionato sovrintendente ai beni artistici del capoluogo e adesso, nel momento in cui l'età gli impone la pensione, curatore di questo viaggio nell'anima di Napoli attraverso le opere d'arte.
Un fuoco d'artificio finale: sei mostre in sei contenitori, 700 oggetti esposti, provenienti anche dagli States e dalle capitali d'Europa. E un itinerario attraverso tutta la Campania, grazie anche al sostegno che la Regione ha dato all'iniziativa. «Un'idea nata un anno fa, quando di Napoli si vedevano solo le miserie - dice Spinosa - E invece noi non siamo solo buio, misfatti. Siamo letteratura, scienza, filosofia, arte. Vogliamo riprenderci l'orgoglio della nostra identità».
Si parte dal Museo di Capodimonte. Ecco la grande pittura: Caravaggio, Ribera, Solimena, Artemisia Gentileschi, Mattia Preti, purtroppo un solo Salvator Rosa. Da San Francisco arriva «Giovane donna con gallo» di Massimo Stanzione, da collezione privata (i privati hanno fatto a gara nei prestiti) le «battaglie» di Aniello Falcone.
Al Museo di San Martino ci sono i ritratti dei Borbone, con l'infante Ferdinando dipinto dal Bonito. Ci sono «Masaniello» di De Lione, il Sant'Antonio Abate di cartapesta argentata del convento di San Gregorio Armeno, appena risanato.
Opere restaurate senza compenso da esperti generosi sono a Castel Sant'Elmo.
Vengono da chiese chiuse, sono nei depositi, nessuno le ricorda. Come la «macchina delle 40 ore», un trionfo di legno e cartapesta dorata: campeggiava sull'altare durante le 40 ore tra morte e resurrezione di Cristo, ma anche durante il Carnevale per contrastare con la magnificenza sacra quella profana.
«Natura in posa» (perché chiamarla natura morta?) al Museo Pignatelli: opere inedite e da poco ricomparse sul mercato, esuberanza di frutti, fiori, selvaggina.
Argenti, porcellane, mobili nella neoclassica Villa Floridiana.
Infine disegni d'architettura e urbanistica firmati da un Fontana o un Vanvitelli a Palazzo Reale. E i presepi. Nella Cappella, 210 figurine di pastori. A gloria di Napoli.
Fonte:Il Tempo
Segnalazione ASDS
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«Permette? Veniamo da Trento, siamo qui da tre giorni. Quando siamo partiti, i parenti in coro: state attenti a Napoli. E invece è meravigliosa. Siamo anche andati al rione Sanità. Macché scippi, abbiamo trovato chiese e palazzi antichi da lasciare senza fiato». La turista lo dice d'impeto a Rossana Muzii, la direttrice del Museo di San Martino, che era una certosa, su al Vomero, e che adesso racconta la storia della città con dipinti, porcellane, arredi, mantelli di re.
Già, il rione Sanità. Vicoli e scugnizzi come ai Quartieri Spagnoli, dove l'altro ieri hanno ritrovato l'albero di Natale gigante che avevano rubato alla Galleria Umberto I.
Poche ore dopo che gli operai del Comune avevano finito di appenderci sopra le lucine e i fili d'oro. Napoli fulgida e sciatta, delinquente e raffinata. Napoli, miseria e nobiltà, luce e ombra, mare e collina, vitale e moribonda.
La città degli opposti. Barocca. Non soltanto perché c'è arte del Seicento a ogni cantone, in ogni chiesa, e nei centri minori della regione, dalla reggia di Caserta alla Certosa di Padula. Ma perché il barocco è la quintessenza dell'«inconciliabile che si concilia, come in questa città: natura e artificio, concavo e convesso, realtà e fantasia», dice Nicola Spinosa, per 25 anni volitivo, appassionato sovrintendente ai beni artistici del capoluogo e adesso, nel momento in cui l'età gli impone la pensione, curatore di questo viaggio nell'anima di Napoli attraverso le opere d'arte.
Un fuoco d'artificio finale: sei mostre in sei contenitori, 700 oggetti esposti, provenienti anche dagli States e dalle capitali d'Europa. E un itinerario attraverso tutta la Campania, grazie anche al sostegno che la Regione ha dato all'iniziativa. «Un'idea nata un anno fa, quando di Napoli si vedevano solo le miserie - dice Spinosa - E invece noi non siamo solo buio, misfatti. Siamo letteratura, scienza, filosofia, arte. Vogliamo riprenderci l'orgoglio della nostra identità».
Si parte dal Museo di Capodimonte. Ecco la grande pittura: Caravaggio, Ribera, Solimena, Artemisia Gentileschi, Mattia Preti, purtroppo un solo Salvator Rosa. Da San Francisco arriva «Giovane donna con gallo» di Massimo Stanzione, da collezione privata (i privati hanno fatto a gara nei prestiti) le «battaglie» di Aniello Falcone.
Al Museo di San Martino ci sono i ritratti dei Borbone, con l'infante Ferdinando dipinto dal Bonito. Ci sono «Masaniello» di De Lione, il Sant'Antonio Abate di cartapesta argentata del convento di San Gregorio Armeno, appena risanato.
Opere restaurate senza compenso da esperti generosi sono a Castel Sant'Elmo.
Vengono da chiese chiuse, sono nei depositi, nessuno le ricorda. Come la «macchina delle 40 ore», un trionfo di legno e cartapesta dorata: campeggiava sull'altare durante le 40 ore tra morte e resurrezione di Cristo, ma anche durante il Carnevale per contrastare con la magnificenza sacra quella profana.
«Natura in posa» (perché chiamarla natura morta?) al Museo Pignatelli: opere inedite e da poco ricomparse sul mercato, esuberanza di frutti, fiori, selvaggina.
Argenti, porcellane, mobili nella neoclassica Villa Floridiana.
Infine disegni d'architettura e urbanistica firmati da un Fontana o un Vanvitelli a Palazzo Reale. E i presepi. Nella Cappella, 210 figurine di pastori. A gloria di Napoli.
Fonte:Il Tempo
Segnalazione ASDS
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